Per tutto maggio 2021, il sito del Touring Club Italiano - in collaborazione con Hertz - segue il Giro d'Italia edizione numero 104 (Torino, 8 maggio - Milano, 30 maggio). A raccontarci i luoghi del Giro d'Italia 2021 è Gino Cervi, scrittore e giornalista, nonché cultore di storia del ciclismo, curatore di guide turistiche Tci e autore di volumi di storia dello sport (tra cui i recenti Il Giro dei Giri e Ho fatto un Giro). Seguiteci lungo le strade del nostro Bel Paese! A questa pagina trovate tutte le puntate.

Oggi non è la domenica di Pasqua ma faccio scalo a Grado. Ho dormito a Palmanova, la città stellata. La finestra della mia camera si affacciava stanotte sull’esagono della Piazza Grande deserta e lucida per la pioggia battente della sera prima. Andando a Grado alla partenza della 15a tappa del Giro d’Italia, la Grado-Gorizia, si passerà per Aquileia

Aquileia e Grado distano una decina di chilometri: ma quella strada dritta è un ponte, oltre che sulla laguna, tra due mondi. Il cuore della storia friulana sta proprio nel breve spazio che separa le basiliche di Aquileia e Grado, un tempo sedi degli influentissimi vescovi, che qui sono chiamati patriarchi, secondo l’uso orientale e che rimasero al potere fino all’inizio del Quattrocento. Fu nella romana Aquileia che si organizzarono le prime comunità cristiane a fronteggiare la fine dell’impero e le invasioni dei barbari. Grado, protetta dalle acque, era un rifugio sicuro e gli aquileiesi ricorsero più volte. Ma già nel VII secolo, a seguito di uno scontro fra i patriarchi, Grado e Aquileia divisero i propri destini storici: la prima entrò nella sfera bizantina, avamposto contro i longobardi e sede di un’autorità patriarcale fedele alla Chiesa di Roma; il patriarca di Aquileia, con il favore dei longobardi, si avviò a unire sotto di sé il potere spirituale e politico nel dominio del Friuli. Per questo per molto tempo due rimasero le anime della regione. Aquileia, con il suo sito archeologico Patrimonio dell’Umanità Unesco, è il fulcro della storia e dell’arte del Friuli. Grado, veneziana per sonorità, architetture e colori, fu scoperta nella seconda metà dell’Ottocento dai pionieri del turismo austroungarico che la ribattezzarono l’Isola d’oro.


Aquileia - foto Getty Images

LA BICICLETTA DI RIGATTI E LO SGUARDO DAL SABOTINO

Mi sono fatto raccontare da Emilio Rigatti, scrittore, cicloviaggiatore, una vita passata a insegnare ai ragazzi delle medie che il miglior libro di testo da cui imparare è il paesaggio, il carattere di questo angolo di Friuli Venezia Giulia: «“Noi siamo carne e geografia”, lo scrive Lawrence Durrel, ne Il quartetto di Alessandria. Io sono legato a questi luoghi che oggi verranno attraversati dal Giro: dal litorale gradese, la laguna di Marano, Aquileia, e poi Ruda, Fiumicello, e quindi, superato l’Isonzo, i paesi della Bisiacaria, per arrivare poi al Carso, al Collio, fino a Gorizia. Vi sono legato da una permanenza e da uno stratificato accumulo di conoscenze, parenti, amici, emozioni, cibi, vini, giri in bicicletta e anni di vita. Anche quando ho vissuto lontano da qui, prima a Padova e poi per anni in Colombia, ho sempre desiderato tornare qui, la Heimat è questa».

E come si combinano in te la pratica dello scrittore e quella del ciclista? «Io scrivo da sempre. Da piccolo a scuola per me era una festa quando c’era da fare un tema. L’ho coltivata da sempre la scrittura, nella forma diaristica. Poi la mia prima pubblicazione ha saldato questo rapporto tra scrivere e pedalare: nel 2002 ho pubblicato La strada per Istanbul, un diario di viaggio in bicicletta da Trieste alle porte dell’Europa dell’antica Costantinopoli, e poi Bisanzio, fatto in compagnia di due amici, Paolo Rumiz e Francesco Tullio Altan. Da quel momento la bicicletta è diventata l’unico mio mezzo di trasporto. Ho cominciato a vivere in bicicletta, la mia “Vagabonda” – come l’ho rinominata – e mi sono accorto che la bicicletta trasformava la percezione di me stesso e del mondo intorno a me. In più la bicicletta l’ho utilizzata a scuola come strumento didattico. Negli ultimi vent’anni sono riuscito a portare i ragazzi delle classi delle medie a cui ho insegnato nel mondo della bicicletta: le lezioni fatte in sella a una bici e andando a scoprire il territorio e le sue storie erano molto più interessanti di quelle fatte in aula. La bicicletta ti fa immergere in un libro, diventi tu stesso una pagina del libro che stai per leggere e comprendere».


