Il gotico, forma espressiva artistica e architettonica tipicamente francese, non ha goduto di grande fortuna in Italia: al massimo, nella penisola, se ne sono adottati alcuni elementi, ma quasi sempre con interpretazioni assai particolari, piuttosto lontane dai modelli originali. Per trovare un'eccezione a questa regola bisogna andare a cercare le architetture discese da un altro tipo di “regola”: quella monastica benedettina. E, in particolare, rintracciare quelle sviluppate in quella branca dell'universo benedettino che è l'Ordine Cistercense, sorto nell'abbazia che san Roberto di Molesmes fondò a Cîteaux, in Borgogna, il 21 marzo 1098.

L'idea alla base della Riforma cistercense era molto semplice: cercare Dio in modo radicale e austero, da innamorati dell'assoluto, vivendo senza compromessi la Regola di San Benedetto e tornando a mettere al centro la preghiera e il lavoro manuale. Un carattere austero che i monasteri immisero anche nei modelli stilistici e costruttivi delle loro chiese e dei loro monasteri: dapprima attuati in Borgogna, poi esportati in mezza Europa, grazie anche allo strettissimo rapporto esistente fra l'abbazia madre e le tante abbazie figlie. Così accadde anche in Italia, dove l'esempio più antico, più evidente e più completo di architettura cistercense è la splendida abbazia di Fossanova, che si erge nella pianura Pontina in territorio del Comune laziale di Priverno, antico centro in provincia di Latina. Qui i primi cistercensi si insediarono con idee ben chiare, non solo quanto agli edifici religiosi e monastici da erigere, ma anche al lavoro di bonifica che misero in atto, trasformando queste aree paludose in produttive zone agricole e ribattezzando il monastero Fossa Nuova, dal fossato che gli avevano scavato intorno (non a caso, i cistercensi sono passati alla storia come monaci dissodatori e bonificatori).

L'abbazia di Fossanova era figlia dell'abbazia di Hautecombe, in Savoia. Che era filiazione di quella di Clairvaux, fondata nello Champagne-Ardenne da san Bernardo di Chiaravalle, e a sua volta figlia dell'abbazia di Cîteaux. Inevitabile era dunque che Fossanova ricalcasse le forme dei primi luoghi cistercensi, secondo un impianto originario che, adattando i preesistenti modelli benedettini, prevedeva che la chiesa comunicasse con il chiostro, che su questo si affacciassero le porte delle celle di clausura e il refettorio, infine che la foresteria e l'infermeria, in quanto strutture aperte anche ai laici esterni al monastero, venissero tenute come corpi ben staccati. Un nucleo edilizio che, oltre a favorire le cinque attività basilari nella vita di un monaco (preghiera, lavoro, studio, nutrimento e sonno), andava a costituire un vero villaggio della fede dove nulla mancava di quanto serviva alla vita di un monaco.

Ed è così, come un suggestivo “borgo” monastico, che Fossanova si presenta a chi la visita, che ad attrarlo siano le ragioni dell'arte e della storia piuttosto che quelle della fede e dello spirito. L'abbazia laziale appare d'improvviso, in bella posizione allo sbocco della valle dell'Amaseno, preceduta da una torre merlata sotto la quale occorre passare per entrare in un grande cortile e trovarsi di fronte alla semplice e grandiosa facciata della chiesa, con il grande rosone e la ricca decorazione cosmatesca nell'architrave e nella lunetta del portale, alla cui destra si allunga il monastero.

È da dire che qui, sorta sul luogo di un'antica villa romana, un'abbazia benedettina esisteva già almeno dal IX secolo, con il titolo di santo Stefano Protomartire, e che vi aveva dimorato papa Gregorio IV prima dell’827. Con l'arrivo dei Cistercensi, cui papa Innocenzo II la concesse nel 1134 (primo abate di Fossanova fu forse il beato Gerardo martire, discepolo di san Bernardo), il complesso assunse però un altro aspetto. I lavori della grande chiesa abbaziale iniziarono tra il 1163 e il 1187, ma papa Innocenzo III la consacrò solo nel 1208. Pare che anche l’imperatore Federico Barbarossa contribuì alle spese di costruzione, almeno secondo un’iscrizione sull’arco del portale, ora ricoperta da mosaico: “Fridericus imperator semper augustus hoc opus fieri fecit”. La chiesa era volutamente priva di campanile, sostituito da un alto tiburio centrale con funzione di torre nolare (ovvero una torre che si erge dalla crociera di una chiesa). Eretta forse da monaci giunti appositamente da Clairvaux, era la prima costruzione in Italia di tipo gotico cistercense: un vero archetipo destinato a imporsi come modello tipologico per le future abbazie del Lazio e dell'Italia centrale, con qualche variazione rispetto ai modelli francesi. Per esempio, l'abside è quadrilatera, anziché semicircolare con cappelle radiali.

