Che cosa sarebbe Vitorchiano senza il peperino? Il borgo della Tuscia laziale è aggrappato a una vertiginosa rupe fatta di blocchi di questa roccia magmatica, grigia e a piccole macchie simili a grani di pepe. E infatti il nome “peperino” deriva proprio dal vocabolo tardo latino “piper”, pepe. Si tratta di una pietra che era usata già dagli etruschi per i loro sarcofagi, e che dai romani in poi è stata molto utilizzata nell'edilizia, ma anche ricercata da scultori e architetti, da Leon Battista Alberti a Umberto Mastroianni. Pochi però potevano immaginare che un giorno qui, ai piedi dei Monti Cimini, sarebbero arrivati dagli antipodi undici artigiani rapanui, partiti niente meno che dall'Isola di Pasqua per venire a scolpire, con asce manuali e pietre taglienti, un blocco di peperino da 30 tonnellate! La pietra vulcanica laziale è infatti simile a quella delle cave dell’isola nel mezzo del Pacifico. E così dal 1990 Vitorchiano, su un belvedere sopra il paese, esibisce la statua alta sei metri di un enorme moai, l'unico esistente al mondo fuori dell’Isola di Pasqua. Un'opera misteriosa, che ben si adatta all'atmosfera un po' magica di questo borgo nei cui dintorni si trova anche un'altrettanto enigmatica piramide etrusca, scoperta in mezzo a un bosco negli anni '90. A Vitorchiano, insomma, bisogna venirci, per comprendere il fascino fuori del tempo di un luogo che nel 1966 si dimostrò location ideale per un film dalla surreale ambientazione medievale come “L’armata Brancaleone” di Mario Monicelli. Più della metà delle scene di quella tragicommedia con Vittorio Gassman fu infatti girata in borghi, castelli e campagne della Tuscia: compreso Vitorchiano, trasformata da Monicelli in un borgo fantasma dove la peste ha sterminato quasi tutti gli abitanti.

Situato tra i monti Cimini e la valle del Vezza, a 285 metri sul livello del mare e a soli dieci chilometri da Viterbo, Vitorchiano era abitato già nell'età del bronzo. Il paese vero e proprio, però, si sviluppò probabilmente come castrum romano su un preesistente borgo etrusco, alla confluenza di due fossi, ben protetto su tre lati da alti burroni e sul quarto, quello a sud, da 250 metri di un'imponente cinta muraria costruita (indovinate?) in pietrella di peperino. Nel 1199 l’antica Vicus Orchianus, assediata dai Viterbesi, chiese soccorso a Roma, da cui fu liberata e a cui da allora restò sempre devota. E l'Urbe nel 1265, evento assai raro, le concesse di adottare come simbolo la Lupa romana (che tuttora appare su tante porte e finestre del borgo) e soprattutto di aggiungere allo stemma comunale (una torre merlata sormontata da una corona, un ramo di quercia e uno di alloro) la scritta S.P.Q.R., che qui è intesa come “Sum Vitorclanum castrum membrumque romanum”, Vitorchiano, castello e parte di Roma. Un altro privilegio fu quello di fornire annualmente, dal 1267, uomini del paese per la guardia capitolina, i “Fedeli di Vitorchiano”, incaricati di fare la Guardia del Campidoglio nei vistosi costumi che, secondo la tradizione, furono disegnati niente meno che da Michelangelo, e incaricati di suonare particolari trombe romane, le clarine, in occasione di manifestazioni ufficiali.

Vitorchiano oggi conserva intatta l'architettura medievale con le case, le viuzze, le piazzette, le scale esterne, e soprattutto le mura meridionali. Erette nel 1200, sono caratterizzate da una serie di grandi torri quadrilatere del '300: in quella centrale si apre l'unica porta del paese, la trecentesca Porta Romana. Dopo averla varcata, numerosi sono i luoghi di interesse da visitare. Si può partire dal Piazzale Umberto I, al confine tra la città nuova e il borgo antico, con la sua fontana pubblica del '700 e la chiesa sconsacrata di San Giovanni Battista, del '600, oggi usata per varie manifestazioni.

