Ci può essere un fiume più caro alla nazione italiana del Piave (o della Piave, come era chiamato fino al 1918, al femminile, quando D'Annunzio impose un cambiamento di sesso)? Eppure hanno nomi tedeschi le prime frazioni che il quinto corso d'acqua italiano incontra sul suo cammino, una quindicina di chilometri dopo essere sprizzato dalle rocce calcaree del Peralba, a circa 2000 metri di quota: si chiamano Puiche, Kratten, Hoffe, Cottern, Muhlbach, Pill... Le loro baite in legno, del resto, hanno un aspetto nordico. E i loro abitanti parlano un dialetto germanico.
Il Piave, o la Piave, lo sa da almeno mille anni, e non sembra farsene un problema. Dopo, una volta essersi lanciato nell’orrido dell’Acquatona, il Piave dal Cadore all'Adriatico sarà un fiume tutto veneto. Ma all'inizio appare qualcosa di diverso, così come hanno qualcosa di differente, di unico, sia l'idilliaca piana alpina in cui scorre sia il suo incantevole comune dai tanti nomi: Sappada in italiano, Plodn in dialetto tedesco sappadino, Bladen in tedesco, Sapade in friulano, Sapada in ladino. Tanto differente che i suoi abitanti hanno deciso di recidere la dipendenza amministrativa dal Veneto e, in barba alla logica dei confini imposti da displuviali e bacini idrografici, di legarsi con chi sta al di là dello spartiacque: ovvero il Friuli, regione dove si parla una lingua altrettanto ostica, e dove esistono altre isole linguistiche germanofone, come quella della vicina Sauris. Certo, sono serviti quasi dieci anni per concludere l'iter del passaggio di Sappada al Friuli-Venezia Giulia, avviato con il referendum comunale che nel marzo 2008 vide il 95% dei votanti pronunciarsi per l'addio al Veneto. Si è poi dovbuto attenere il settembre 2017 perché il Senato desse il suo parere positivo, consentendo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale il 16 dicembre 2017. Da allora per Sappada e i suoi abitanti è iniziata una nuova vita: continuino pure le acque del Piave a scendere verso il Cadore e verso il mare, ritrovando accenti tedeschi solo alla sua foce, presso il Lido di Jesolo caro ai turisti austriaci. Loro, gli abitanti, per ogni atto amministrativo ora preferiscono salire al valico di Cima Sappada e scendere verso la Carnia e verso Udine (alla cui provincia peraltro Sappada era aggregata fino al 1852, durante la dominazione austriaca).
A questo punto qualcuno si chiederà che cosa ci fanno un villaggio e un popolo germanici incuneati, e isolati, tra il Comelico e la Carnia. Documenti scritti non ne esistono, ma una leggenda racconta che a stabilirsi nella valle furono, intorno all'anno Mille, alcune famiglie tirolesi scese verso sud per fuggire al “regime” di conti particolarmente tirannici. La leggenda vuole che si trattasse di 15 famiglie, che avrebbero fondato le 15 borgate che tuttora costituiscono il paese. Isolati a 1250 metri in una vallata di montagna, chiusa fra passi alpini percorsi all'epoca solo da ardui sentieri, i loro discendenti conservarono e tramandarono la lingua e cultura tedesca, senza badare troppo a chi si alternava a dominarli.
Quel che è certo infatti è che nel 1296 Sappada apparteneva ai Patriarchi di Aquileia (per i quali era Longa Plavis, qualcosa tipo la piana del Piave), che dal 1420 al 1797 fu veneziana e che quindi, eccettuata una parentesi napoleonica, fu austriaca fino al 1866, quando con il Veneto entrò nel Regno d’Italia. Non avevano nostalgie asburgiche, i sappadini, eppure con il nuovo arrivo dei soldati austriaci, durante la Prima guerra mondiale, furono tutti mandati in esilio in Toscana, Sicilia, Campania e Marche: solo per via del loro dialetto, li si sospettava di simpatie filotedesche. Quanto rientrarono alle loro case, a guerra conclusa, erano ancora tutti contadini, pastori, cacciatori e boscaioli, come lo erano stati durante tutti i secoli in cui avevano vissuto coltivando orzo, segale, avena, patate, rape, cavoli, allevando mucche, maiali, pecore e capre, inseguendo cervi e caprioli per le montagne, tagliando e vendendo legname dei boschi circostanti.
Già durante le due guerre mondiali, tuttavia, la vallata avviò quello sviluppo turistico che oggi ne ha fatto una delle mete più affascinanti dell'arco alpino, con le sue 15 borgate dai nomi solo in parte italianizzati: Lerpa, Granvilla/Dorf, Palù/Moos, Pill/Pihl, Bach/Pòch (sede del Comune), Mühlbach/Milpa, Cottern/Kòttern, Hoffe/Houve, Fontana/Prunn, Kratten/Krotn, Soravia/Begar, Ecche/Ekke, Puiche/Puicha, Cretta/Krètte e Cima Sappada/Zepodn. Ad attirare i visitatori sono tanto il contesto naturale da puro idillio alpino, quanto le tradizionali baite in legno, un patrimonio architettonico gelosamente preservato. Si tratta in genere di abitazioni a due piani, formate da una casa (haus) e una stalla (schtòl) comunicanti, costruite su uno zoccolo in pietra (tschockl) incastrando le travi di legno sugli angoli degli edifici con il sistema detto Blockbau (in sappadino gezimmert).
Le case tradizionali sappadine sono visibili ovunque nella vallata, pressoché in tutte le 15 borgate oggi ormai collegate fra loro, anche se nei primi decenni del XX secolo due gravi incendi distrussero molte baite delle frazioni Bach e Granvilla. Un'occhiata meritano però anche gli edifici religiosi, come l'antica cappella di Sant'Antonio (1726) in borgata Bach e la barocca chiesa arcipretale di Santa Margherita, ricostruita nel 1779, che ha una pala d’altare di Johann Renzler (1802) e affreschi novecenteschi di Francesco Barazzutti (Assunta, Crocifissione, Morte di san Giuseppe, Martirio di santa Margherita). Assai più recente, del 1973, è invece il santuario Regina Pacis, costruito in borgata Soravia a seguito di un voto espresso nella Seconda Guerra Mondiale e davanti al quale sono collocate opere con cui un grande della scultura italiana del XX secolo, Augusto Murer, ha voluto rappresentare le angosce della guerra. Da segnalare pure, a Cima Sappada, la chiesetta alpestre di Sant’Osvaldo (1732), e nella borgata Mühlbach le 14 cappelle della Via Crucis ottocentesca, con belle statue e crocifissi in legno. Molte infine le cappelline (maindlan) e i crocefissi lignei (kraize) che, sparsi sul territorio comunale, attestano la profonda religiosità dei sappadini.
Testo di Roberto Copello; foto Gettyimages.
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Articolo realizzato nell’ambito del progetto RESTA! –finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione Generale del Terzo settore e della responsabilità sociale delle imprese-Avviso n.1/2018