Caratteristici sono anche il chiostro e la pianta a tre navate divise da pilastri quadrati o rettangolari, con semicolonne pensili che si interrompono prima di raggiungere terra. La navata centrale, più alta e molto più larga di quelle laterali, appare tanto semplice quanto luminosa: un vero inno allo stile cistercense e alla necessità di elevarsi verso l'alto, bandendo ogni concessione decorativa. Qui il gotico, con le sue nude geometrie, manifesta e rappresenta alla perfezione l'ascetico e razionale spirito cistercense. Soltanto nelle cappelle laterali e nel coro si conservano alcuni affreschi, staccati, del Tre e Quattrocento.

Dalla navata destra della chiesa si accede poi al grande chiostro rettangolare: i tre lati più antichi sono in stile romanico, evidenza più notevole del primo monastero benedettino, mentre il quarto, rifatto a fine XIII secolo da marmorari romani, è in un elegante stile gotico, con graziose colonnine binate e un'edicola che si protende nel giardino. Proprio all'altezza dell'edicola si apre l'accesso al Refettorio, vasta sala rettangolare di 30 metri per 10, adiacente al Calefactorium, una sala di riunione invernale, con un grande camino. E di fronte al Refettorio c'è anche la fontana del chiostro (lavabo), che risale al Duecento. Su un altro lato del chiostro si apre invece la Sala capitolare, quasi quadrata e suddivisa da due pilastri polistili centrali a pianta cruciforme, rifatta verso il 1250 in gotico fiorito. Esterni al complesso, infine, si trovano la vasta sala rettangolare dell'Infermeria, a sud, e il basso edificio porticato della Foresteria, al cui primo piano c'è la stanza dove nel 1274 morì san Tommaso d'Aquino.

Un suggestivo ambiente voltato della Foresteria ospita invece il Museo Medievale, sezione del Museo Archeologico di Priverno, che espone materiali altomedievali provenienti dai recenti scavi che nella zona hanno indagato l'ultimo periodo di Privernum, l'antica città volsca e poi romana, e della nascita dell'abbazia. Da notare un affresco stratificato dei secoli IX e X-XI con la Vergine orante, proveniente dalla basilica altomedievale di Priverno.

L'abbazia di Fossanova fu per almeno un paio di secoli un grande centro d'arte e di studi, ma poi, fatalmente decadde. Dal Quattrocento in poi fu retta da cardinali abati commendatari. Nel 1795 papa Pio VI la affidò ai trappisti di Casamari, l'altra splendida abbazia laziale, ma poco dopo, nel 1798, le truppe francesi di Napoleone, nella prima discesa in Italia, saccheggiarono il monastero, malmenarono e misero in fuga i pochi religiosi, quindi decretarono la soppressione dell’abbazia per incamerarne i beni. Furono salvate le reliquie e la testa (vera o presunta) di san Tommaso, che furono portate nella cattedrale di Priverno per esservi custodite e venerate. Ma intanto l’abbazia, rimasta senza porte ed infissi, era esposta all’arbitro di tutti, tanto che la sua chiesa veniva utilizzata persino come stalla per le mandrie di bufali. Il peggio però doveva ancora arrivare: quando nel 1806 i napoleonici ripassarono per Fossanova non si salvò più nulla, neppure l’archivio storico. Alcuni cimeli, libri, opere d’arte, quadri e oggetti sacri in realtà furono nascosti negli archivi del Comune e della Cattedrale di Priverno. Quando l'abbazia riaprì nel 1826 grazie a papa Leone XII, che la ricomprò e la affidò ai padri certosini di Trisulti, quei documenti e quelle opere d'arte sopravvissuti alle razzie furono restituiti a Fossanova, ma purtroppo nel corso del XIX secolo se ne è perso le tracce e oggi risultano introvabili. Dopo la soppressione voluta dallo Stato italiano, il governo Italiano vendette l’abbazia al principe Borghese che vi costruì, attorno al 1911, le abitazioni che formano il borgo, oggi quasi disabitato. Nel 1926 i Padri Certosini abbandonarono definitivamente l'abbazia. Subentrarono i religiosi di don Guanella, poi i frati conventuali minori. Infine, dal settembre 2017 l’Abbazia viene gestita dall’Istituto del Verbo Incarnato, istituto religioso cattolico fondato in Argentina nel 1984 da padre Carlos Miguel Buela.

Testo di Roberto Copello; per le foto, si ringraziano Comune di Priverno (in alto, chiostro con giardino, museo); L'Orbicolare (foto verticale); Wikipedia Commons (chiostro); GettyImages (esterno, interno). 

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