Emilio Rigatti
 

Ho chiesto allora a Emilio di fare finta che io sia un suo allievo di seconda media – magari! – e di accompagnarmi in un paio di luoghi che vengono sfiorati dall’itinerario della tappa di oggi e di “farmelo capire”: «Sarebbero tanti i posti, e sceglierne uno è quasi imbarazzante. Però ti porterei sul monte Sabotino. E ci arriviamo dalla parte slovena, dove la montagna sembra precipitare nell’Isonzo, che in quel punto è color turchese. Da lì ci muoveremmo a piedi sulla “schiena” della montagna. Il Sabotino sembra un dinosauro con la testa interrata, oppure una grande nave rovesciata con la carena di pietra rivolta al cielo. Una volta arrivati in cima a sinistra vedremmo la Slovenia, coi suoi boschi, la valle dell’Isonzo, che curva davanti a questa prua di pietra e s’immette nella pianura friulana. Se volgi lo sguardo da quella parte puoi arrivare, nei giorni limpidi, fino a Grado, vedi il campanile di Aquileia, la sottile striscia del litorale adriatico. Puoi mangiare con gli occhi la Slovenia, la Bisiacaria, la pianura friulana e il mare. Lo trovo un posto molto riassuntivo di dove siamo. A conclusione del giro di porterei da Bogdan che ha una baracca sul Sabotino dove si bevono le birrazze e si mangia carnazza: io, che sono vegetariano, l’ultima volta che ho chiesto un piatto di verdura, Bogdan mi ha liquidato così: “Questo xè rifugio non xè ristorante”».

BIAGIO MARIN, IL POETA DI GRADO

Infine a Rigatti mi sono fatto dare due fotografie degli estremi della tappa, la partenza e l’arrivo, Grado e Gorizia: «Grado in origine era un avamposto militare, Ad Aquas Gradatas. La sua storia millenaria è riassunta nella presenza di due chiese, due capolavori paleocristiani sopravvissuti negli anni: S. Maria delle Grazie e S. Eufemia. E poi le sue calli silenziose, che sono silenziose però se le frequenti fuori stagione, in inverno, quando ci soffia la bora, o il borin. E poi la bellezza di Grado sta nell’anima di Biagio Marin, mio maestro e mio amico. Nelle poesie di Marin e nelle vite dei pescatori che di ritorno dalla pesca notturna vanno in osteria a bere un taglio, a battere di briscola e a tirare qualche sacramento, si trova lo spirito del posto».   


Grado - foto Wikipedia Commons
 

Quando nasceva Biagio Marin, nel 1891, Grado non era niente, non aveva niente. Lo avrebbe scritto lui stesso: «Quattro case corrose, strette a ridosso di due chiese, intervallate da poche calli, da quattro campielli odoranti di pesce fresco e di salamoia; una vecchia razza di pescatori inebetiti da molti secoli di fame e di isolamento: così era il paese». Ma fu nell’azzurro infinito del cielo e del mare che i suoi occhi di bambino si persero, inseguendo il gioco delle nuvole che nella laguna passano per specchiarsi, e quell’infinito parlò al suo cuore, gli disse tutto della vita, il bello e il brutto, la ricchezza e la povertà, il bene e il male. 

Divenuto adulto Biagio Marin avrebbe trovato le parole per cantare la vita e il mare nella lingua della sua gente, un dialetto antico che nasce nel profondo del tempo. A quell’epoca l’italiano da queste parti era lingua appresa, seconda al tedesco, lingua dell’impero. In italiano Marin studiò filosofia, l’ha insegnò a Trieste, dove visse per quasi trent’anni, ma era nella musica del gradese che riusciva a esprimere la sua anima, piena di amore per la vita e di accettazione dei contrasti e dei dolori. Costante fu la pena per la morte in guerra del figlio Falco, nel 1943, e malinconia e tristezza gli causava l’incomprensione dei gradesi per la sua poesia. 


La Laguna di Grado - foto Wikipedia Commons

Ma a Grado il poeta tornò, nel 1968, e dopo qualche anno la sua poesia cominciò ad avere il riconoscimento che si meritava e portò il suo nome ben al di là dell’orizzonte della laguna. Marin visse così gli ultimi anni nella casa vicino alla ‘diga’, in via Marchesini 43, dove si spense nel 1985.

«Ne la sera de magio / la vose d'un flauto / serca co' passo cauto / la strâ pel so viagio». 

Cercando anch’io la strada per il mio viaggio intorno al Giro, arriverò a Gorizia prima di sera. Ed Emilio mi invita a guardarla così: «A Gorizia ci sono nato sessantasette anni fa. È una città che ti dà l’idea di come fosse l’Austria prima che l’Impero si dissolvesse. C’è un’aria ancora molto asburgica, si sentono ancora i confini. Nella via centrale, la via Rastello, la via degli artigiani e dei commercianti ebrei, di Krainer, una meravigliosa bottega di fine Ottocento che un’associazione sta cercando di riportare in vita. Quando tu percorri il viale, e verso la fine, quando comincia il ghetto, tra la doppia fila di palazzi asburgici in fondo vedrai pararti dinnanzi la parete brulla del Sabotino. Ti sembra di essere a Vienna con l’Afghanistan in fondo al viale».  


Gorizia - foto Getty Images

Si ringraziano per la collaborazione Hotel Ai Dogi di Palmanova e Friuli Venezia Giulia Turismo.

 

Il "Giro del Touring" è realizzato in collaborazione con Hertz, storico partner di mobilità dell'associazione, che ha messo a disposizione di Gino Cervi un'auto ibrida per seguire le tappe della Corsa Rosa. 

I volumi Touring sul Giro d'Italia scritti da Gino Cervi: Il Giro dei Giri e Ho fatto un Giro.