Per le colossali proporzioni e il mistero che ancora la circonda, è una delle icone più conosciute e inconfondibili dell'Antico Egitto. Intagliata in uno sperone roccioso della piana di Giza, la Sfinge, chiamata in arabo Abu el-Hawl (padre del terrore), rappresenta il faraone Chefren come un felino in atto di vegliare sulla propria necropoli. Una stele in granito, posta tra le zampe anteriori, racconta che il re Thutmosi IV ricevette in sogno dal dio Harakhte (Chefren divinizzato) l'ordine di liberarlo dalla sabbia nella quale rischiava di affondare. Si trovarono in effetti i resti di un muro che doveva fare da argine, espediente che però non evitò l'insabbiamento della Sfinge. Se da un parte questo richiese ripetute operazioni di scavo, dall'altro preservò questo monumento sotto la coltre protettiva del deserto. Simbolo stesso della regalità, l'enigmatico volto del faraone Chefren presenta profonde ferite, causate non tanto, come vuole la tradizione, dai cannoni di Napoleone, quanto dalle esercitazioni di artiglieria nel periodo mamelucco (1250-1517), aggravate dalle erosioni del vento e dallo smog che arriva sin qui dalla capitale.