Tutto iniziò da una miniera d’argento abbandonata in Valganna, vicino a Varese: metallo prezioso non ce n'era più, ma la grotta si prestava a stiparvi un altro e più succulento tesoro, quello costituito da forme di gorgonzola da lasciar riposare al fresco, a temperatura e umidità costanti tutto l'anno. A pensarlo fu nel lontano 1876 un uomo che di umidità se ne intendeva: proveniva infatti dal Lago Maggiore, ma non dalla sua “sponda magra”, quella lombarda e varesotta, bensì da quella piemontese. Si chiamava Luigi Guffanti e veniva da Arona, la cittadina lacustre dove presto ricavò altre grotte di stagionatura (rimaste poi in uso fino al 1990), sotto un bastione delle demolite mura quattrocentesche in cui le esigenze militari avevano scavato un dedalo di cunicoli. Tutti spazi in cui il formaggio maturava molto bene, e non solo il gorgonzola.

Tanta era la richiesta che i figli di Luigi, Carlo e Mario, all’inizio del Novecento lo esportavano perfino in Argentina e in California, dove iniziarono a spedire anche tome degli alpeggi ossolani e forme di Parmigiano Reggiano. Decollava così la fortuna della casa di stagionatura Luigi Guffanti 1876, una leggenda del mondo caseario. Il suo mito continua oggi nelle salde mani del titolare Carlo Guffanti Fiori, che 50 anni fa, posto davanti a dover decidere tra l'occuparsi di economia o di formaggi, scelse questi ultimi. Pronipote di Luigi e zio di Giacomo (autore di Formaggi italiani, una vera bibbia della casearia), Carlo era infatti un brillante ricercatore di microeconomia alla Bocconi: “Avevo vinto un concorso universitario, ma poi hanno richiesto la mia presenza a tempo pieno in negozio e ho dovuto scegliere”, spiega, riferendosi allo storico negozio di Via Liberazione ad Arona. “L’ho fatto seguendo la passione per un mondo che mi pareva ricchissimo di rapporti umani, più concreto delle cifre di un bilancio. Perché guardando le mie forme io vedo natura, animali, uomini, scienza e storia”. Al mondo caseario, però, Carlo ha portato in dote le conoscenze manageriali e di marketing. E così la ditta di famiglia è decollata, imponendosi come un’azienda poliedrica, innovativa e vincente, punto di riferimento per i consumatori che cercano la tipicità nel mondo dei formaggi artigianali, nonché ambasciatrice del made in Italy caseario nel mondo.

Selezionatori e affinatori, oggi Carlo e i figli Giovanni e Davide propongono la loro filosofia del formaggio (e da poco anche dei vini da abbinare) in un nuovo spazio, sempre ad Arona, con una cantina dove si completa e valorizza quanto è stato prodotto grazie a casari e animali. Si tratta di un lavoro amoroso e scientifico, reso possibile dalla conoscenza di microclimi, flore batteriche, cicli di trasformazione naturale. Non stupisce allora che Carlo parli di sé come di un “allevatore di formaggi”: per lui i formaggi sono come puledri di razza, da “allevare” spazzolandoli, oliandoli, strofinandoli, rivoltandoli... Si affinano così le decine e decine dei migliori e dei più rari formaggi della penisola: dal lombardo Bagòss al piemontese Bleu de Moncenis, dal lucano Caciocavallo dei Basilischi fino all'ardito Callu de cabrettu, in sardo caglio di capretto, una specie di antenato del formaggio: lo stomaco di un capretto lattante è chiuso alle estremità con una corda e fatto stagionare con tutto il suo contenuto, ossia l’ultima poppata di latte materno.

Il cuore di Carlo, però, continua a battere in particolare per quel formaggio, emblema del territorio novarese, da cui tutto partì quasi un secolo e mezzo fa: il gorgonzola. Carlo ne conosce ogni segreto, sa che la bontà di un gorgonzola dipende da diversi fattori: qualità del latte, grandezza della cagliata, temperatura del coagulo, abilità del casaro, bravura dello stagionatore, microclimi delle cave di affinamento. E per lui il grande gorgonzola è sicuramente da ricercarsi tra quello piccante, che rappresenta solo il 5% del mercato e che lui preferisce chiamare “naturale”. Perché? “E' un formaggio nato con caratteristiche ben diverse da quelle odierne. Quello di una volta, dall'erborinatura naturale, nasceva solo dal latte di due mungiture ma di una doppia cagliata: lasciando a riposare quello della sera, in ambiente saturo di famiglie batteriche, e poi unendola a quella calda del mattino, si creava una tessitura di pasta dove le spore si sviluppavano “naturalmente”, senza bisogno di creare grandi ingressi d'aria nel formaggio. Oggi il gorgonzola conosciuto e accettato dal mercato è un prodotto dalla pasta caduca, di personalità poco spiccata, che cerca di piacere a tutti. Un formaggio che dopo 58 giorni è già edibile. Eppure se si ha la pazienza di trovare il piccolo produttore che lavora con due mungiture, e si fa poi stagionare la forma in modo ottimale, si è ripagati da un gusto intenso, completo, solo apparentemente più brutale, ma in realtà per nulla “piccante”. Io lo stagiono per 240-260 giorni, arrivando talvolta a 360 giorni, che sono le Colonne d'Ercole dell'affinamento. Degustato con uno sherry secchissimo, o addirittura con il rum, è favoloso”.

Scienza pura, insomma, perché tale è l'arte dell'affinamento. A conoscerne i segreti, può solo far sorridere la vecchia leggenda sulla nascita del gorgonzola: una sera un giovane casaro, troppo impegnato con le forme della sua bella, lasciò a metà il lavoro sulla sua forma di formaggio, abbandonando per tutta la notte la cagliata di quella sera. Quando la mattina dopo cercò finalmente di unirla a quella del mattino, accadde qualcosa di strano... Era nato un capolavoro, che però, affinando affinando, può sempre essere migliorato. Come prova l'esperienza della casa di stagionatura Luigi Guffanti 1876.

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Testo di Roberto Copello; per le foto, si ringrazia Guffanti Formaggi 1876 (guffantiformaggi.com).  

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