Leggermente rientrato su corso Garibaldi, cui è raccordato da un sagrato rialzato, il santuario, di devozione mariana e di fondazione civica – proprietà del Comune di Reggio Emilia – esprime al più alto livello la produzione artistica del capoluogo alla confluenza tra rinascimento e barocco: nell’architettura, progettata dal ferrarese Alessandro Balbi a partire dal 1597 e ultimata da Francesco Pacchioni (cui si deve la cupola), e più ancora negli interni, in cui una sontuosa decorazione secentesca, in stucco dorato, incornicia uno spettacolare ciclo di affreschi che ricopre le volte. Un patrimonio integrato in anni recenti dalle opere d’arte del “Tesoro della Basilica” custodito nel museo annesso al convento, che accoglie oggetti liturgici e donazioni pervenute nel corso dei secoli. La facciata a due ordini è in cotto con ornati marmorei e animata da tipici moduli barocchi quali lesene (colonne appena rilevate a scopo decorativo) e serliane (finestre trifore con l’apertura centrale ad arco), coronata ai vertici dei frontoni da elementi decorativi. Il volume è concluso dalla slanciata cupola e dalla torre campanaria incompiuta. Tre portali conducono nell’interno. Sulla porta centrale è scolpito in marmo un bassorilievo raffigurante la Vergine della Ghiara, di Salvatore da Verona, dono del Comune (1642). Sulla sinistra della facciata un piccolo monumento ricorda il luogo dove è avvenuto il miracolo. L’interno si presenta con una pianta a croce greca, larga 45 m e lunga 60, con profonda abside e cupola centrale con lanterna. Ai quattro angoli, cappelle a base quadrata, di minori dimensioni, a fianco dei bracci della croce greca sono sormontate da altre quattro cupole emisferiche, non visibili all’esterno. La recente campagna di restauro ha consentito di ripristinare l’originaria unitarietà decorativa dell’interno, eliminando ridipinture ottocentesche, e di recuperare il contrasto cromatico tra gli apparati decorativi e lo spazio architettonico. Gli affreschi presenti, dall’avvolgente colpo d’occhio e compatta omogeneità stilistica, sono il frutto di un lavoro ripartito tra i più quotati pittori emiliani degli inizi del XVII secolo, in buona parte artisti riconducibili alla scuola e all’ispirazione dei Carracci o nomi all’apice della fama in un periodo segnato da influenze caravaggesche, ben tradotte da Lionello Spada. Il disegno complessivo degli affreschi segue un preciso programma teologico, illustrato esaltando le Virtù di Maria e soggetti del Vecchio Testamento. Nelle quattro cappelle angolari è rappresentata una sintesi del tempo del mondo: il tempo del paganesimo (simboleggiato dalle sibille), quello dell’Antico Testamento (profeti biblici), quello del Vangelo (evangelisti), quello della Chiesa (dottori). Nelle quattro volte a botte, bracci della croce greca, campeggiano negli scomparti maggiori soggetti dell’Antico Testamento che hanno protagoniste femminili: ricche di tensione drammatica le opere di Lionello Spada nel braccio nord (“Ester e Assuero”, “Abigail e David”; il caravaggesco “Giuditta e Oloferne”); di spicco, ancora nel braccio nord, il ricchissimo “Altare di Città” di Giovanni Battista Magnani (1615), e sopra all’altare del braccio sud (ancora di Magnani) la grande pala della Crocefissione eseguita tra il 1624 e il 1625 da Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino, considerata uno dei suoi capolavori. Tra i numerosi apporti di Alessandro Tiarini spiccano “Davide e Salomone”, nel sottarco del presbiterio dell’altare maggiore, e “Incoronazione della Vergine” nel coro. La cupola centrale è interamente affrescata, con dinamismo e vivacità cromatica ad accompagnare verso “Apoteosi della Vergine”, da Lionello Spada.