La pittura italiana si trova esposta al primo piano dell’ala Denon. Nel Salon Carré sono La Madonna in Trono di Cimabue (1270 circa), ancora bizantina nella composizione; S. Francesco riceve le stigmate (XIII sec.) di Giotto, considerato uno dei primi capolavori occidentali; L’incoronazione della Vergine (prima del 1435) del Beato Angelico, ancora medievale nell’atmosfera che lo pervade. Nella Battaglia di S. Romano (1455 circa) di Paolo Uccello la ricerca geometrica e il virtuosismo formale lo allontanano dal gotico fiorentino, mentre con Botticelli (Madonna Guidi da Faenza, 1465-70) si entra in pieno clima rinascimentale. Il Ritratto di Sigismondo Malatesta (1450 circa) di Piero della Francesca e il Ritratto di una principessa d’Este (1438 circa) di Pisanello sono due interessanti esempi di ritratti ancora con influenze medievali, mentre il Sant’Antonio da Padova di Cosmé Tura allarga l’orizzonte all’espressiva durezza della scuola ferrarese. Nella Grande Galerie, tra splendidi lavori di Giovanni Bellini, Antonello da Messina e Giulio Romano, il Calvario (1456-60 circa) e il S. Sebastiano (1480 circa) di Andrea Mantegna rivelano la maestria del pittore nella costruzione dello spazio e la sua attenzione al dettaglio archeologico. La galleria custodisce anche il S. Giovanni Battista (1513-16) di Leonardo da Vinci. Ma è la sala 6 che ospita la vera icona del museo, la Gioconda (1503-1506), altro capolavoro leonardesco: l’opera colpisce per la delicata definizione della figura, il paesaggio, la luce, la gentile gestualità e il sorriso enigmatico; dei misteri che cela e degli occulti messaggi molto si dice ma nulla è documentato. Nello stesso ambiente sono capolavori di scuola veneziana come l’Uomo dal guanto e il Concerto campestre di Tiziano (rispettivamente 1520 circa e 1509) e Le nozze di Cana (1562-63) di Veronese. Proseguendo la visita, dopo un approfondimento sulla pittura veneta che accosta alla nobiltà di Tiziano (La donna allo specchio, 1515 circa) la linea più intimista di Lorenzo Lotto (Cristo portacroce, 1526), l’orizzonte si allarga ad abbracciare il resto della Penisola. Ecco allora la perfezione di Raffaello, anticipata nella Grande Galerie dalla Madonna con Bambino (detta La belle jardinière, 1507) e ribadita dal Ritratto di Baldassarre Castiglione (1514-15), ma anche le raffinatezze cromatiche e il tormento formale della Toscana manierista, con la Vergine con Bambino, S. Anna e quattro Santi del Pontormo (1529 circa) e con il Ritratto d’uomo con statuetta (1550 circa) del suo allievo Bronzino, appartenuto alla collezione di Luigi XIV. La fantasia del milanese Arcimboldo (quattro dipinti delle Stagioni) e la linea emiliana di Correggio e di Annibale Carracci (La Caccia e La Pesca, 1585 circa), destinata ad approdare trionfalmente a Roma, testimoniano invece la vitalità della pittura dell’Italia del Nord del XVI secolo. La tradizione realista settentrionale tocca il suo vertice con Caravaggio, genio nato a Milano ma capace di esercitare un influsso determinante anche sull’arte romana, napoletana, francese e spagnola del ’600: la sua Morte della Vergine (1605-1606), vero capolavoro di luci e ombre, propone un’interpretazione cruda, addirittura brutale del tema religioso. Estremamente interessante la collezione dedicata al XVII secolo bolognese e romano: S. Pietro che piange davanti alla Vergine di Guercino, una serie di paesaggi di Domenichino, il gruppo delle Fatiche d’Ercole (1617-21 circa) e Il ratto di Elena (1627-28 circa) di Guido Reni. Dopo aver ammirato i lavori della scuola napoletana (Luca Giordano e Salvator Rosa) e una lunga serie di dipinti prevalentemente romani si torna al Veneto con Canaletto e Francesco Guardi, padri del vedutismo e testimoni degli ultimi fasti veneziani: più distaccato e nitido il primo (Il molo visto dal bacino di San Marco, 1730 circa), evocativo e quasi romantico il secondo (Il doge si reca alla chiesa della Salute, 1770 circa).