Costruita nel tardo Settecento, rimodellata nel 1805 secondo canoni neoclassici da un discepolo di Juan de Villanueva, la dimora della nobile famiglia dei duchi di Villahermosa, ricuperata con cura filologica nel 1992 da Rafael Moneo, ospita da allora la collezione del barone Thyssen-Bornemisza, secondo alcuni la più importante al mondo tra quelle costituite nel XX secolo. La visita prende avvio dal secondo piano, dove in Sala 1 spiccano le composte raffigurazioni del trecento toscano di Duccio di Boninsegna (Cristo e la samaritana, del 1326) e di Simone Martini; devozioni di atmosfera più nordica nella sale 2 e 3, dove sono esposte tra l’altro la Messa dei pellegrini di Jaume Huguet. La successiva Sala 4 riporta tra le scuole del Quattrocento italiano. Nella galleria di ritratti e autoritratti delle Sale 5 e 6 spicca per eleganza il Ritratto di Giovanna Tornabuoni eseguito nel 1490 dal Ghirlandaio. La Sala 7, sempre in prevalenza dedicata a opere di scuola italiana, allinea notevoli dipinti. Nella Sala 8, dedicata, al pari della successiva, alla pittura tedesca, spicca per intensità e armonia compositiva il Gesù tra i dottori del Dürer. Il cinquecento fiammingo è il protagonista nella Sala 10, mentre nella successiva si propone l’accostamento di dipinti di tema mitologico del Tintoretto e di opere di El Greco (L’annunciazione, del 1576). Nella Sala 12 le opere più significative sono il Compianto sul Cristo morto di Jusepe de Ribera e una Santa Caterina d’Alessandria tratteggiata dal Caravaggio con efficace naturalismo. Una delle scuole predilette dal barone Thyssen, quella dei vedutisti veneziani del Settecento, è alloggiata nella Sala 17, mentre le ultime sale al piano portano tra i capolavori del ‘secolo d’oro’ fiammingo e olandese, che includono un raffinato Venere e Cupido (1606) di Rubens (sala 19) e un pensoso Autoritratto di Rembrandt (sala 21). Dalla sala 18 si accede alle opere della collezione Carmen Thyssen-Bornemisza, che su questo piano coprono un arco temporale dal XVII al XIX secolo: spiccano, tra gli altri, Luca Giordano con Il giudizio di Salomone (1665) e opere di Francesco Guardi (Scena nel giardino di un harem, del 1743). La discesa al primo piano conduce in sale (dalla 22 alla 27) dove ancora si respira il ‘secolo d’oro’ del Seicento olandese (Gruppo familiare in un paesaggio di Frans Hals , del 1645). Nella Sala 28 si trovano invece alcuni notevoli esiti del Settecento inglese (Ritratto della contessa di Dartmouth di Joshua Reynolds; Ritratto di Sara Buxton di Thomas Gainsborough). Si prosegue quindi fino alla Sala 31, con pittura dell’Ottocento; importante è la Mattina di Pasqua di Caspar David Friedrich (c. 1828). Notevoli le opere impressioniste e postimpressioniste delle Sale 32, 33 e 34, tra cui i paesaggi inquieti di Van Gogh (Veduta di Les Vessenots, 1890). Ancor più rappresentata (nelle sale da 35 e 40) la fertile stagione dell’espressionismo tedesco e della corrente del Blaue Reiter, come nelle oniriche composizioni di Fraz Marc (Il sogno, 1912); nella Sala 39 si ammira Metropolis (1916) di un ancora giovane George Grosz. Impressionismo ed espressionismo sono al centro anche delle opere nell’ala di questo piano dedicata alla collezione Carmen Thyssen-Bornemisza: tra queste menzione d’obbligo almeno per il Ponte di Charing Cross di Claude Monet, del 1899. Giunti al pianterreno e alle più recenti correnti del Novecento, si ammirano nella Sala 41 il Picasso cubista, un grande Braque (Donna col mandolino), Natalja Goncarova (Paesaggio raggista. Il bosco), Balla (Manifestazione patriottica). Più eterogenea nella raccolta, ma tutta all’insegna dei grandi maestri è la Sala 45: di Picasso coglie la transizione verso la classicità (Arlecchino, del 1923); di Chagall le memorie d’infanzia (La casa grigia, del 1917). Le ultime due sale conducono tra le espressioni artistiche del secondo dopoguerra, sia di correnti europee che di artisti d'oltreoceano.