Per questi motivi, anche alla luce della situazione che stanno vivendo l’Europa e l’Italia, è ormai un dato assodato che il turismo troverà la propria àncora di salvezza nel breve, e forse anche nel medio periodo, nei flussi domestici, negli ultimi anni forse un po’ dimenticati dalle strategie di molti Paesi che, complice la globalizzazione, avevano puntato molto (e giustamente) sull’internazionalizzazione della domanda. Tendenza rilevata anche da noi come abbiamo già messo in evidenza in quest'articolo. Oggi ci troviamo, invece, in una situazione rovesciata: il sistema turistico nazionale guarda le regioni come faceva sino a poco tempo fa con i mercati europei, con gli Stati Uniti, con il Medio Oriente o la Cina, ovvero come potenziali generatori di flussi in grado di stimolare dalla prossima estate la ripartenza del settore.
Dopo il 4 maggio – tanto atteso per l’avvio della fase 2 – la nuova data su cui tutti gli occhi sono puntati, soprattutto per chi lavora nel turismo, è quella del 3 giugno. A partire da qual momento infatti, se gli indicatori del contagio non dovessero costringere a una marcia indietro, ci si potrà spostare senza autocertificazione tra le diverse regioni: il turismo dunque sarà finalmente una concreta possibilità.
Quali saranno i potenziali effetti sul settore nel momento in cui gli italiani potranno nuovamente viaggiare e quali regioni possono “guidare” la ripresa turistica? Secondo i più recenti dati Istat (Figura 1), le prime cinque per residenti sono Lombardia (10 milioni di abitanti), Lazio (5,9 milioni), Campania (5,8 milioni), Sicilia (5) e Veneto (4,9): da sole rappresentano ben il 52% della popolazione italiana, composta da circa 60 milioni di persone. La numerosità degli abitanti, però, non è l’unico indicatore da considerare in questo caso. Sulla propensione al viaggio incidono anche altri fattori: economici, sociali e geografici. Sempre Istat ci dice infatti che, se mediamente un italiano effettua per i motivi più diversi 1,2 viaggi all’anno, a livello territoriale ci sono differenze marcate, soprattutto tra Centro-Nord e Sud: nel Nord-Est si registra un dato di 1,8, al Centro di 1,5, al Nord Ovest di 1,3, mentre al Sud (0,6) e nelle lsole (0,5) i dati sono molto più contenuti.
Figura 1 - La popolazione residente nelle regioni italiane al 1° gennaio 2019 (mln)
Figura 2 - Presenze domestiche per regione di provenienza dei turisti – 2018 (mln)
Figura 3 - Prime 3 regioni di destinazione dei residenti nelle prime 5 regioni per flussi domestici - 2018
A fronte dello scenario delineato, si pone infine la questione di quali strategie potrebbero mettere in campo le altre regioni del Paese – oltre chiaramente a lavorare sui rispettivi mercati interni, ma certamente dai numeri molto più contenuti rispetto a quelli di cui abbiamo parlato sopra – per proporsi alle principali regioni di origine dei flussi. Probabilmente occorrerà un’azione di sistema, anche extraturistico, per garantire la sicurezza sanitaria, ovvero per far in modo che localmente si possano reggere eventuali recrudescenze del coronavirus anche tra i turisti e, dall’altra, una di prodotto. Ciò significa reingegnerizzare quelli tradizionali per farli funzionare in sicurezza – ricettività alberghiera, servizi di spiaggia, ristorazione, servizi museali ecc. – e puntare parallelamente a prodotti che per caratteristiche intrinseche presentano oggi meno fattori di rischio legati al coronavirus – ovvero tutte le attività che hanno a che fare con il turismo attivo e lento, per esempio – ma che necessitano di adeguata promozione e di servizi accessori – soprattutto digitali – che li possano rendere facilmente fruibili dai turisti.