Il Matese è un massiccio calcareo di mille kmq all'estremità settentrionale della provincia di Caserta, con vette imponenti su cui domina il maestoso cono del Monte Miletto, le cui vertiginose pareti toccano quota 2050 metri e che sarebbe niente meno che il Tifernus Mons di Livio, ovvero il Mons Militum dove morirono gli ultimi combattenti sanniti nella loro eroica guerra di resistenza a Roma. Dalla cima, all'incontro di tre creste, il panorama, eccezionalmente ampio, da un lato si spinge fino al Vesuvio e a Ischia, mentre dall'altro arriva alla Maiella, al Gran Sasso e all'Adriatico.

Il Matese si trova a metà strada fra Napoli e Roma ma è in realtà una delle zone più isolate e meno note d'Italia. Il che, ai giorni nostri, diventa un valore aggiunto, perché ne fa un'oasi di pace e tranquillità, aria buona, sorgenti limpide, boschi estesissimi, valori genuini, popolazioni cordiali, tradizioni amorevolmente conservate: le stesse caratteristiche che sono il vanto di Letìno, piccolo e accogliente comune montano (Ru Tinu in dialetto letinese) esattamente nel cuore di quello che è il Parco regionale del Matese (e che molti auspicano diventi un giorno Parco nazionale).

In posizione centrale e panoramica a circa mille metri di altitudine su uno sperone di roccia tra il lago di Gallo e il lago di Letino, il paese (che fino al 1945 apparteneva alla provincia molisana di Campobasso) prende il nome dal fiume Lete, che nasce in territorio comunale nel Campo delle Secine, viene poi bloccato da uno sbarramento artificiale costruito nel 1907 per alimentare la centrale idrolettrica di Prata Sannita. Nel sottosuolo vicino alla diga l'acqua nei secoli inabissandosi ha formato una grotta carsica famosa per le sue stalattiti e stalagmiti, esplorata dagli speleologi già dagli anni '20 del secolo scorso: la Grotta del Caùto. Si tratta di uno spettacolare complesso di cavità naturali composto da due gallerie su due piani paralleli, lontani circa 90 metri l'uno dall'altro: la galleria superiore segue il vecchio percorso del fiume Lete ed è ancora in parte attraversata dall’acqua, con marmitte e laghi, mentre quella inferiore, visitabile in date prefissate grazie ad alcune scale metalliche, si sviluppa per 500 metri e nelle sue gallerie laterali è abitata da una rara fauna sotterranea, fra cui figura un crostaceo acquatico bianco e privo di occhi.

Le acque del Lete, che sgorgano “effervescenti naturali” dalle profondità calcaree del Matese, verranno poi imbottigliate nel vicino comune di Pratella, da dove si doteranno della notissima etichetta che ha il nome del fiume stesso, divenuto per la grande maggioranza degli italiani il sinonimo di un'acqua minerale dalle decantate proprietà dietetiche, oltre che lo sponsor della Nazionale azzurra di calcio. Gli abitanti del luogo, però, da secoli vedono nel fiume Lete soprattutto il fiume dell'oblio di cui si parla nella mitologia greca e romana e nel Purgatorio dantesco. Per Platone e per Virgilio infatti il Lete è un fiume che si trova nell'aldilà: chi beve troppa della sua acqua, dimentica la sua vita passata. Dante invece immagina che il Letè, con l'accento, sgorghi dal Paradiso terrestre e sia il fiume che garantisce l'oblio dai peccati commessi in vita: dopo essersi purificate nel Purgatorio, le anime vi si lavano per dimenticare le proprie colpe terrene e poter finalmente salire in Paradiso. Il Paradiso terrestre nella tradizione cristiana sarebbe piuttosto da collocare in Mesopotamia, fra il Tigri e l'Eufrate, ma pazienza: è bello comunque pensare a Dante mentre se ne risale il corso e si gode delle sue acque limpide.

La storia vera di Letino appare invece assai meno legata al mito. La zona fu abitata dai Sanniti, come testimoniano tracce archeologiche in località Campo delle Secine, quindi occupata dai Romani. Nel XVI secolo fu feudo dei baroni Della Penna, poi dei D'Aragona, quindi dei Carbonelli, che governarono il paese sino all'abolizione del feudalesimo per opera dei napoleonici, nel 1806. In un Matese che con l'Unità d'Italia conobbe il fenomeno del brigantaggio, Letino nel 1877 balzò agli onori delle cronache nazionali quando fu teatro del tentativo di instaurare una prima repubblica anarchica, per opera della cosiddetta Banda del Matese.

A Letino dunque non mancano le storie da raccontare, ma ci sono anche diverse cose da mostrare. A partire dal suggestivo centro storico, nel quale spesso si aprono affacci panoramici sulla valle, sui laghi, sulle montagne circostanti. Da vedere è la semplice chiesa parrocchiale dedicata al patrono San Giovanni Battista, celebrato in paese la prima domenica di settembre. Costruita con pietre e marmi locali, ha uno strano ingresso nel campanile che domina la centrale Piazza della Repubblica. All'interno, si segnalano alcuni affreschi cinquecenteschi, un'antica statua lignea del Battista notevolmente restaurata negli anni 70 del XX secolo e un busto di san Teodoro.

Sulla piazza stessa s'affaccia anche il Municipio, che ospita all'interno una bella mostra, “Quota Mille”. Sono esposte alcune delle immagini scattate da un noto fotografo e giornalista originario del Matese, Francesco Fossa, che dopo aver percorso tante aree calde del mondo è tornato sui luoghi della sua adolescenza. Suo obiettivo, documentare in particolare le storie di chi ancora abita questo “mondo fatto di persone, chiuso e aspro che si sviluppa in orizzontale a mille metri lungo l'asse longitudinale del Massiccio del Matese”, come dice lo stesso Fossa, le cui foto sono anche raccolte in un volume, “Quota Mille”, con prefazione di Paolo Rumiz, pubblicato dalle Edizioni Punctum.

Dalla piazza centrale, lungo case di pietra attaccate l'una all'altra, fra stradine e palazzi disseminati dai volti un po' naif scolpiti nella roccia da un artista locale autodidatta che ha saputo farsi apprezzare anche all'estero, Luigi Stocchetti in arte “Stolu”, si sale poi ai 1200 del punto più elevato del paese. Lassù, fra il IX e X secolo, in epoca longobarda, fu eretto un castello per difendere il paese dalle incursioni saracene. Quel piccolo borgo fortificato, ampliato dai normanni, si è poi trasformato nel santuario della Madonna del Castello, luogo iconico e prediletto per tutta la popolazione di Letino, che la terza domenica di settembre compatta vi sale, assieme a genti venute da tutto il Matese, per la festa religiosa più importante dell'anno. La chiesa attuale risale al Seicento (su un'architrave compare la data 1629) anche se una chiesa qui c'era già nel Trecento. Oltre la sua facciata in pietra, la navata unica presenta sui lati otto altari di marmo policromo sovrastati da tele di ambito napoletano, mentre all'altare maggiore, secentesco, c'è la venerata statua di Santa Maria del Castello “Regina del Matese”.

Testo: Roberto Copello - Foto: Archivio Touring Club Italiano

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Articolo realizzato nell’ambito del progetto RESTA! –finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione Generale del Terzo settore e della responsabilità sociale delle imprese-Avviso n.1/2018