Il paese di Aggius è stato l’epicentro del banditismo gallurese per circa tre secoli: dalla metà del Cinquecento, in pieno periodo spagnolo, alla metà dell’Ottocento, sotto la dominazione sabauda. Durante questo lungo e travagliato periodo nell’impervio ed allora più vasto territorio di omicidi, agguati, furti di bestiame e danneggiamenti erano all’ordine del giorno. Lungo i litorali delle “Cussorge” più lontane prosperavano del tutto impunite orde di contrabbandieri e di abigeatari, tanto che nel 1726 un rapporto molto dettagliato delle autorità locali attribuisce ad Aggius il ruolo di paese leader nel traffico clandestino di cereali, e pochi giorni dopo il viceré, conte Pallavicino di Saint Remy, emana un decreto che inizia così: “Essendo stato informato che gli abitanti della villa di Aggius, dediti quasi tutti al contrabbando, sono soliti prendere il grano ed altri generi commerciali di cui fanno contrabbando dai villaggi e dalle località dell’Anglona. Così si organizzano in quadriglie…”.
Risale invece al 1766 l’ormai famoso “pregone” del viceré Francesco Ludovico Costa, il cui testo integrale, opportunamente ingrandito e stampato su un grande pannello, è stato collocato sulla facciata dello stabile che ospita il Museo. Si tratta del pronunciamento in cui si minaccia la distruzione della villa di Aggius in quanto ritenuta “scandaloso ricovero e favore … di banditi e facinorosi”. Sul versante popolare, però, la figura del bandito veniva assimilata spesso a quella del diseredato, caduto in disgrazia per motivi d’onore e quindi meritevole di rispetto e protezione.
Veduta di Aggius - foto di G.Leoni
Ecco perché si è deciso di allestire un museo dedicato al banditismo senza correre il rischio di mitizzare la figura del fuorilegge e di esaltarne le sue gesta. L’obiettivo di questo museo, semmai, è esattamente il contrario: diffondere valori positivi per la costruzione di una mentalità che favorisca l’affermarsi della legalità e della moralità pubblica ad ogni livello.
Il Museo del Banditismo si propone di compiere ricerche sulle testimonianze materiali dell’uomo e del suo ambiente: le acquisirà, le conserverà, le comunicherà e soprattutto le esporrà ai fini di studio, di educazione e di diletto. Questo museo, allestito non a caso nel palazzo della vecchia Pretura, è situato nella zona più antica del paese. E proprio nei vicoli attigui a questo edificio, più di un secolo fa, furono commessi numerosi omicidi. Il percorso espositivo si articola in 4 sale che accolgono una bella documentazione e oggetti che vale la pena di vedere. Una teca è dedicata al bandito aggese Sebastiano Tansu, “il Muto di Gallura” figura che ispirò l’omonimo romanzo di Enrico Costa.
Museo del Banditismo
Di questo periodo molto travagliato e sanguinario che coinvolse il paese di Aggius, sono rimaste oltre alle testimonianze conservate all'interno di questo unico museo, anche miti e leggende. Una di queste racconta di un monte: "Lu Monti di la Cruzi" ......
Questo monte è il più famoso e importante di quelli che formano il Resegone di Aggius, esso sovrasta il paese e sulla punta più alta è stata issata una croce di ferro, che ha dato il nome al monte.
Visitandolo si rimane affascinati dalle sue forme granitiche e in particolar modo: dall’arco del diavolo, che si trova a pochi passi dalla grande croce posta in cima al monte; dalla conca della Madonna, una specie di nicchia naturale scavata nel granito, si dice che la Madonna qualche volta vi abitasse per tenere lontano il diavolo; da “lu Tamburu Mannu”, una gran lastra di granito che posa sopra un blocco spianato, basta salire sull’orlo e far forza col corpo perché la pietra oscilli, dondoli e produca un rullio cupo, sordo, continuo come il mugolio di un tuono in lontananza.
A memoria dei più vecchi, questo tamburo è sempre esistito, e pare abbia malefici influssi. Si dice che quando si ode il rullio è certo che una persona è morta o deve morire di morte violenta. (E. Costa, Il Muto di Gallura).
Narra la leggenda che ogni giorno, al calar della sera, il diavolo si affacciava sul monte “Tamburu” e, piantati gli enormi piedi sullo stesso e poggiate le mani su un altro masso antistante (esistono quattro cavità naturali su quei massi che la leggenda attribuisce appunto alle impronte di Satana) lo faceva traballare emettendo dei boati simili al rullo di un gigantesco tamburo, pronunciando con voce profonda e roca la terribile minaccia:
“Aggju meu, Aggju meu,
e candu sarà la dì chi ti z’aggju
a pultà in buleu?”
E ciò continua la leggenda, per infliggere al paese il giusto castigo a causa dell’uccisione di circa settanta persone in seguito alla feroce inimicizia sorta, nella seconda metà del 1800, tra le famiglie dei Vasa e dei Mamia per il mancato matrimonio dell’irrascibile Pietro e della soave Mariangela.
La popolazione aggese, atterrita dalle quotidiane minacce del diavolo, decise di prendere dei provvedimenti: si ricorse al parroco, si chiamarono a consulto “li rasgiunanti” del paese (i saggi del paese), ma invano, perché il diavolo continuava a tormentare la popolazione.
Verso la seconda metà dell’ottocento, ad un missionario capitato ad Aggius venne l’idea di piantar una gran croce di ferro sul monte, per far fuggire il demonio.
Tutti gli abitanti si recarono sul monte in processione orante e si racconta che in quella notte soffiò un vento fortissimo, che sradicò molte querce secolari e fece precipitare dai monti più di un masso di granito. Tutte le case tremarono dalle fondamenta, ma la croce rimase ben salda. Gli aggesi corsero dal Rettore terrorizzati, ma egli li rimandò a casa tranquillizzandoli dicendo loro: “è il diavolo che torna all’inferno”.
"Lu Tambureddu"
Scopri cos'altro vedere e cosa fare ad Aggius.