Per tutto ottobre 2020, il sito del Touring Club Italiano - in collaborazione con Hertz - segue il Giro d'Italia edizione numero 103 (Monreale, 3 ottobre - Milano, 25 ottobre). A raccontarci le tante storie del Giro d'Italia 2020 è Gino Cervi, scrittore e giornalista, nonché cultore di storia del ciclismo, curatore di guide turistiche Tci e autore di volumi di storia dello sport (tra cui il recente "Il Giro dei Giri"). Seguiteci lungo le strade del nostro Bel Paese! A questa pagina trovate tutte le puntate.
Che cosa sarebbe stata la tappa di ieri, la Cesenatico-Cesenatico, un largo abbraccio dalla Riviera ai Colli romagnoli, se non fosse stato il 15 ottobre dell’anno di disgrazia 2020, anno in cui gli abbracci sono inibiti, fuggiti, vietati? Cosa sarebbe stato se la gente di Romagna, e il popolo del Giro, che da sempre vive a pane e bicicletta avesse potuto in libertà celebrare la propria festa sul percorso, nelle piazze delle decine di borghi attraversati, dai balconi delle case, dagli spiazzi erbosi a bordo strada, in quel rito sempre uguale e liturgicamente preparato dell’attesa? Possiamo solo immaginarcelo, oggi, il giorno dopo, quando tutto si è concluso e rimane solo l’immagine di una corsa che resta sul filo del possibile, di un viaggio che, ogni giorno che passa, si chiede se sia l’ultimo, o il penultimo, nell’assedio di un’incertezza che è un piccolo, molesto dolore sotto pelle per quello che si vive in queste ore. 


Giro d'Italia, tappa 12, Cesenatico. Foto Lapresse

Si naviga a vista e intanto si corre, per arrivare prima, ma anche per sfuggire all’invisibile minaccia. Paradosso, inquietudine, straniamento. Proprio come nei versi de La chéursa, La corsa, di Raffaello Baldini, grande poeta “per voce interposta”, archivio infinito di parole e sentimenti che, dalla specola discosta di Sant’Arcangelo di Romagna, o perlomeno, dal suono di quel dialetto ostico e, al tempo stesso, esotico per un non indigeno, eppure così ipnotico nella sua stretta sequenza sincopata di vocali (poche) e di consonanti (molte). La cosa migliore sarebbe ascoltarla dalla sua stessa voce (lo potete fare guardando il video sotto). 

Racconta di uno che scappa da qualcuno che lo insegue urlando e brandendo coltelli. Braccato, si butta giù per le strade del paese, che è ovviamente Santarcangelo: la piazza, la fontanelli, i portici, il lavatoio, le mura, un cortile, una scalinata, verso la Rocca, fino a quando, trafelato e col cuore in gola, vede davanti a se tre o quattro che corrono, e si guardano alle spalle, e lo guardano, e riprendono a correre, a scappare. E allora non sa cosa pensare, non ha fiato per parlare, per provare a spiegare, eppure gli sembrano proprio quelli che lo inseguivano poco prima, si è sicuro, sono proprio loro, che però scappano da lui e sembrano che abbiano paura. E allora dice: 

ò paéura ènca mè, 
mo cm’òi da fè? 
a m utrébb farmè què, 
e se pu a m sbai? 
s’a m férm e quéi di dri i m’è madòs?

E cioè: «Ho paura anch’io, ma come devo fare? | potrei fermarmi, e se poi mi sbaglio? | se mi fermo e quelli dietro mi sono addosso?».
 

A me pare di correre come correva l’inseguito-inseguitore della poesia di Baldini. Si passa il tempo a correre davanti alla corsa e ai corridori che ci inseguono fino a quando, arrivati in sala stampa – ieri era nel bellissimo edificio della Colonia marina AGIP, sul Lungomare di Cesenatico, opera razionalista anni Trenta di un Giuseppe Vaccaro lecorbuseriano più che mai, però piombato nel grigio senza luce di un pomeriggio di pioggia – siamo noi a rincorrere loro guardandoli sul maxischermo negli ultimi chilometri della loro fatica. O forse corro per scappare da qualcosa? Anch’io, anche noi, potremmo fermarci. E se sbagliassimo?

Per i cultori delle due ruote e per i cercatori di storie che siamo, la tappa romagnola era come essere a Mirabilandia per un ragazzino. A ogni passo, un ricordo, un invito a fermarsi ad ascoltare. A Forlimpopoli, ci vengono incontro Pellegrino Artusi, che qui è nato duecento anni fa: con la sua La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene (1891, dedicata ai suoi due gatti, Biancani e Simillone) si è dedicato a quello che di lì a poco avrebbero sarebbe stato l’obiettivo, consapevole e meno, di Touring Club, Gazzetta dello Sport e Giro d’Italia: ovvero, fatta l’Italia, fare gli italiani, e la loro identità collettiva di nazione. A Bertinoro, s’inneggiava all’enfant du pays, Arnaldo Pambianco, vincitore del Giro del 1961. Oggi Arnaldo, detto Gabanein, per via della giacca da garzone di macellaio, ha ottantacinque anni ma gli vogliono tutti bene come allora, quando Secondo Casadei scrisse per lui la canzone W Pambianco! 


