Quando viaggiare non è un’opzione praticabile per i motivi che tutti sappiamo ed è giusto fermarsi e stare in casa finché l’onda non sarà passata. E dalla poltrona del salotto, dalla sedia in balcone, dal comodo del proprio divano si può comunque continuare a muoversi con la mente mettendo in pratica quello che i britannici chiamano “armchair travel”, ovvero la lettura di libri di viaggio. Reportage che permettono una innocente evasione in compagnia di chi è partito per saziare la sua curiosità o lo spirito d’avventura ed è tornato per raccontarlo. Racconti di prima mano di mondi lontani e diversi, esperienze ricche di passione, empatia e divertimento spesso in zone periferiche che magari mai visiterete, ma che stuzzicano fantasia e voglia di scoprire. E poi, chi lo sa, non è detto che a emergenza finita, non si decida di partire con un libro sotto braccio per visitare i luoghi di cui si è letto in questi giorni...

Ecco la quarta tappa.

Mentre la sera polverosa scende sulla cittadina di Gulu, nella regione degli Acholi nell'Uganda del Nord, piccole figure camminano svelte a bordo strada. Arrivati in città si accucciano dove possono, per terra, su un giaciglio improvvisato e si mettono a dormire. Hanno sei, sette anni, forse dieci. Sono bambini e bambine dei villaggi vicini che la sera vengono a dormire in città. I genitori li mandano via perché temono che possano arrivare i ribelli dell'Esercito del Signore di Joseph Kony e rapirli. Scappano dalla Savana, dall'incubo di venir rapiti e finire a ingrossare le fila dei soldati bambini che combattono la guerra paranoica di Kony contro il governo ugandese. Tra loro c'era Samuel, scappato dall'esercito straccione di Kony e adesso chiuso in un centro di recupero dove il reporter polacco Wojciech Jagielski lo incontra e inizia a raccogliere la sua storia. E nel raccontare la sua storia illumina quella recente dell'Uganda, una storia fatta di colpi di stato, di scontri etnici, di ferite post-coloniali e lacerazioni famigliari, presidenti paranoici e guerriglieri unti dal Signore.
Una storia terribile che però Jagielski riesce a rendere con una scrittura a suo modo lirica anche mentre racconta le peggiori stragi. Così sarà perché è polacco, sarà perché si parla di Africa, ma viene automatico pensare ai racconti di Kapuscinski, alle pagine di Ebano in cui descriveva un Continente alla ricerca di una propria via raccontando le storie minime di quelli che incontra per strada. Ecco, anche in Vagobondi Notturni (Nottetempo,pag 436, 20€) c'è molta strada e molta gente incontrata. Ma soprattutto c'è in abbondanza quella rara dote dell'empatia che segna la differenza tra un reportage che ti rimane in testa e uno che leggi e poi dimentichi. C'è il tentativo evidente di comprendere la storia di questo Paese devastato da una guerra continua e l'interesse per la psicologia dei ragazzi soldati: cosa pensavano mentre uccidevano? Cosa sentivano quando camminavano per giorni nella Savana? Cosa pensa di loro la gente dei villaggi?
Ed è un bel modo di raccontare, quello di Jagielski: costruisce un affresco profondo partendo da piccoli brandelli di storia, ma non perde mai di vista la complessità delle cose, la cornice storica e sociale di quel che vede sotto i suoi occhi. E lo fa continuando a porsi domande sul suo mestiere, sul nostro modo occidentale di vedere le cose, sul loro modo locale di interpretarle. Nel mentre riesce anche a raccontare la bellezza naturale del Nord Uganda, lo strano fascino di Kampala, l'atmosfera delle lande popolate dagli Acholi, la quiete prima della pioggia serale, l'umidità delle notte, l'aria coloniale dell'Acholi Inn, l'albergo di Gulu dove a bordo soggiornano i generali che hanno abbandonato l'Esercito del Signore. Vagabondi Notturni con le sue oltre 400 pagine è un ottimo libro. Un libro scritto tenendo sempre in mente che «in certe situazioni fare domande per un giornalista è come chiedere la carità». E se qualcuno ti fa la carità deve usarla bene, come Jagielski ha saputo fare.
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