Gradara sorge in un territorio ricco d’ulivi, vigneti e dall’antica tradizione culinaria. Le tipiche trattorie e i ristoranti offrono la tradizionale cucina marchigiana e romagnola. Qualche anno fa, tuttavia, qualcuno pensò bene che il paese meritava di proporre qualcosa di tutto suo, che lo distinguesse dalle altre località della Riviera e delle vallate interne. Perché non ci si poteva certo accontentare di un'iniziativa come “Il Medioevo a tavola”, giornate dedicate a una (supposta) cucina medievale che a Gradara, nel corso dell'anno, trasformano i ristoranti del borgo in tante taverne quattrocentesche. No, occorreva qualcosa di più specifico. Furono interpellati esperti di gastronomia, storico locali, gli anziani del paese. E alla fine si identificò quello che dal 2007 si è imposto come il piatto tradizionale di Gradara: il Tagliolino con la Bomba. Anzi, esiste una data esatta di nascita: il 16 settembre di quell'anno, giorno in cui fu organizzata la prima sagra. Ma di che cosa si tratta? Perché è stato scelto? E perché quel nome così curioso? Si potrebbe pensare al passato turbolento di Gradara e della sua fortezza, testimone di tante battaglie, ma si andrebbe fuori strada. Si tratta invece di un piatto povero molto comune nel territorio sino a qualche generazione fa, specie negli anni della prima guerra mondiale.

Le ricerche fatte a Gradara ne hanno rintracciato una vivace descrizione in un libro pubblicato nel 1980 da Delio Bischi, “La civiltà contadina nelle tre valli (Metauro, Foglia, Conca)”. In quelle pagine era riportata la testimonianza di un certo Riccardo Romagna, che così raccontava: “Negli enormi camini delle case di campagna, nel periodo invernale, c'è sempre il fuoco acceso e, appeso alla catena, il caldaio in rame è sempre quasi pieno d'acqua ad elevata temperatura. A mezzogiorno l'azdora (mitica figura di massaia e di regina del focolare popolarissima fra Romagna e Marche, in quanto ritenuta colonna portante della famiglia – ndr) mette del sale nell'acqua e aumenta il fuoco sotto il caldaio, poi si accinge a fare la sfoglia con farina e acqua. La sfoglia, non tirata tanto sottile (tre o quattro millimetri di spessore), viene tagliata a fettuccine sottili, ottenendo dei tagliolini a sezione quadrata. Quando l'acqua nel caldaio bolle, butta dentro i tagliolini. Contemporaneamente l'azdora fa soffriggere su dei carboni accesi, in un tegamino di terracotta, dei cubettini di lardo o di pancetta grassa: quando questi sono rosolati, i tagliolini nel caldaio hanno raggiunto la cottura. L'azdora scopre il caldaio e versa il contenuto del tegamino sui tagliolini bollenti. Il lardo (o pancetta) bollente a contatto dell'acqua, pure bollente, produce una esplosione di vapore (“bomba”). Poco dopo, circa un minuto, lei tira giù il caldaio, versa tutto il contenuto, amalgamato, nelle terrine o pentoloni in terracotta e lo serve a tavola”.

Il signor Riccardo Romagna non si limitava però a esporre la ricetta e a spiegare perché sin parlasse di “bomba”, ma aggiungeva anche altri dettagli quasi folcloristici: “Si dice che i ragazzi di allora avessero il naso sempre spellato, perché, affamati e per poterne mangiare un secondo piatto, mangiavano col risucchio e talmente in fretta che i tagliolini, nello svincolarsi dal piatto, sbattevano bollenti sul naso, producendo delle scottature. Queste difficilmente riuscivano a guarire, perché il piatto in parola veniva mangiato quasi tutti i giorni, e quindi le ferite non facevano in tempo a rimarginare. A proposito del risucchio, raccontano che i 19 componenti di una famiglia che abitava in una casa colonica a pochi metri dalla ferrovia, un giorno, mentre erano a tavola a mangiare i tagliolini con la bomba, non sentirono passare il diretto Bologna-Ancona delle 12.30, per il gran fragore prodotto dal risucchio”.

Testo di Roberto Copello; foto Thinkstock e Comune di Gradara.

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