L'analisi dei Comuni candidati alla Bandiera Arancione, il marchio di qualità turistico-ambientale del Touring Club Italiano, avviene in forma anonima. Ecco il racconto di un "ghost visitor" chiamato a visitare i borghi candidati senza farsi riconoscere.
Mi chiamo Rossi, Paolo Rossi. Non sono un agente segreto, ma lavoro in incognito, non posso farmi riconoscere. Cosa faccio di mestiere? Sono un ghost visitor, una di quelle persone che, senza farsi riconoscere, vanno nei posti per giudicarli. Un po’ come i critici della guida Michelin che assegnano le stelle, o provano gli hotel. A me non interessa il lusso, ma i piccoli paesi italiani dell’entroterra.
Visito i Comuni che si candidano per ottenere la Bandiera Arancione del Tci e valuto se hanno le carte in regola o devono migliorare. Arrivo all’improvviso, non cerco il favore delle tenebre, ma non mi faccio annunciare. Troppo comodo: «Salve, dovrei fare una visita al borgo per giudicare se meritevole, quando posso venire?». Se i sopralluoghi si facessero così finirebbe a tarallucci e vino: molto italiano, poco Touring.
Invece il mandato è metterci nei panni del turista, ripercorrere in tutto e per tutto la sua esperienza di visita, buona o cattiva che sia. Solo così possiamo sperimentare quello che i viaggiatori troveranno davanti. Annunciandoci troveremmo tavole imbandite, strade pulite, brutture nascoste.
Un lavoro affascinante: a volte mi sento come un agente segreto, attento a non farmi scoprire. Ma credo che il lavoro dell’agente segreto sia più semplice: non vanno in certi borghi, specie del Sud, dove ti riconoscono subito come forestiero e iniziano: «da dove vieni, a chi appartieni?». Nel caso ho una valigia di scuse da utilizzare: «Studio architettura, sto lavorando alla tesi di laurea». Mai fingersi nipoti di emigranti partiti per l’America, spunta sempre qualche anziano cugino. Mai dire la verità, chiamano subito il sindaco.
Certo, c’è il rischio di essere fermati dai Carabinieri e allora devi dire la verità, è la legge. E il più delle volte sono pacche sulle spalle, specie quando ti fermano perché stavi fotografando cassonetti dell’immondizia e bagni pubblici. A volte vengo scambiato per il tecnico dell’acquedotto, e spesso mi fermano per dirmi di problemi con tubature o gas. Mi dispiace deluderli, ascolto, annuisco comprensivo: «Non sono il tecnico». Se ne vanno delusi, ma questo è il meno.
Il vero problema è rimanere incastrati con l’auto nelle vie del borgo: spesso, essendo centri antichi, sono strette. Se non sei abituato a guidarci rovini la fiancata: per cui noleggiamo solo utilitarie. Quando giri in certi
paesi fuori stagione hai sempre l’impressione di essere seguito. Se va bene è un cane, altre volte è quella strana sensazione che ci sia qualcuno a spiarti dalle finestre e dai balconi: probabile, conoscendo il sistema di controllo di vicinato di certe vecchine.
Tecniche per camuffarmi non ne ho: con l’esperienza ho imparato a rendermi invisibile, o quasi. Una cosa mi rincresce: nei paesi più piccoli, dove c’è un unico bar che è l’epicentro della vita, non posso mai prendere un caffè. Mi scoprirebbero subito.
illustrazione di Gianluca Biscalchin