Sui sentieri di Bossolasco

Veniva definita e universalmente riconosciuta, cinquant’anni fa e prima ancora, come “La perla delle Langhe”. Non era soltanto per l’amenità del luogo, per lo spettacolo di un panorama grandioso spaziante, a sud, dalle ultime propaggini dell’Appennino fino alle Alpi valdostane dalla parte opposta. Era per la grazia con cui case e cortili e strade venivano curati anche nei dettagli. Una pianta di rose accanto ad ogni porta, le pietre delle case riportate alla vista dopo aver rimosso vetusti e scrostati intonaci, le originali e graziose insegne degli esercizi e delle abitazioni. E poi, i concorsi di pittura organizzati annualmente con la presenza, tra gli altri, di illustri maestri dell’Accademia torinese. Spazio pubblico e privata proprietà già erano fatti oggetto di un’armonica convergenza di intenti e di iniziative per valorizzare quello che a tutti gli effetti era considerato un bene comune: il proprio paese. Per questo, chiunque si avventurasse su quelle colline viveva quasi come un obbligo, oltre che per personale piacere, una visita, anche breve, di Bossolasco.
In un certo qual modo il luogo ha fatto scuola, trascinando in una virtuosa competizione tutti i paesi, e sono tanti, all’intorno. A partire da quelli che il recente riconoscimento Unesco ha messo al centro di un’attenzione sempre più ampia e internazionalizzata. La “perla” ha generato, per una sorta di benefico contagio, tante altre perle, sicché oggi quell’appellativo lusinghiero del luogo si è smorzato avendo perso la sua unicità o la sua esclusività di fronte a tanti competitori. Al tempo stesso, però, ha mantenuto un primato che nessuna imitazione e nessun altro luogo, neanche celebre, può scalfire. Bossolasco era e resta, più di altri, “uno dei più bei villaggi…”, come dicono e scrivono i cugini d’oltralpe delle loro bellezze poco conosciute al grande pubblico del turismo di massa. A pieno titolo e meritatamente, comunque, per tutti e senza confronti con alcuno, “Il paese delle rose”.
Questa premessa è necessaria perché una lunga passeggiata nei boschi all’intorno o sui crinali di una langa ventosa e ricca di vegetazione anche rara non può prescindere dall’incontro con il luogo abitato ed i suoi tanti piccoli segreti.
Eravamo in ventidue, martedì 13 giugno, all’appuntamento con l’Alta Langa. Le rappresentanti dell’Associazione “Sentieri di Bossolasco” ci hanno gentilmente fornito numerose utili informazioni e cartine dei quattro percorsi, che portano il nome dell’umile fiore che prevale in ciascuno di essi: Primula, Biancospino, Orchidea, Ginestra.
La nostra scelta è caduta sul Biancospino e sul Ginestra. Il primo (segnavia blu), più breve, si snoda ad anello quasi completamente all’interno di un’area boschiva a nord est del paese, con ingresso dalla circonvallazione Bauzano, discendendo verso la vallata del rio Slavarone, per piegare, a metà percorso, sulla valle Belbo, che si apre d’un tratto alla vista in tutta la sua inattesa grandiosità. Proprio lì, il piccolo cortile attiguo a due leggiadre casette, frutto di un bel recupero, ingentilito da un’ampia e suggestiva macchia di lavanda offre l’occasione per una sosta piacevole. La risalita non è per nulla faticosa, perché graduale e abbastanza breve. Si rientra ritornando al punto di partenza, percorrendo alla fine una stradina asfaltata su cui si affacciano casette sobriamente restaurate e piccole ville.
Per percorrere il Ginestra (segnavia azzurro) occorre trasferirsi, fuori del concentrico, sulla strada verso Savona, al Santuario della Mellea. Per un chilometro e mezzo si cammina su di una stradina di cresta dalle leggere ondulazioni, parallela alla provinciale, che offre alla vista, a sinistra, la Valle Belbo ed i suoi paesi, mentre la memoria corre ai tanti racconti di Fenoglio lì ambientati, e a destra, in lontananza, il vasto territorio langarolo dei celebri vigneti. Si costeggia, verso il termine, l’Osservatorio naturalistico “Madonna della pace”, che presenta ricche didascalie delle specie vegetali del luogo, proponendosi come sede di studi botanici e ornitologici e come centro didattico, e si perviene alla cappella di San Rocco, testimonianza duratura di antiche devozioni invocanti la protezione contro le, purtroppo un tempo assai frequenti, malattie contagiose.
Il percorso poi discende verso il Belbo e a mezza costa devia nell’area boschiva snodandosi, per un buon tratto di quasi tre chilometri, in uno zig zag continuo di saliscendi, talora su sentiero, talora su carrareccia, e risale su di una stradina di collegamento tra il fondovalle ed il colle, fino al Santuario della Mellea, punto di partenza.
In tutto, fra l’uno e l’altro tracciato, la camminata ha richiesto poco meno di quattro ore, dedicando tutto il tempo voluto a scattare tante fotografie, a brevi pause ristoratrici, all’osservazione dei luoghi, delle piante e degli arbusti, delle tante varietà di fiori, tra cui primeggia sul secondo percorso, in piena coerenza con la denominazione attribuitagli, la flessibile, “odorosa” ginestra, il “fiore del deserto” cantato, nella celebre lirica leopardiana, come simbolo della finitezza e, ad un tempo, dell’unica dignità possibile della condizione umana.
La visita di Bossolasco, dopo un degno pranzo in trattoria, ci offre l’opportunità di apprezzare pienamente le tante originali particolarità che caratterizzano il “paese delle rose” e completa il quadro di una giornata intensamente gradevole. Di quelle che si ricordano volentieri.