«La tessitura è un lavoro da circa quarant’anni, ma filare la lana al telaio è una cosa che faccio da quando ero bambina». Gabriella Lutzu ora ha 63 anni e i fili che intreccia uno dopo l’altro, componendo le geometrie colorate dei sui tappeti, sono anche una traccia della sua vita, accompagnata fin dall’infanzia da lana e telaio.  Gabriella vive e lavora ad Aggius, piccolo borgo certificato Bandiera Arancione del Touring Club Italiano nel cuore della Gallura, vicino a Tempio Pausania, dove ha creato il suo laboratorio-atelier L’Albero Padre. Un paese in cui la tessitura della lana fa parte del paesaggio quanto il granito, le sughere e i lecci, ed è un elemento fondante della cultura locale come le pecore e i nuraghe, dei quali, a pochi chilometri dal centro di Aggius, è possibile ammirare uno degli esempi più importanti e meglio conservati della Sardegna settentrionale, il nuraghe Azzana.

«La tessitura fa parte della mia storia – racconta Gabriella – è sempre stata l’attività della mia famiglia, da generazioni. Io ho iniziato per gioco, quando avevo dieci anni, con un piccolo telaio, imitando il lavoro di mia mamma, della nonna, delle zie. Di giocattoli quando ero piccola non c’erano, diciamo che la mia Barbie è stato il telaio. Ho iniziato con la sacc’a cjai di stracci, un filato realizzato con vecchi indumenti o lenzuola rotte: prima dovevo tagliarle in piccole strisce e poi filarle nel telaio». Un gioco di bimba che arriva direttamente dal patrimonio spirituale della Gallura e di Aggius in particolare, il più importante centro tessile della zona, con testimonianze storiche riferite alla tessitura vecchie di millenni. E che ha segnato il paese quasi quanto la pastorizia, diventando da attività collaterale a vero e proprio settore produttivo fin dai primi dell’800. La voce relativa ad Aggius del “Dizionario statistico-commerciale” compilato dall’abate Vittorio Angius per il Re di Sardegna nel 1856, spiega che qui «Fanno tele molto stimate, e le vendono in molti dipartimenti del regno; lavorano, pure belle tovaglie, e alcune opere pajon molto superiori a’ mezzi che si hanno. Il forese di prima qualità è considerato come uno de’ migliori tessuti nazionali. Forse non si mandan fuor della provincia meno di 1000 pezze di lana, e altrettante di lino».

Arte antica diventata industria e commercio per poi tornare, seguendo i capricci dell’economia, alla dimensione attuale di artigianato artistico. Di cui Gabriella e il suo Albero Padre sono protagonisti: «I clienti sono per la maggior parte turisti che si innamorano dei nostri tappeti o delle coperte, che apprezzano il carattere forte e ruvido della nostra lana, che rappresenta così bene questa terra. Così come il disegno che arriva dalla nostra tradizione. Lavoro molto anche su commissione. I tappeti di grandi dimensioni li faccio solo su richiesta, anche perché per realizzarli devo mettere insieme diversi pezzi, essendo la larghezza massima di un filato due metri. Ora, per esempio, sto realizzando un tappeto per una signora di Bergamo che vuole arredare con un pezzo di autentica Sardegna la sua casa al mare. E pazienza se i colori richiesti, che comprendono le tonalità marine dell’azzurro e del turchese, non fanno propriamente parte della nostra tradizione».

Già, perché quella di Aggius è una tradizione “povera”, ricca di perizia tecnica e creatività, ma semplice e rigorosa, agganciata a motivi geometrici riconoscibili con tonalità tipiche. «I nostri colori – spiega Gabriella – sono quelli della terra, il marrone, il rosso, il giallo, il verde, ottenuti con tutti con tinture vegetali ricavate da bacche, foglie, scorze, radici e cortecce che io mi preparo da sola. Per le tonalità dell’azzurro, del blu e dell’indaco mi rivolgo al laboratorio di Maurizio Savoldo ad Atzara, in provincia di Nuoro. Ci sono poi i filati realizzati con lane non colorate, bianche e nere, prodotte direttamente dalle nostre pecore».

I tappeti e gli altri manufatti realizzati da Gabriella sono tutti rigorosamente a “chilometro zero”, le lane arrivano infatti dalle pecore che pascolano intorno ad Aggius o comunque nella zona, famose – e redditizie – per il formaggio ma molto meno per il loro manto, che solo negli ultimi anni ha trovato una nuova vita commerciale nell’utilizzo per le coibentazioni edilizie e per le opere di isolamento acustico. «La lana delle nostre pecore – dice Gabriella – non ha un grande mercato, non viene utilizzata per l’abbigliamento, è troppo dura e ispida: indossare un maglione fatto con la nostra lana farebbe venire l’orticaria. Però è resistente, quasi indistruttibile. Io a casa ho ancora delle coperte dei miei antenati che risalgono alla fine dell’800 e sono ancora in ottime condizioni. È quindi perfetta per creare tappeti e altri filati che devono resistere all’uso».

Tutto viene realizzato con lo stesso telaio a mano orizzontale, fedele compagno di Gabriella da ormai quarant’anni: «L’ho fatto costruire da un artigiano della zona negli anni 80, quando abbiamo deciso di concedere il meritato riposo al nostro antico telaio di famiglia che risaliva all’800 e che adesso arricchisce la collezione del museo etnografico di Aggius, che espone oggetti e arredamenti tradizionali tipici dell’ambiente domestico, e nel quale una parte importante è proprio legata al mondo della tessitura».

C’è una canzone di Fabrizio De Andrè, la cui famosa tenuta dell’Agnata è a pochi chilometri da Aggius, che recita «Fila la lana, fila i tuoi giorni»: il gesto antico della tessitrice al telaio è associato allo scorrere lento delle ore e a un’attesa destinata a protrarsi all’infinito. Ma, mentre per la protagonista della canzone - che richiama la figura mitologica classica di Penolope - il gesto ha qualcosa di triste e rassegnato, per le fantasiose creazioni di Gabriella e dell’Albero Padre è invece il simbolo di una tradizione che resiste, un colorato ponte tra la cultura arcaica e il presente, un esempio di come la storia di una terra possa diventare arte attraverso oggetti quotidiani come un tappeto o un cuscino realizzati con la lana “povera” della Sardegna.

Per informazioni sui prodotti de L’Albero Padre e visitare l’atelier di Gabriella Lutzu si può utilizzare la pagina dedicata sul sito di Aggius Comunità Ospitale.

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Testo: Luca Tavecchio - Foto: L'Albero Padre