Per tutto maggio 2017, il sito del Touring Club Italiano - in collaborazione con Hertz - seguirà il Giro d'Italia edizione numero 100, che partirà il 5 maggio da Alghero per concludersi il 28 maggio a Milano. A raccontarci le tante storie del Giro d'italia 2017 sarà Gino Cervi, scrittore e giornalista, nonché cultore di storia del ciclismo, autore di volumi di storia dello sport e curatore di guide turistiche (tra cui molte del Touring Club Italiano). Seguiteci lungo le strade del nostro Bel Paese!

Sul dizionario Treccani alla voce SANTUARIO si legge: “Luogo che ha acquistato carattere sacro per la manifestazione o la presenza in esso della divinità, o perché connesso a eventi e fenomeni considerati soprannaturali”. Ieri, 20 maggio 2017, la 14a tappa del Giro d'Italia ha tirato una linea a unire due santuari: Castellania e Oropa. Nel primo da 57 anni si tramanda la memoria laica del grande Fausto; nel secondo si venera il simulacro della Madonna nera, meta di pellegrinaggi fin dall'inizio del Trecento.
 
IL GIRO SI SDRAIA SULLA COLLINA
Il comune di Castellania ha meno di cento residenti, per lo più sparsi tra frazioni e cascine. Ieri mattina, le strade che portavano dalla valle Scrivia, dalla valle Ossona, dalla val Grue fin sui greppi e i costoni, i prati e le vigne dei Colli tortonesi si sono riempite di sole e di gente, almeno cento, duecento volte il numero degli sparuti residenti castellanesi.
“Tutto quello che volevo era solo una collina dove sdraiarmi” sembra dire il Giro a Castellania, le  stesse parole che pronuncia Horace Benbow nel romanzo di William Faulkner che, guarda caso, si intitola Santuario.  

Salendo al borgo, incontro il signor Fausto. Faccio due parole intanto che siamo in coda per prendere la navetta. Viene da Àlice Belcolle, Basso Monferrato e mi racconta che si chiama Fausto perché suo papà era tifoso di Coppi ancora prima che Coppi diventasse un campione. Il signor Fausto è nato nel 1939.
Anche per quelli che si chiamano come il signor Fausto, il Giro quest'anno ha scelto di partire da Casa Coppi, dal cortile dove Fausto e Serse legavano la cavalla al carro d'estate o sparavano d'inverno ai passeri; dal piccolo cimitero di san Biagio un po' fuori dal borgo, da dove Serse e Fausto, da postumi, hanno fatto l'ultima tappa insieme per andare ad abitare per sempre nel monumento, triste come un obbligato omaggio al realismo socialista, dietro la chiesa del borgo.
Intorno al grigiore cementizio del sepolcro-santuario, si scatena la sagra techno-paesana del Giro d'Italia. Il tunz-tunz della radio-a-palla, le grida imbonitrici degli speaker a chiamare per nome i corridori che passano al foglio firma come i protagonisti di un SuperBowl; le miss con poco addosso e molto ben in vista che reggono colorati parasoli alle maglie rosa, ciclamino, blu e bianca dei primi in classifica, come alla partenza di un Gran Prix senza motori.
Il silenzio perduto della bicicletta. “È lo sport-business, bellezza!”. Una voce di dentro mi dice di non fare il vecchio barbogio.


 
IL SILENZIO DI MATTEO MONTAGUTI
Il vecchio barbogio gira intorno alle transenne, alle aree “riservate”, le “hospitality” che hanno i nomi, dati un po' a caso, sparando nel mucchio dei numi del Belpaese; Michelangelo, Dante, Raffaello, Leonardo, Caravaggio, Verdi, Puccini. Qualche corridore – alcuni con la faccia e il fisico da adolescenti - va in cerca di un po' d'ombra sui gradini della chiesa. I tifosi cercano di riconoscerli girando intorno per leggere il nome sul dorsale. Poi li chiamano per un selfie. Quasi tutti accettano.
Dietro la chiesa, dove c'è il monumento a Fausto e a Serse, un corridore è fermo, in silenzio – per quel po' che si riesce a trovare - , le mani incrociate dietro la schiena. Numero 19, Matteo Montaguti, da Forlì, che corre per la francese AG2R La Mondiale. Mi fermo a qualche passo di distanza. Quando mi passa vicino mi viene da dirgli, piano: “Grazie Matteo che sei venuto qui”. Lui sorride e per un attimo mi pare che intorno si sia fatto silenzio.    
SBAGLIARE STRADA
Da Castellania a Oropa, dagli Appennini tortonesi alle Prealpi biellesi, il Giro tende una corda molle tra due balconi. Dopo Tortona – che venerdì pomeriggio come una grande torta rosa è stata tagliata dalla lama veloce di don Fernando, tanto per smentire chi alludeva che il caballero colombiano vincesse solo nei capoluoghi...  – la corda lenta si ammolla nelle risaie della Lomellina e del Vercellese, dove la pianura diventa lo specchio del cielo. Poi, verso Biella, la strada ritrova un po' di pendenza, fino a diventare salita.
 
