Un castello come si deve, si sa, è circondato da un fossato. Sì, ma quanti fossati di castelli italiani sono ancora pieni d'acqua? Pochi, pochissimi. La Rocca di Fontanellato, il castello-reggia dei Sanvitale tra Parma e Fidenza, resta uno dei pochi. Il suo è un fossato vasto, ampio e profondo fino a 4 metri: proprio come nel Seicento, quando le sue acque erano piene di pesci, regolarmente pescati per finire democraticamente sulle tavole dei signori del castello come su quelle dei paesani. E tutta quell'acqua, fresca acqua di risorgiva, dà anche ragione del nome del paese, Fontanellato, che deriverebbe dal latino Fontana Lata (fonte estesa), a indicare che qui i fontanili non sono mai mancati.

Un fossato vero quello della Rocca Sanvitale, dunque, ma una mano vi basta, e forse avanza, a contare le volte che è servito a contenere assalti nemici. Semmai, il fossato è risultato più utile ad accrescere la suggestione di un castello eccezionalmente collocato proprio al centro dell'abitato, anziché a cavallo delle mura, e che è pure circondato da una piazza e dalle case di un borgo dall'impianto antico e ben conservato. Inserita in questa particolare situazione urbanistica, la Rocca di Fontanellato si presenta con un impianto assai complesso e mosso, di indubbio impatto scenografico. Il castello è composto infatti di un nucleo quadrangolare, che ha al centro un grande cortile (porticato su due lati) racchiuso da una cinta merlata più bassa, a sua volta circondata dal fossato. Basse torri quadrate difendono il nucleo centrale assieme a un mastio, assai più alto e posto proprio sopra l'ingresso principale. La cinta merlata invece è protetta, ai suoi quattro angoli, da tre bassi torrioni rotondi e da un quarto quadrato. Un'elegante loggia panoramica è poi inserita sul lato settentrionale. Tanta complessità architettonica mescola elementi medievali ad altri rinascimentali, evidenziando come l'aggiunta di corpi che alteravano la simmetria della struttura originaria abbia portato alla fine a far prevalere l'aspetto decorativo su quello difensivo: una conseguenza forse obbligata, data la posizione topograficamente urbana della struttura, che obbligava a farne un'architettura residenziale assai più che militare, più di rappresentanza che di guerra.

Non era lo scopo con cui qui già nel 1124 il marchese Oberto I Pallavicino aveva voluto una prima fortificazione, forse non era nemmeno quello con cui Gilberto II Sanvitale, feudatario dei milanesi Visconti, concepì l'edificio attuale fra Tre e Quattrocento. Già nel Cinquecento, peraltro, i suoi discendenti iniziarono a trasformarlo in una prestigiosa residenza signorile. Lo prova, più di tutto, il suo gioiello più importante, una delle stanze nobiliari dell'interno: lo studiolo (era il boudoir della colta nobildonna Paola Gonzaga Sanvitale) dove nel 1524 Giovanni Francesco Maria Mazzola detto il Parmigianino, poco più che ventenne, illustrò in 14 lunette con grande raffinatezza il ciclo con la leggenda ovidiana di Diana e Atteone, creando un capolavoro del Manierismo allora nascente. La particolare localizzazione degli affreschi, dipinti in una camera quasi segreta, priva di aperture sull'esterno e raggiungibile con difficoltà dall'interno, ha favorito il moltiplicarsi di ipotesi esoteriche circa i loro significati. Nel mito di Atteone che sorprende la dea Diana mentre fa il bagno, che viene mutato in cervo e che poi finisce sbranato dai cani, si è voluto vedere una metafora alchimistica dell'unione del principio maschile e femminile.

Curiosa la camera oscura ricavata nel vano del torrioncino sudorientale, l'unica camera ottica ottocentesca ancora funzionante in Italia. Consiste in un complesso gioco di specchi e di prismi che permette a chi sta all'interno, nel buio quasi totale, di vedere proiettata una visione panoramica esterna della piazza che circonda la rocca. Ma, anche in questo caso, sbaglierebbe chi in ciò volesse scorgere ragioni difensive, ovvero la possibilità in caso di pericolo di spiare i movimenti della piazza, per adottare le dovute contromisure: la camera ottica era in realtà un innocente gioco di società, con cui il conte poteva stupire i suoi ospiti. La passione per gli specchi e giochi ottici del resto deve essere abituale in chi passa per Fontanellato, come prova il celeberrimo Autoritratto allo specchio convesso, famosa prova di acrobazia stilistica che il Parmigianino realizzò in quegli anni (oggi al Kunsthistorisches Museum di Vienna) e che portava sempre con sé per stupire, e convincere, i committenti.

Gli appartamenti nobiliari settecenteschi al primo piano della Rocca (sala d'Armi, sala da pranzo, sala del Bigliardo, sala di Maria Luigia, sala del Ricevimento, Camera nuziale, Galleria dei ritratti di famiglia) esibiscono poi altri affreschi, per esempio di Bernardino Campi e Felice Boselli, oltre a mobili, arazzi, dipinti, oggetti d'arte, in quella che è una vera collezione museale. Un patrimonio di arredi e suppellettili che ha potuto conservarsi e tramandarsi anche grazie al fatto che la Rocca per cinque secoli è rimasta saldamente in mano alla famiglia Sanvitale, dal Quattrocento sino al 1948 quando l'ultimo erede, Giovanni Sanvitale, la vendette al Comune di Fontanellato.

Al di là del fossato, la Rocca è circondata da belle case porticate. Su un angolo sorge l'Oratorio dell'Assunta, cinquecentesco ma rifatto nel Settecento, che ha una interessante sagrestia con armadi lignei in stile barocchetto, intagliati da Giulio Seletti nel 1720. In paese c'è anche la chiesa parrocchiale di Santa Croce, di fondazione quattrocentesca ma fortemente ristrutturata nei secoli successivi. Anche qui, da vedere sono i mobili barocchi in legno custoditi in sagrestia: li intagliò lo scultore Giovanni Battista Biazzi nel 1693.

Il gioiello religioso di Fontanellato si trova però poco fuori del centro storico: è il veneratissimo santuario della Beata Vergine Maria del Santo Rosario (1641-60), eretto nel 1514 dai monaci domenicani che qui erano stati chiamati dalla contessa Veronica da Correggio, vedova di Giacomo Antonio Sanvitale. Barocchizzato nel Seicento, il santuario conserva diversi affreschi e tele sei e settecenteschi, ma la sua facciata, neobarocca, è in realtà di inizio XX secolo. Particolare devozione è tributata alla statua della Vergine del Rosario, scolpita nel 1615 e che già nel 1628 era all'origine di un miracolo ufficialmente riconosciuto dalla Diocesi di Parma. Da allora all'intercessione della Vergine sono stati attribuiti un'infinità di altri miracoli, come attestano i tantissimi ex voto alle pareti della Galleria delle grazie ricevute.

Testo di Roberto Copello; per le foto, si ringraziano Francesco Turci/concorso Tci Borghi d'Italia (in alto); Antonio Pedroni/concorso Tci Borghi d'Italia (castello con volo di uccelli); Comune (interni castello); Thinkstock (portici e santuario).

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