D'un alto monte onde si scorge il mare / miro sovente io, tua figlia Isabella, / s'alcun legno spalmato in quello appare / che di te, padre, a me doni novella”. Triste vicenda, quella di Isabella Morra, o Isabella di Morra, poetessa cinquecentesca dalla vita breve e tragica, spezzata dai suoi stessi fratelli quando aveva appena 26, o forse 28 anni. Nata probabilmente nel 1520, era la figlia del feudatario di Valsinni (allora la poverissima Favale), il nobile napoletano Gian Michele di Morra, egli stesso umanista e poeta, che aveva origini normanne e che all'epoca della guerra tra gli spagnoli di Carlo V e i francesi di Francesco I per il possesso del Regno di Napoli non esitò a schierarsi dalla parte di quest'ultimo. L'esito della guerra, con i francesi sbaragliati, segnò per sempre il destino dei Morra: Gian Michele fu costretto a fuggire in esilio a Parigi con uno dei figli, mentre Isabella con la madre e gli altri fratelli restarono a Valsinni. La bambina aveva solo 8 anni e da allora si fece adolescente e poi adulta nella solitudine del castello di famiglia, ricevendo una solida educazione letteraria che però contribuì ad accrescere in lei la nostalgia per quel padre che non aveva la possibilità di rivedere. Tale malinconia  intride le non molte poesie di Isabella pervenuteci (solo dieci sonetti e tre canzoni), spogliando di ogni manierismo la loro impostazione petrarchista, in linea peraltro con il gusto dell'epoca e con le regole dettate da Pietro Bembo. Isabella non s'illude di veder comparire all'orizzonte la nave che a lei riporti il padre perduto, e allora alza la sua voce contro quanto il destino le ha riservato, contro quella Fortuna che, a differenza dei letterati suoi contemporanei che ne facevano un motore positivo della Storia, lei definisce “crudele”, in essa vedendo un'oscura fonte di male. Non solo: Isabella estende la sua aspra lamentela al luogo stesso dove è confinata in un esilio simmetrico a quello del padre lontano, il castello di famiglia dove i fratelli minori Decio, Fabio e Cesare l'avevano reclusa: “Contra Fortuna allor spargo querela, / ed ho in odio il denigrato sito, / come sola cagion del mio tormento”.

Triste sorte quella di una figlia privata del padre e della libertà, ma a Isabella sarebbe toccato persino di peggio. Complice il suo precettore, Isabella strinse una relazione peraltro forse solo epistolare con il nobile spagnolo Diego Sandoval de Castro, governatore di Cosenza che con la moglie Antonia Caracciolo aveva un possedimento confinante con quello dei Morra, il feudo di Bollita (oggi Nova Siri). Era egli pure poeta, e a Roma nel 1542 aveva pubblicato un volume di rime petrarchiste. L'intesa con Isabella non fu dunque difficile. La leggenda vuole che i fratelli di Isabella, scoprendo la sua relazione con il de Castro, uccisero entrambi gli amanti e anche il precettore della sorella. In realtà pare più probabile che sospettassero, o avessero prove, di un suo “tradimento”, un'intesa tra Isabella e il nobile spagnolo per l'occupazione armata del feudo di Favale. La realtà vera del rapporto fra i due resta un mistero. Delitto d'onore o no, Isabella, sconosciuta in vita, è passata alla storia come l'infelice, grande poetessa uccisa a pugnalate da fratelli troppo gelosi.

Dimenticata per secoli, Isabella Morra fu riscoperta a inizio XX secolo dal linguista Angelo de Gubernatis, che la paragonò a Saffo e ne fece un emblema di donna vittima di violenza domestica. Fu lui a segnalare a Benedetto Croce la vicenda della Morra, e soprattutto l'altezza della sua produzione letteraria, con la sua vena tetra e la sua carica drammatica. E fu poi lo stesso Croce a portare la Morra all'attenzione generale, specie dopo che nel 1928 visitò Valsinni, dove addirittura fece scavare nel vano tentativo di identificare la tomba di Isabella, che sapeva essere stata sepolta nei sotterranei della chiesa parrocchiale. Croce non trovò nulla, ma riuscì a ricostruire nei suoi dettagli ogni aspetto della vicenda storica di Isabella e dei suoi familiari, mosso anche dal fatto che, scriveva, “una specie di culto si è acceso, in questi ultimi anni, intorno alla risorta  immagine della poetessa, presso i suoi concittadini”.

Un culto che prosegue oggi con il successo del  Parco letterario “Isabella Morra”, inaugurato nel 1993 e uno dei primi parchi letterari italiani. Con il supporto della Società Dante Alighieri, e grazie anche al centro visite gestito dalla Pro Loco, il Parco utilizza la poesia come chiave di lettura del territorio, proponendo viaggi nella memoria, alla scoperta delle specificità di Valsinni. Fulcro del programma annuale è “L'Estate di Isabella”, nel 2019 alla 29esima edizione, una serie di manifestazioni culturali in onore della poetessa, con itinerari poetici, mostre nel castello, rappresentazioni teatrali e appuntamenti gastronomici che si estendono a tutto il mese di agosto, quando ogni sera trenta giovani in costume accolgono i visitatori con i racconti dei cantastorie e le canzoni dei menestrelli (oltre alla possibilità di assaggiare i prodotti tipici lucani). Anche così resta viva la memoria di Isabella, la più sfortunata  di quel novero di poetesse che nel Cinquecento, in modi diversi, seppero infondere nella lirica idealizzante dell'epoca una sensibilità femminile fino ad allora ignota alle patrie lettere. Con accenti nuovi che però mai come in Isabella Morra producono rime autentiche, gentili e angosciate, trasudanti dolore vero, lontane dagli eccessi retorici e dagli artifici estremi dei petrarchisti. Versi in cui, non a caso, più d'un critico ha visto niente meno che un'anticipazione di quanto tre secoli dopo scriverà Giacomo Leopardi.

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Testo di Roberto Copello, foto di Antonietta Dursi