A quasi quattro anni dall’aggiudicazione delle Olimpiadi invernali 2026 a Milano e Cortina possiamo affermare che quelli che dovevano essere, come riportato nel Dossier di candidatura, “i Giochi invernali più sostenibili e memorabili di sempre, fonte di ispirazione per cambiare la vita delle generazioni future” sono smentiti dai fatti.

Club Alpino Italiano, Italia Nostra, Lipu, Mountain Wilderness, Pro Natura, Touring Club Italiano e WWF osservano che una manifestazione come le Olimpiadi, occasione per affermare il valore dello sport come strumento di pace e di dialogo tra popoli e culture, se non progettata e realizzata sostenibilmente può contribuire ad avere un impatto negativo su aree fragili come le montagne favorendo ulteriore consumo di suolo, con aggravi ingiustificati della spesa pubblica, peggioramento della qualità dell’ambiente, del paesaggio e, quindi, della vita degli abitanti.

Del resto, la scelta dei Governi che si sono succeduti negli anni seguenti all’assegnazione di procedere al commissariamento delle opere, di adottare la “clausola PNRR” per velocizzare gli iter, di non effettuare una Valutazione Ambientale Strategica nazionale – come richiesto per due anni invano dalle associazioni di protezione ambientale – e di evitare le procedure di Valutazione di Incidenza Ambientale per gli interventi nei siti Natura 2000 conferma che le prossime Olimpiadi rischiano di essere sostenibili solo a parole. I ritardi poi nella progettazione, nell’apertura dei cantieri e nella realizzazione delle opere, fino a ora lamentati, non sono certamente imputabili alle associazioni stesse.

Emblema di queste Olimpiadi “sostenibili” – senza voler qui prendere in considerazione la quantità di interventi “connessi e di contesto”, perlopiù opere stradali, giustificati dalla necessità di velocizzare il traffico automobilistico, che in gran parte non saranno pronti per il 2026 – è il rifacimento della pista da bob di Cortina “Eugenio Monti”. Costruita nel 1923, è stata ristrutturata più volte fino alla chiusura definitiva nel 2008, quando in Italia funzionava ancora l’impianto di Cesana, in Piemonte, realizzato ex novo al costo di 110 milioni di euro per i Giochi di Torino 2006 e chiuso nel 2011.

Che la pista da bob sia un’opera-feticcio più che una necessità per lo svolgimento dei Giochi lo confermano una serie di dati e fatti:
- Tra bob, slittino e skeleton nel nostro Paese sono un'ottantina circa gli atleti iscritti alla Federazione Italiana Sport Invernali (FISI) abilitati a gareggiare;
- I costi di realizzazione sono cresciuti nel tempo diventando proibitivi; dai 50 milioni di euro previsti inizialmente si è passati a 85, poi a 102 milioni e oggi si parla di 120 milioni;
- La storia della vecchia pista di Cortina e di quella più recente di Cesana insegna che i costi di gestione post evento sono insostenibili e che il nuovo impianto è destinato a chiudere in breve tempo;
- Certi e gravi sono i costi ambientali della pista: la deforestazione (20mila mq con l’abbattimento di 200 larici storici secondo le dichiarazioni, ma oltre 25mila mq a un attento esame del progetto definitivo, cosa che richiede quindi una Valutazione d’Impatto Ambientale), il prelievo di acqua dall’acquedotto comunale (oltre 3.000 metri cubi) per la formazione del ghiaccio in un territorio già sofferente dal punto di vista idrico, l’impiego di sostanze chimiche necessarie alla refrigerazione, oltre al paesaggio che verrà modificato per l’imponenza e le caratteristiche della nuova struttura;
- Da ultimo, al Comitato Internazionale Olimpico (CIO) interessa solo che ci sia una struttura idonea per le gare, non necessariamente “nuova” o localizzata in Italia. Non dimentichiamo il precedente delle Olimpiadi di Squaw Valley, nel 1960, quando il CIO stesso prese atto della decisione degli statunitensi di non costruire la pista da bob perché eccessivamente costosa sia nella realizzazione sia nel mantenimento (in quell’occasione non furono svolte le gare, né assegnate le medaglie).

A nulla sono valsi finora gli appelli delle associazioni di protezione ambientale che hanno sollecitato un approccio realistico e pragmatico sulla questione. Le associazioni hanno chiesto al Governo italiano, alla Regione Veneto, al Comune di Cortina d’Ampezzo, al CONI e alla Fondazione Milano-Cortina 2026 di rinunciare al progetto di abbattimento e ricostruzione della pista “Eugenio Monti” suggerendo invece l’uso della struttura di Igls, in Austria, affittandola per le gare.

Sul tema – e su quello più generale di come garantire la sostenibilità dei Giochi – è sempre stata impossibile ogni sorta di reale interlocuzione e confronto: per questo motivo le associazioni di protezione ambientale sostengono con convinzione il ricorso al Tar del Lazio contro il Commissario Straordinario del Governo, la società Infrastrutture Milano Cortina 2020-2026 Spa (SIMICO), il Ministero della Cultura, la Regione Veneto, il Comune di Cortina e altri soggetti intrapreso da Italia Nostra, legittimata a ricorrere in giudizio per interessi ambientali e culturali, contro il nuovo progetto della pista da bob di Cortina.