«La tesi è sempre lì, in attesa di essere discussa. Qui ho troppo da fare per pensare anche all’università». Valeria Fortunati guarda alla sua “prima vita” da studentessa universitaria con un misto di tenerezza e divertimento. Del resto, tra la vigna, l’oliveto e la tartufaia, tempo per inseguire i ricordi non ne resta molto. Poco male, visto che in campo sembra aver trovato la sua dimensione ideale e la vita di città non la rimpiange per niente. Valeria, insieme alla sorella Alessia, gestisce Poggio Maiolo, un’azienda agricola che produce vino, olio e tartufi sulle colline intorno a Montone, il borgo medievale Bandiera Arancione del Touring Club Italiano che domina l’Alta Valle del Tevere. Una storia, la sua, lontana dalle narrazioni classiche di antiche tradizioni agricole famigliari e di terre e segreti tramandati di padre in figlia. L’avventura per Valeria è partita dall’amore per la campagna, dalla curiosità e dallo studio delle coltivazioni.

«Sono nata e cresciuta a Roma – racconta – poi, nel 1998, quando avevo 23 anni, mio padre decise di trasferire l’azienda di famiglia in Umbria. All’epoca studiavo scienze ambientali a Viterbo e l’idea di venire a vivere in campagna mi piacque subito, mi iscrissi ad Agraria a Perugia e iniziò questa nuova vita, lontano dal traffico e dal caos della città». L’azienda di famiglia, la Ecosearch che ora condivide la sede con Poggio Maiolo, si occupa di strumenti per il monitoraggio ambientale e agrario, apparecchiature in grado di fornire dati sulla qualità del terreno, dell’acqua, dell’aria, ma anche sulle esigenze e lo stato di salute delle piante. Tecnologia, insomma, al servizio dell’agricoltura. «Nel 2003 è arrivata l’occasione di acquistare questo terreno agricolo ormai abbandonato vicino a Montone. Da una parte l’azienda di famiglia poteva così disporre di un campo dove testare le strumentazioni, fare dimostrazioni e formazione professionale, dall’altro si apriva la possibilità per me di dare forma al sogno di avere un’azienda agricola che mettesse in pratica le mie idee sulla coltivazione».

La “vicinanza” con la Ecosearch è stata particolarmente importante: ha permesso, per esempio, di analizzare a fondo il terreno che aveva disposizione per scegliere i vitigni più adatti. «Abbiamo deciso, fin da subito, di non puntare su vitigni tipici. Volevamo distinguerci dai tantissimi produttori della zona. Così, dopo lo studio delle proprietà della terra, abbiamo puntato sul Syrah, il Tocai, lo Chardonnay e il Pinot Nero». La tecnologia a disposizione di Poggio Maiolo ha permesso anche di azzerare l’apporto della chimica per i vitigni. «Monitorando costantemente la salute delle piante con mezzi d’avanguardia riusciamo a prevenire problemi e malattie, riducendo al minimo i trattamenti necessari, tutti comunque non invasivi». La sorveglianza avviene con sonde plurilivello che registrano umidità e modificazioni del terreno e che permettono, tra le altre cose, di elaborare degli algoritmi previsionali sulla presenza di parassiti. Scienza e hi-tech per capire come comportarsi in vigna e, soprattutto per evitare l’utilizzo di prodotti che altererebbero le caratteristiche della pianta. Una pratica che ha consentito il passaggio certificato all’agricoltura biologica.

Certo, la tecnologia aiuta, ma poi servono le braccia. La raccolta infatti viene fatta a mano, così come la selezione dei grappoli. Un lavoro duro che Valeria affronta insieme a Shaban, fedele collaboratore da vent’anni. «Mi piace lavorare all’aperto, non mi spaventa la fatica»: un’inclinazione personale che ha portato Valeria anche a “invadere” settori fino a poco tempo fa di competenza quasi esclusivamente maschile, come quello della guida del trattore. «Avevamo bisogno di un trattorista dopo che il nostro è andato in pensione, così, per risolvere il problema definitivamente ho deciso di prendere la patente. Ora la trattorista sono io».

I circa 40 ettari di terreno di Poggio Maiolo ospitano le vigne, ma anche l’oliveto (nelle quali, secondo la tradizione umbra, si coltivano le qualità Leccino, Moraiolo, Frantoio e Dolce Agogia) per la produzione dell’olio extravergine, e una tartufaia. Più di 25 ettari della tenuta sono di boschi che crescono su terreni calcarei e poveri di humus, ed essendo il tartufo “di casa” nell’Alta Valle del Tevere, è stato piuttosto naturale per Valeria provare anche questa strada, in collaborazione con l’Università di Perugia, che seleziona le spore e studia le piante più adatte per ospitarle. Così, tra le querce di Poggio Maiolo, oltre ad aver trovato un ambiente accogliente caprioli, tassi e anche lupi, crescono, sotto le amorevoli cure di Valeria e Alessia, tre qualità di tartufo: il bianchetto marzolino, il nero pregiato e lo scorzone estivo. Sono anche loro le “star” dei tour con degustazione nella tenuta che vengono organizzati dall’azienda.

Il lavoro meticoloso sulle coltivazioni e l’amore per il territorio stanno dando i frutti sperati: «Siamo una realtà giovane e abbastanza piccola, nella nostra annata migliore abbiamo prodotto 8.000 bottiglie. Eppure abbiamo già un buon numero di clienti affezionati. Il nostro vino è stato spedito negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Olanda, Danimarca e Svizzera».

Per conoscere la tenuta Poggio Maiolo, ordinare i loro prodotti o prenotare una tour si può visitare il sito. Per osservare da vicino il lavoro in campo e le varie fasi delle coltivazioni si può invece curiosare sulla pagina Facebook.

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Testo: Luca Tavecchio  - Foto: Poggio Maiolo

Articolo realizzato nell’ambito del progetto RESTA! –finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione Generale del Terzo settore e della responsabilità sociale delle imprese-Avviso n.1/2018