Quando viaggiare non è un’opzione praticabile per i motivi che tutti sappiamo ed è giusto fermarsi e stare in casa finché l’onda non sarà passata. E dalla poltrona del salotto, dalla sedia in balcone, dal comodo del proprio divano si può comunque continuare a muoversi con la mente mettendo in pratica quello che i britannici chiamano “armchair travel”, ovvero la lettura di libri di viaggio. Reportage che permettono una innocente evasione in compagnia di chi è partito per saziare la sua curiosità o lo spirito d’avventura ed è tornato per raccontarlo. Racconti di prima mano di mondi lontani e diversi, esperienze ricche di passione, empatia e divertimento spesso in zone periferiche che magari mai visiterete, ma che stuzzicano fantasia e voglia di scoprire. E poi, chi lo sa, non è detto che a emergenza finita, non si decida di partire con un libro sotto braccio per visitare i luoghi di cui si è letto in questi giorni… 
Ecco la venticinquesima tappa.
 
Italo Calvino diceva che un classico è un libro cui si può tornare e ritornare e ogni volta trovare qualcosa di nuovo. È il caso di Danubio di Claudio Magris, uscito nel 1986 e ancora invidiabilmente piacevole e interessante. «Danubio ho iniziato a scriverlo senza sapere bene che cosa avrei scritto, giravo, rigiravo, guardavo, vedevo, scrivevo... non sapevo se sarei stato io a scriverlo o un personaggio come in effetti alla fine è, visto che lui muore e io sono ancora qui. Non è un reportage giornalistico, è più un romanzo sommerso» spiegava tempo fa Magris.  
Il suo è un viaggio dalla presunta sorgente (sarà una fontana di Donauschiengen? o un rubinetto di Furtwangen?) fino alla reale foce del grande fiume centroeuropeo, un viaggio che attraversa questo mondo incredibile fatto di frontiere, diversità, muri, incontri, nazionalità diverse, culture, religioni. «Un viaggio nella Babele non solo del Danubio, ma di tutto il mondo, con le sue chances e i suoi pericoli» raccontava.
 Un libro dove Magris sembra inventare storie nuove, ma dove invece non fa altro che raccogliere le storie che incontra lungo il fiume. Storie antiche e moderne che solo una persona con una profonda, enciclopedica, conoscenza della cultura Mittleuropea come Magris può davvero sapere. Pagine popolate di scrittori vivi e defunti, universalmente famosi e sconosciuti nella loro stessa terra, tutti protagonisti di un viaggio umano e letterario compiuto a pochi anni dall'implosione del blocco sovietico, per cogliere i mutamenti che hanno caratterizzato il Novecento di quel pezzetto d’Europa. 
Un libro che non è geografico e non è politico, non è d’occasione come un reportage giornalistico che celebra qualche anniversario né storico: è un libro denso, alle volte ostico, colto, pieno di letteratura ma anche storie personali, frammenti di vita quotidiana colti con ironia o, più spesso, semplicemente per quel che sono, momenti come tanti che però hanno avuto la fortuna di essere registrati da Magris. 
Un libro che è tante cose insieme, che si può leggere (o rileggere) tutto d’un fiato o piluccare per quel tratto di Danubio che si intende percorrere. Un libro che soprattutto è un’elegia a un mondo che oggi rimane nei libri e nelle memoria, quella Mittleeuropa poliglotta miscuglio di genti e culture che viveva sotto l’ombrello della sonnacchiosa monarchia asburgica.

Un’Europa che andava dall’Adriatico al Baltico, dal mare del Nord al mar Nero, che parlava tedesco, italiano, croato, ungherese, rumeno, yiddish, russo e una miriade di altre lingue e dialetti. Un’Europa abitata da Sudeti e Lipoveni, Valacchi e Moldavi, protobulgari, Daci, Sarmati, Traci, Avari, Ragusani, fiumani e altre dozzine di popoli grandi e minuscoli che il corso della storia ha portato in un territorio che negli anni è passato di mano, una, dieci, cento volte fino a scomparire annegato forse una volta per tutte nell’epoca dei nazionalismi e dei passaporti esclusivi. Un’Europa plurireligiosa e pluriculturale, senza frontiere, esattamente come sono, anzi dovrebbero essere i fiumi. 

A un certo punto del libro Magris parla di Joseph Roth, di cui è un incondizionato ammiratore, e cita un passo in cui uno dei tanti personaggi dello scrittore austriaco in cui si dice che le virtù nazionali «sono ancor più discutibili delle virtù umane. Per questa ragione, io odio i nazionalismi e gli Stati Nazione. La mia vecchia casa, la Monarchia asburgica, da sola era una grande casa con tante porte e tante camere, per ogni tipo d’uomo. Questa grande casa è stata divisa, separata, scheggiata. Non ho più nulla da cercare lì. Ero abituato a vivere in una vera casa, non in un separé».

Una grande casa attraversata dal Danubio. Una grande casa svanita che rileggendo Danubio di Magris viene voglia di attraversare ancora.

 
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