I ghiacciai sono i nostri antenati, preziosi custodi della memoria del pianeta, le colonne d’acqua e nutrimento per la nostra casa comune. Andrebbero tutelati come il bene più prezioso che abbiamo e invece stanno rischiando di estinguersi, sempre più rapidamente. Ogni anno, secondo l’Intergovernmental Panel on Climate Change, i ghiacciai di montagna nel mondo si ritirano di 0,76 metri, un fenomeno drammatico che mette in pericolo interi ecosistemi.
 
Ad aiutarci a capire cosa sta accadendo è un importante studio italiano che indaga le conseguenze del ritiro dei ghiacciai sugli ecosistemi alpini. Secondo un team di giovani ricercatori, il ritiro dei ghiacciai di alta montagna porterà all’estinzione di quasi un quarto delle specie di piante alpine
Lo studio si intitola “The Consequences of Glacier Retreat Are Uneven Between Plant Species” ed è stato pubblicato su Frontiers in Ecology and Evolution da Gianalberto Losapio (Department of Biology della Stanford University), Bruno Cerabolini (Dipartimento di biotecnologie e scienze della vita dell’università dell’Insubria), Chiara Maffioletti, Duccio Tampucci e Marco Caccianiga (Dipartimento di bioscienze dell’università di Milano) e Mauro Gobbi (MUSE – Museo delle scienze di Trento).
Abbiamo chiesto a Gianalberto Losapio, che ha coordinato lo studio, di spiegarci meglio i risultati di un contributo importante, tanto da venire utilizzato nella Convention on Biological Diversity e dall’United Nations Strategic Plan for Biodiversity 2011-2020.
 
Dottor Losapio, può introdurci alla vostra ricerca?
"I cambiamenti climatici, e in particolare il riscaldamento globale, stanno accelerando a dismisura il ritiro dei ghiacciai nelle Alpi italiane e in generale in tutti gli ecosistemi di montagna nel mondo. Noi abbiamo indagato sugli impatti che questo fenomeno ha sulla biodiversità vegetale. Abbiamo scoperto che con il ritiro dei ghiacciai avviene un iniziale aumento della biodiversità. Ma con il tempo le piante che non riescono ad adattarsi al nuovo ecosistema scompariranno. Una su tutte la Artemisia genipi, pianta utilizzata nella medicina tradizionale e arcinota per il liquore che se ne ricava, il genepì."
 
Su quali dati avete basato lo studio? 
"I risultati della ricerca sono il frutto di studi decennali negli ambienti di montagna, in particolare sugli ecosistemi alpini proglaciali, ovvero quegli ambienti che sono proprio a ridosso dei ghiacciai; che alla fine della Piccola età glaciale (circa intorno all’anno 1850) hanno iniziato a ritirarsi." 
 
Quali sono gli elementi che mettono in relazione il ritiro dei ghiacciai e la sofferenza e il rischio di estinzione di alcune specie vegetali?
"Prendiamo ad esempio il ghiacciaio dell’Amola, situato nell’Adamello-Presanella, di fronte alle Dolomiti del Brenta. Grazie alla ricostruzione geologica e alla datazione dei terreni nel momento in cui i ghiacciai si sono ritirati e hanno lasciato il posto al suolo nudo, è possibile ricostruire l’andamento del ghiacciaio e di conseguenza attribuire un’età alle comunità vegetali che vivono su quel terreno. 
 
Nell’immagine (qui sotto) è possibile vedere come il ghiacciaio si sia ritirato per varie centinaia di metri già solo negli ultimi decenni. Dalla fine della Piccola età glaciale il ghiacciaio ha perso più di due chilometri di lunghezza ed è prossimo alla scomparsa completa. 
 
A partire, quindi, dagli ecosistemi più antichi, che sono quelli che si trovano più lontani dalla fronte attuale del ghiacciaio, avvicinandosi progressivamente alla fronte del ghiacciaio è come se si camminasse nel tempo, avvicinandosi sempre di più ad ecosistemi più giovani, che hanno colonizzato i terreni più di recente". 
 
Cosa succede alle piante quando il ghiacciaio si ritira?
"Di fronte al ghiacciaio si trovano le comunità di piante “pioniere”: piante avventizie che già a partire da qualche anno dalla scomparsa del ghiaccio sono in grado di colonizzare un terreno completamente nudo, privo di sostanza organica e di nutrienti e riescono a resistere in modo incredibile in ambienti molto “stressanti”. 
 