Giro d'Italia, tappa 12. Foto Lapresse

E poi c’è il Barbotto, la salita più attesa dei 4 GPM in programma. In effetti, nei 202 km non c’è un metro di pianura. E non è un modo di dire, ma si avvicina di molto alla realtà. O si sale, o si scende. Dopo Mercato Saraceno, nome che pare fin troppo minaccioso per quel tranquillo borgo, ecco l’agguato delle pendenze, sempre sopra il 10% e con una punta di 200 m al 18%. La cima, allo spartiacque tra la valle del Savio e quella dell’Uso, è solo a 513 m, ma la fatica li fa sembrare molto più alti. Anche Merckx, quando salì di qui nel 1973, in maglia rosa, e in un Giro dominato in lungo e in largo, fece una gran fatica. Per fortuna che a consolare, e a ristorare, c’è il bar Barbotto, con tavoli all’aperto. Un po’ bar, un po’ ristorante, soprattutto un rifugio. Lo gestisce, abitandoci come un monaco, Francesco Mazzoni: lì i suoi nonni, contadini, avevano messo su un chiosco e la domenica facevano la piada per i turisti che passavano. Poi continuò la mamma, aprendo un bar e preparando anche qualche piatto di tagliatelle. Ora continua Francesco, poco più di quarant’anni. L’80% dei suoi clienti sono i ciclisti che arrivano qui come si arriva a un santuario: per celebrare la propria fatica, per rendere omaggio alla memoria collettiva di una passione, fatta di vecchie foto, cartoline, cappellini, maglie. Francesco ha un occhio speciale per tutti. Per chi ci arriva sui gomiti, una buona dose di zuccheri; per chi ha bisogno di una registrata alla bicicletta, camere d’aria, brugole e bombolette. Insomma: per fortuna che c’è il Bar Barbotto.

Si salta di valle in valle, il Savio, l’Uso, il Marecchia. Sono strade che sembrano fatte apposta per godere di un paesaggio sempre diverso: da un lato le rocche e i tacchi appenninici su cui svettano San Marino, San Leo e altri incastellamenti pieni di storie e leggende – e non c’è tempo per raccontare quella di Azzurrina, del castello di Montebello – e dall’altro in lontananza il mare. Si possono pedalare anche senza l’ansia di arrivare primi, magari facendosi aiutare da una buona pedalata assistita: che è la vera rivoluzione copernicana dell’andare in bicicletta, soprattutto per i cicloturisti. Lo hanno capito bene quelli di Valle del Savio Bike Hub, un progetto intercomunale che si sta proponendo come “porta di accesso” alle bellezze dei colli romagnoli, offrendo una rete di servizi integrati di ricettività e assistenza, di noleggio bici e di itinerari guidati.   


San Leo - foto Getty Images

Intanto il tempo incerto, di nuvole e poco sole, diventa cupo. C’è una fuga di una dozzina di corridori che è partita da tempo all’avventura. Tra di loro c’è Cesare Benedetti e vorrei tanto che sul Rubicone passasse davanti lui davanti a tutti. Ma non è così: al ponte trovo solo la statua dell’altro Cesare, che qui trasse il dado un paio di millenni fa e si avviò a diventare padrone di Roma. Padrone a Cesenatico è Jhonatan Narváez, il secondo ecuadoriano a vincere una tappa a questo Giro, dopo Caicedo primo sull’Etna. L’Ecuador, dal successo dello scorso anno di Richard Carapaz, sembra aver trovato una particolare sintonia con la Corsa Rosa. Arriva solo al traguardo sotto la pioggia che si è fatta battente e gelida, e che ci dice che ormai anche quello di Cesenatico è “mare d’inverno”.  Carapaz, Caicedo, Narváez : la nuova frontiera del ciclismo passa di lì. A guardarli bene vincere, verrebbe da dare ragione ad Alexander von Humboldt, il grande geografo e naturalista che, un paio di secoli fa, degli ecuadoriani diceva che «sono persone rare, forse uniche: dormono sonni tranquilli in mezzo a ribollenti vulcani, vivono poveri in mezzo a ricchezze incomparabili e si rallegrano ascoltando musica triste».


Giro d'Italia, tappa 12. L'arrivo di Narvaez. Foto Lapresse
 

Il "Giro del Touring" è realizzato in collaborazione con Hertz, partner storico dell'associazione, che ha messo a disposizione di Gino Cervi una vettura per seguire le tappe della Corsa Rosa. 
 
Si ringraziano per il sostegno al progetto anche AcdB Museo-Alessandria Città delle Biciclette e Terre di Ger.

In occasione del Giro d'Italia, per tutto il mese di ottobre il volume Touring "Il Giro dei Giri" è scontato del 40% per i soci Touring