Quando viaggiare non è un’opzione praticabile per i motivi che tutti sappiamo ed è giusto fermarsi e stare in casa finché l’onda non sarà passata. E dalla poltrona del salotto, dalla sedia in balcone, dal comodo del proprio divano si può comunque continuare a muoversi con la mente mettendo in pratica quello che i britannici chiamano “armchair travel”, ovvero la lettura di libri di viaggio. Reportage che permettono una innocente evasione in compagnia di chi è partito per saziare la sua curiosità o lo spirito d’avventura ed è tornato per raccontarlo. Racconti di prima mano di mondi lontani e diversi, esperienze ricche di passione, empatia e divertimento spesso in zone periferiche che magari mai visiterete, ma che stuzzicano fantasia e voglia di scoprire. E poi, chi lo sa, non è detto che a emergenza finita, non si decida di partire con un libro sotto braccio per visitare i luoghi di cui si è letto in questi giorni…
Ecco la sedicesima tappa
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Che il mondo abbia un cuore sospetto sia un concetto infantile. Ma è appunto dall'infanzia passata a fantasticare sugli atlanti che uno inizia a strutturare l'idea che il mondo abbia un cuore, un centro di gravità da cui tutto si origina e a cui tutti tendiamo. L'idea infantile dice che questo centro del mondo si situa genericamente in Asia Centrale, un'area tanto grande e tanto varia che ognuno allarga i confini a piacimento come i lembi di una coperta troppo corta.
Per lo scrittore inglese Colin Thubron il cuore perduto dell'Asia si situa tra il lago d'Aral e le montagne del Pamir. Per Stefano Malatesta tra Peshwar, in Pakistan, e Urumqi, nel Xijniang cinese. Per altri sta da qualche parte a nord dell'Iran e a ovest del deserto del Gobi. Sia dove sia, per quasi tutti gli scrittori di viaggio è una parte del mondo con cui confrontarsi per potersi dire degni di questo nome.
Così la biblioteca di volumi dedicati genericamente all'Asia centrale diventa sempre più un catalogo sterminato con cui per forza di cosa confrontarsi: dal Milione di Marco Polo al coinvolgente e avventuroso La via per l'Oxiana, di Robert Byron. Per essere sicuro di trovare il suo posto su quello scaffale Colin Thubron, scrittore che più di altri mantiene viva la grande tradizione dei travel writers inglesi, il viaggio in Asia Centrale l'ha fatto non una, ma due volte.

La prima qualche mese dopo il crollo dell'Unione Sovietica, viaggiando quasi sempre in treno tra Askhabad, Samarcanda, Bukhara, Dushanbe, Taskent e Biškek per scrivere Il cuore perduto dell'Asia (Tea, pag. 396, 10 euro). La seconda oltre dieci anni dopo, per vedere come sono cambiate le cinque Repubbliche nate dallo sfarinamento dell'Urss e gli altri territori limitrofi, l'Afganistan o il Xijngiang cinese che fanno parte della nostra idea di Asia Centrale. E raccontarlo in Ombre sulla via della Seta (Tea, pag. 371, 10 euro).

Un viaggio negli "Stan" del mondo scritto da Thubron con la consueta innata capacità di mischiare in ogni pagina letteratura, approfondimento storico, empatia umana e avventura quotidiana. Perché rispetto a tanti altri scrittori di viaggio contemporanei riesci ancore a creare libri avventurosi ed eruditi, riflessivi e realistici. Libri dove in centro di gravità non è l'ego smisurato di chi si mette in cammino, ma l'osservazione partecipata delle genti del mondo. Una prospettiva quasi antropologica, come quella di un altro grande del racconto di viaggio come il giornalista polacco Ryszard Kapuściński.
Libri di impostazione tradizionale, che non raccontano viaggi improvvisati, non cedono a ironie assortite che pure in Paesi come il Turkmenistan sarebbe alquanto facili e non sbrodolano nel meravigliare luoghi che meravigliosi non sono. Perché Thubron ha in innegabile pregio: racconta le cose per come sono: belle o squallide, abbandonate o piene di vita, fantasmagoriche o decandenti. E non farlo non aggiunge e non toglie, mai. Del resto se racconti il cuore del mondo non ne hai bisogno. È già incredibile così.
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