Al primo piano a destra, la collezione è una della più belle e complete al mondo, fatta eccezione per quella del Cairo. L’eccezionale patrimonio offerto alla visione ricostruisce esaurientemente i modelli estetici, i valori storici, le credenze religiose e la cultura materiale degli antichi egizi, lungo l’intera parabola della loro straordinaria civiltà, dal V millennio a.C. al periodo tardo-romano (IV secolo). Al periodo arcaico, forse addirittura predinastico, appartiene un pettine cerimoniale (c. 3200-3100 a.C.) in avorio intagliato con file orizzontali di animali, straordinario per l’elevata perizia artistica del suo esecutore. Grande fama deriva alla collezione da alcuni reperti tra cui si ricordano: la tomba a mastaba di Perneb da Saqqara (c. 2450 a.C.), complesso funerario di un ciambellano, di cui sono ricostruite la facciata e la cappella votiva; i 13 modellini lignei – figure umane, case, imbarcazioni, oggetti di lavoro e d’uso comune – che danno una visione intima della quotidianità degli antichi egizi, rinvenuti nei pressi di Tebe (c. 1990 a.C.); lo scarabeo di Wah, dalla tomba dell’amministratore di Meketra, in argento intarsiato con geroglifici in oro (c. 1990-1985 a.C.); la stele di Montuwoser (c. 1954 a.C.), con un raffinato bassorilievo raffigurante un’offerta a Osiride e un lungo testo che ne spiega il significato, in caratteri geroglifici incisi con grande abilità; il sarcofago di Khnumnakht (1900-1800 a.C.), in legno vivacemente dipinto con figure simboliche e geroglifici che recitano invocazioni alle divinità della morte; la sfinge del faraone Senwosret III (c. 1878-1841 a.C.), da Karnak, intagliata in un unico blocco di gneiss, con il ritratto fiero e pensoso del sovrano; i gioielli in oro del Medio e Nuovo regno, tra i quali i sandali e il pettorale del corredo funebre di una donna della famiglia reale (c. 1479-1425 a.C.); i volti scolpiti dei faraoni della XII dinastia (c. 1991-1783 a.C.); la statua seduta e la testa di Hatshepsut (c. 1473-1458 a.C.), Grande Sposa Reale di Tuthmosis II proclamatasi ‘faraone’ alla morte del marito, in abiti che contraddistinguono il ruolo tipicamente maschile assunto; lo scarabeo di Hatnofer (c. 1466 a.C.), tipico monile in pietra verde montata in oro, che veniva posto sul cuore del defunto; la sedia in ebano e avorio dello scriba Renyseneb (c. 1450 a.C.); la piccola sfinge di Amenhotep III della tarda XVIII dinastia (c. 1391-1353 a.C.), in maiolica blu, sorprendente per la naturalezza della posa e la somiglianza del volto; il grazioso cavallino che salta in avorio (c. 1353-1333 a.C.), da Tebe, forse impugnatura di una frusta; il papiro di Nany (c. 1040-991 a.C.) con testi dal «Libro dei Morti», destinati ad aiutare la defunta nel suo viaggio nell’aldilà, e la raffigurazione di Nany accompagnata da Iside davanti al dio Anubi che pesa il suo cuore sulla bilancia; la stele magica (360-343 a.C.), le cui raffigurazioni e la lunga iscrizione di formule magiche servivano a guarire le malattie e a tenere lontani gli animali pericolosi; nove ritratti funerari a encausto, su legno, noti come ritratti del Fayyum (II secolo d.C.), dal nome dell’oasi dalla quale proviene la maggior parte di questi reperti, che venivano posti come maschere funerarie sul volto delle mummie. Una delle sale più visitate della sezione è la grande aula vetrata realizzata nel 1978 per ospitare la ricostruzione del tempio di Dendur, fatto erigere intorno al 15 a.C. dall’imperatore romano Augusto; sorgeva nella Bassa Nubia, nell’area che venne allagata dalle acque del lago artificiale Nasser a seguito della costruzione della grande diga di Assuan (1960-70). Archeologi americani lo smontarono pezzo per pezzo, salvandolo: per questo nel 1965 lo stato egiziano lo regalò agli Stati Uniti.