Particolarmente interessante è un giro a piedi nel quartiere medievale, uno dei più pittoreschi e meglio conservati del Viterbese. Fra le sue caratteristiche figurano i tipici profferli (scale esterne che conducono in un balcone di accesso della casa, sostenuto da un arco a sesto ribassato) e diverse architravi con le scritte in latino che ribadiscono la fedeltà del borgo a Roma. Attraverso strette vie si raggiunge Piazza Roma, che ha al centro una fontana duecentesca in peperino, detta “a fuso”, decorata con i simboli degli Evangelisti: leone, vitello, aquila e angelo. Sulla piazza s'affacciano la casa del Podestà, la chiesetta rinascimentale dedicata a Sant'Antonio Abate (che custodisce gli apparati che le confraternite di Vitorchiano utilizzano nelle processioni del paese) e, soprattutto, il quattrocentesco Palazzo comunale, uno dei più importanti della provincia di Viterbo. Notevoli le finstre guelfe, il salone dove si riunisce il Consiglio comunale e la torre dell’orologio, alta 16 metri e con un orologio a pesi del 1470.

Da Piazza Roma, attraverso la “Porta Tiberina”, i zig zag della strada detta “Le Piagge” portano al santuario trecentesco dedicato a san Michele Arcangelo, protettore del paese. Qui l'8 maggio sale la processione cui partecipano le confraternite con i crocefissi e i lanternoni adorni di fiori. Dopo la cerimonia in chiesa, tutto si conclude con la “Poggiata”, un'allegra scampagnata durante la quale è d'obbligo gustare le famose ciambelle di san Michele, insaporite all’anice e ideali per accompagnare i salumi.

Altre chiese all'interno delle mura sono vicino a Porta Romana quella trecentesca della Trinità (che in una ricchissima urna-reliquiario del 1707, con angeli in legno dorato, conserva le spoglie di sant'Amanzio) e nel centro del borgo la duecentesca chiesa di S. Maria, chiesa madre del paese, costruita in peperino, con un bel fonte battesimale, un rosone e un campanile gotico a monofore, bifore e trifore. Poco fuori dell'abitato si trovano invece la ex chiesa medievale di San Pietro, il cui portale in peperino ha stipiti lavorati a bassorilievo con elaborate figure di foglie e animali fantastici, la chiesa dedicata a sant'Antonio da Padova, del 1793, e soprattutto la quattro-cinquecentesca chiesa della Madonna di San Nicola, o chiesa delle Monache, così detta per via dell'annesso monastero di clarisse. Particolarmente importanti sono, al suo interno, gli affreschi di scuola viterbese che coprono tutte le pareti con scene della vita di Gesù e di santi. Grandiosa è la scena del Giudizio Universale con la Gloria di Cristo, sul catino absidale (1541), mentre il dipinto più antico è quello della Madonna di San Nicola, sull’altare maggiore, che secondo la tradizione proteggerebbe i giovani sposi. Un lungo restauro ha recentemente restituito alla città l'ex convento trecentesco di sant'Agnese, che ora ospita un ostello della gioventù. Il complesso è costituito dalla chiesa di S. Agnese e dal monastero, dove le piccole celle delle suore erano distribuite su ben cinque piani. E fra gli edifici medievali del borgo c'è anche la modesta “casa di santa Rosa”, dove la giovane santa, in fuga dalla sua Viterbo, si rifugiò nel 1250 per un breve periodo, durante il quale avrebbe compiuto alcuni miracoli: prima restituì la vista a una ragazza di nome Delicata, poi convertì un’eretica mostrandole che era capace di entrare nel fuoco e uscirne illesa.

Fuori del borgo, in località Pallone, a tre chilometri dal centro, una segnalazione merita infine il Centro Botanico Moutan, che riunisce su 15 ettari la più vasta collezione al mondo di peonie arboree ed erbacee cinesi: oltre 200.000 esemplari di circa 600 varietà e ibridi naturali. È aperto fra marzo e maggio, periodo di fioritura delle peonie.

Testo: Roberto Copello -  Foto: Fabrizio Aleotti (Concorso Fotografico Monumenti d'Italia, Touring Club Italiano, immagine di testata), Comune di Vitorchiano

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