Nel progetto di riarredo urbano che ha interessato Barcellona in occasione delle Olimpiadi del 1992, scultori e decoratori hanno scelto come spazio di elezione il tratto di lungomare su cui si affacciano Barceloneta e Vila Olímpica. Due decenni dopo, perfettamente inserite e a volte quasi mimetizzate nel paesaggio, molte di queste opere d’arte (fanno eccezione le luccicanti e monumentali squame del Peix in faccia al porto olimpico) passano quasi inosservate. Tra le più interessanti da non farsi sfuggire, Una habitació on sempre plou di Juan Munoz, con i suoi cinque corpi ingabbiati in una sorta di oasi tra gli alberi (veri) di fronte a plaça del Mar; la malinconica rugginosa struttura verticale di L’Estel ferit, di Rebecca Horn sulla spiaggia di Barceloneta; il complesso di figure danzanti dell’Homenatge a la Natació, di Alfredo Lanz; il poetico ricamo luminoso dei numeri tracciati con il neon e incastonati da Mario Merz lungo il passeig Joan de Borbó. Di segno più riconoscibile, e più in vista, il Gambero realizzato da Javier Mariscal sul Moll de la Fusta; e il Cap de Barcelona, omaggio di Roy Lichtenstein a Gaudí e alle ceramiche moderniste, che svetta all’ingresso del Port Vell. Sono oltre 50 le opere di street art sparse in città dopo il 1992: tra le più audaci, arretrato sul mare, tra il Poble Nou e la Vila Olímpica, è il lungo pergolato di ferro e legno disegnato da Enric Miralles e Carme Pinós in avinguda Icària, scheletro fitomorfo posato su un sito dove – è stato affermato – alberi veri non avrebbero mai potuto mettere radici.