In macchina ho messo un cd di canzoni sulla bicicletta. C'è l'allegria di Bartali di Paolo Conte e quel romanzo in miniatura che è Diavolo rosso, la filastrocca rockmelody di Bicycle race, la ballata quasi dylaniana del Bandito e il campione. Poi arriva, a tradimento, la canzone degli Stadio, e mi viene uno stranguglione:
“Ma è che alle volte si perde la strada
perché prima o poi ci sono brutti momenti.
Non so neppure se ero un pirata
strappavo la vita col cuore e coi denti”.

L'effetto è che sbaglio strada davvero e arrivo tardi in vista di Oropa, quando hanno ormai chiuso le strade e non fanno passare più nessuno, neanche quelli che hanno, come me, una macchina che sembra un taxi e il fascione adesivo con scritto STAMPA.

E pazienza. Ascolto l'arrivo alla radio proprio mentre dicono che Nibali si sta staccando dai quattro davanti. Poi molla Quintana. La Madonna nera diventa rosa e benedice il bel Tommasone olandese, sempre meno farfalla e sempre più mulinante anche in salita. Primo, davanti al tataro Zakarin, al basco Landa; poi Quintana, Pinot, Yates e Nibali. Sappia però chi è arrivato dietro, staccato, che nel ciclismo, come nella vita, nulla è impossibile. Diciotto anni fa, su questa salita, andava così. 
 
MARCO E FAUSTO
Rimbalzano le notizie. Dicono che non ha voglia, che non prende fiato, che il tempo passa, il percorso per recuperare si accorcia. I gregari lo sostengono, ma è lui che non trova il ritmo. D’altra parte Pantani in salita non è uno da ritmo. È uno da fatica, da muscoli, da nervi, dall’andatura irregolare, scomposta... Poi arrivano altre notizie. Dicono che è scattato quasi all’improvviso, che va avanti, che aumenta la velocità, la potenza, che raggiunge i primi. E anche a me aumenta il ritmo cardiaco, perché la corsa è l’unica cosa a cui riesco a pensare. È come se fosse diventata la mia sola ragione di vita. Allora prego Maria, la Madonna Nera del santuario, le domando di dare forza al Pirata. So bene che è una stupidaggine, che alla Vergine andrebbero affidati i poveri, i bisognosi, i malati, le anime in pena, non i ciclisti.
Ma non resisto e le affido Marco, Marco Pantani che corre sulla statale 144 per Oropa, tra ali di folla che sono lì solo per lui. Le notizie si accavallano, si susseguono, arrivano veloci, tra le chiacchiere, la radio, il passaparola: Marco li sta sorpassando tutti, uno a uno, in piedi sui pedali, una falcata dopo l’altra, spingendo sul rapporto, senza paura, senza fermarsi. Così raggiunge finalmente i primi, quelli che dominano la corsa, li supera, sistematicamente, uno dopo l’altro. Ogni tanto si appoggia alla sella, ma per dare più forza ai muscoli, poi riparte, raggiunge lo spagnolo Heras e infine l’ultimo, il francese Laurent Jalabert, che fino a quel momento era stato il dominatore della corsa. Lo sorpassa con uno scarto leggero a sinistra. Un volo di farfalla. E lo lascia indietro.
Gli ultimi tre chilometri li fa tutti da solo, con la determinazione e la paura di aver dimenticato qualche avversario davanti. Inseguendo il vuoto. Il pubblico è un delirio, un boato di felicità. Lo vedo arrivare al traguardo, dove lo sto aspettando: è seduto, ondeggia sulla bicicletta, volto e muscoli tesi. La maglia rosa, conquistata il giorno prima, fa a pugni con i colori dei pantaloni e le scarpette gialle. Il cranio è raso, la fronte aggrottata. Marco Pantani realizza un’impresa impossibile. Dopo le tante impressionanti vittorie del Giro e del Tour dello scorso anno, a Oropa sconfigge la sfortuna, supera se stesso entrando di nuovo nella leggenda. Più di Fausto Coppi. Più di chiunque. Lo dicono i tifosi, lo dicono i giornali, le televisioni, le radio. A me dimostra che nulla è impossibile.”
Era il 30 maggio 1999. Così un romanzo raccontava di Marco Pantani, primo sul traguardo ad Oropa. Chi lo sta guardando all’arrivo, confuso tra la folla in delirio, è don Fausto – un nome non a caso – , grande tifoso del Pirata, un sacerdote che da quell’impresa troverà la forza di affrontare quello che fino a poco prima anche a lui sembrava impossibile: abbandonare la tonaca e sposare Sandra, dalla quale aspetta un figlio. Il figlio, che si chiamerà proprio Marco, nasce però affetto da sindrome di Down. Per Fausto è il segno di una punizione divina. Travolto dal senso di colpa, abbandonerà la famiglia. Cinque anni dopo, il 14 febbraio 2004, Fausto si trova a Rimini per rincontrare Sandra e Marco proprio il giorno in cui Pantani viene trovato morto in un residence. Il resto della storia, però, non ve lo racconto... Andatevi a leggere Nel nome di Marco (Ediciclo, 2014) di Michele Marziani.
 

Il "Giro del Touring" è realizzato in collaborazione con Hertz, partner storico dell'associazione, che ha messo a disposizione di Gino Cervi una vettura ibrida Hertz Green Collection per seguire le tappe della Corsa Rosa. 
 IL GIRO DEL TOURING - TUTTE LE PUNTATE