La loro sopravvivenza è favorita dalla cooperazione tra le specie vegetali. Infatti abbiamo visto come le piante, per sopravvivere in questi ambienti molto rigidi, si aggreghino fra i loro. Un po’ come fanno i pinguini in Antartide che si scaldano a vicenda per permettere la covata. 
 
Dopo le comunità pioniere, passati circa 150 anni si stabiliscono le comunità vegetali “early”, primi stadi di un ecosistema molto più complesso. È in questo momento che la biodiversità vegetale è al massimo, in quanto non solo la cooperazione tra piante supporta la biodiversità, ma anche il terreno si è stabilizzato. È più ricco di sostanza organica e di nutrienti."
 
Gianalberto Losapio, Department of Biology della Stanford University
Cosa avviene dopo questo momento di convivenza tra specie diverse?
"Con il passare del tempo si instaurano le comunità vegetali “late”. Ovvero comunità tardive. Si passa da una fase di cooperazione alla competizione tra piante. Nel momento della competizione ci saranno vincitori e vinti e le specie vegetali meno resistenti al cambiamento scompariranno, portando a una progressiva diminuzione della biodiversità. Su un campione di 117 specie, abbiamo calcolato che vi sia una probabile scomparsa locale del 22% di esse. 
 
Sulle Alpi quali sono le specie a rischio? 
"Scomparire localmente significa che le popolazioni di piante che vivono vicino ai ghiacciai potrebbero non esistere più una volta che i ghiacciai scompaiono. È il caso dell’Artemisia genipi, che cresce solamente negli ambienti pro glaciali delle Alpi Occidentali e che è ad altissimo rischio di non farcela. Ci sono anche la Saxifraga bryoides, la Saxifraga oppositifolia, la Cardamine resedifolia, il ranuncolo dei ghiacciai: tutte piante specializzate che perdendo il loro habitat verrebbero messe gravemente a rischio. Insieme a queste piante è possibile che anche altri organismi possano scomparire: dagli insetti impollinatori, agli animali erbivori, microrganismi del suolo nonché altri predatori parassiti di questi organismi".
 
Sono piante che troviamo solo nelle Alpi o avete ipotizzato lo stesso fenomeno in altre catene montuose?
I processi di perdita di habitat, di competizione tra specie vegetali sono osservabili in tutti gli ecosistemi di montagna del mondo. Pensiamo a un ascensore verso l’alto... quando i ghiacciai si ritirano, le piante "inseguono" il loro habitat naturale. Ma le montagne non hanno altezze infinite! Quindi una volta raggiunta la loro quota massima il destino purtroppo è l’estinzione.
 
Cosa servirebbe per rallentare questo fenomeno che mina profondamente la biodiversità alpina?
"Di fronte a fenomeni complessi non ci sono soluzioni semplici. Su casi singoli ci possono essere risposte a breve termine, come le coperte termiche che già si applicano ad alcuni ghiacciai alpini (il Presena, lo Stelvio). Però non sono soluzioni applicabili su scala più larga... non possiamo coprire tutti i ghiacci del Karakorum o dell'Himalaya!".
 
Il ghiacciaio Presena, riaperto da termoteli di plastica per limitarne lo scioglimento / foto Getty Images
Quindi a cosa dovremmo aspirare?
"Possiamo impegnarci in azioni individuali. Questo include prestare attenzione a come ci relazioniamo con l’ambiente circostante quotidianamente, valorizzando la montagna sotto tutti i suoi aspetti, da quelli alimentari ed economici a quelli culturali, artistici ed educativi, nel rispetto di tutte le diversità, popolazioni e specie".
 
Ma bastano le azioni individuali per risolvere un problema globale?
"Certo ognuno di noi può impegnarsi nel risparmio energetico, nell’utilizzo di mezzi sostenibili... ma non possiamo basare le nostre aspettative solo sul buon senso delle persone. Ci sono necessità che superano la volontà individuale: se non ho treni o mezzi pubblici non posso immaginare di coprire 50, 60 chilometri al giorno per andare al lavoro. Non tutti abitiamo in una zona servitissima di una metropoli. Servono ovviamente  delle risposte collettive. A livello comunitario le responsabilità cadono sugli enti dei parchi, poi tocca a regioni e governi. Ma la pandemia ci sta insegnando che per problemi planetari occorre un cambiamento radicale nei sistemi politici ed economici. Io lavoro negli Stati Uniti, e valuto positivo il cambio di rotta del presidente Biden, che sta abbracciando il Green New Deal e sta rientrando nella Coop 21, dopo gli anni bui del trumpismo".
 
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