Un sistema solare in miniatura è la bizzarra scultura intitolata Gibilterra di Alexander Calder, che deriva le sue ingegnose costruzioni dal surrealismo e da Miró in particolare. D’ora in avanti, storicamente la scena dell’arte passa a New York, con i due grandi protagonisti dell’espressionismo astratto, Jackson Pollock - Lupa, One (Number 31, 1950) - e Willem de Kooning (Woman I, 1950). L’espressionismo astratto trova valenze diverse in ciascun artista, organicismo e geometria in Robert Motherwell (Elegia della Repubblica Spagnola, 108, 1965) mentre un cuscino, un lenzuolo e una trapunta usurati sono gli oggetti che, intrisi di spruzzi di colore, compongono Bed di Robert Rauschenberg (1955). Dipingere ciò che si conosce già, rinunciare a un soggetto scelto è quello che consente a Jasper Johns di concentrarsi sulla tecnica nelle sue Bandiere, per esempio, mentre Concetti spaziali di Lucio Fontana (nel museo, uno del 1957) affrontano il problema del superamento dello spazio bidimensionale. Roy Lichtenstein ‘ruba’ dai cartoon, oppure dai manifesti pubblicitari (l’originale per la Ragazza con la palla era la fotografia di un albergo) che converte in fumetti, con effetto di aumentarne l’artificiosità. James Rosenquist manipola il ‘realismo triviale’ dei cartelloni pubblicitari, (F-111, 1964). Claes Oldenburg sposta i termini di paragone in chiave comica e in tal modo gli oggetti più comuni (Ventilatore gigante molle, 1966), ingigantiti e deformati, ci disorientano. Andy Warhol ripete centinaia di volte il volto di Marylin Monroe, sempre lo stesso, in svariate composizioni, denunciando così che la sua immagine, il suo successo sono un’illusione costruita con cura, un prodotto di massa, esattamente come le interminabili file di lattine della Campbell’s Soup (1962). I dipinti monocromi del francese Yves Klein non sono ‘opere d’arte’ bensì operazioni estetiche: Monocromia blu era per l’artista una «finestra aperta per la libertà». Parallelamente, l’americano Ad Reinhardt procede nella ricerca di variazioni impercettibili del colore, tendenti al monocromo, e interazioni fra toni, piani e forme (Abstract Painting, 1963), un atteggiamento che contribuisce alla nascita del minimalismo. E al minimalismo viene assegnata Agnes Martin, che invece amava definirsi ‘espressionista astratta’ per la carica emozionale e spirituale che animava il suo lavoro, dominato da griglie di segni estremamente delicati (Amicizia, 1963). Uno degli esponenti di spicco della land art è stato Robert Smithson, che nell’opera presente nel museo, Specchio angolare con corallo (1969), abbina la perfezione della superficie specchiante con il materiale naturale grezzo. I presupposti dell’arte minimalista e concettuale sono spesso contemporaneamente presenti nelle espressioni degli artisti che lavorano tra gli anni ’60 e ’70. Le installazioni di Sol LeWitt, per esempio, si esprimono con forme elementari e dipendono da un’idea progettuale da eseguire, e infatti Progetto seriale, I (ABCD) (1966) è il nome dell’opera conservata al MoMA; agli stessi paradigmi si rifanno Donald Judd (Pila, 1967), Dan Flavin (Senza titolo, 1968), Carl Andre (144 quadrati di piombo, 1969), Richard Serra (Cutting Device: Base Plate Measure, 1969), Robert Morris (Senza titolo, 1969). Quasi un riferimento all’esortazione di evitare l’interpretazione del soggetto che faceva Frank Stella («Ciò che vedete è ciò che vedete») in The Marriage of the Reason and the Squalor, 2 (1959). Grande e discusso teorico dell’arte concettuale, Joseph Beuys ha nel museo numerose opere: Stato del Sole (1974) ci ha lasciato una specie di mappa astrologica che esprime la sua utopia di società ideale.