Lungo via Carbonara che dà nome alla chiesa i napoletani scaricarono per secoli le immondizie (che le acque meteoriche, scorrendo dalle vicine colline, si incaricavano poi di trasportare fino al mare) e ai tempi degli angioini vi si tennero giostre e tornei tanto cruenti da provocare le proibizioni del papa e le proteste di Francesco Petrarca. Il luogo di culto, costruito tra il 1343 e il 1418, fu il "pantheon" degli ultimi re angioini e risulta privo di facciata - ne fa le veci quella della cappella di S. Monica, che s'innesta a una quota inferiore alla navata della chiesa – mentre l’abside è in realtà la cappella Caracciolo del Sole. Per una scalinata, opera di Ferdinando Sanfelice (1707 c.), si sale all'ingresso attuale, in un cortile sul fianco della chiesa. L'interno è dominato dal monumento di re Ladislao, eretto dalla sorella Giovanna II, su cui sono raffigurati Ladislao e Giovanna in trono, il Re giacente (morto scomunicato) benedetto da un vescovo con due diaconi e, al sommo, Ladislao a cavallo con la spada sguainata, immagine del tutto inconsueta in una chiesa. Il monumento, datato 1428 e tradizionalmente assegnato al solo Andrea da Firenze, è opera di più artisti toscani e settentrionali. Sottopassandolo, si entra nella cappella Caracciolo del Sole costruita nel 1427 da Sergianni Caracciolo, gran siniscalco e amante di Giovanna II, ucciso nel 1432 e qui sepolto in una tomba scolpita (dopo il 1441) da Andrea da Firenze e aiuti; negli affreschi (Storie eremitiche e Storie mariane) furono attivi Leonardo da Besozzo e Perrinetto da Benevento (circa metà del XV secolo); il pavimento con mattonelle maiolicate è del XV secolo. A sinistra del presbiterio, la cappella Caracciolo di Vico, fondata nel 1499 e compiuta nel 1516, è una struttura eccezionale per equilibrio di membrature e mostra, a una data assai precoce, la presenza a Napoli delle iniziali forme del Rinascimento romano. L'attribuzione a Giovan Tommaso Malvito, fatta su basi documentarie, deve essere riferita solo al lavoro dei marmi; il suo disegno va invece collegato a un architetto aggiornato sulle ricerche di Bramante e Antonio da Sangallo. Unico ornamento era in origine l'altare marmoreo, cui lavorarono Diego De Siloe e Bartolomé Ordóñez. Ai lati furono collocati poco dopo i sepolcri di Nicolantonio (destra) e di Galeazzo Caracciolo (sinistra), opera di Annibale Caccavello e Giovanni Domenico D'Auria. Nella navata, fronteggiante l'ingresso, il monumentale altare Miroballo (quasi una cappella per la complessità della decorazione) è opera di scultori lombardi del XV secolo. Dal sagrato si accede alla cappella Seripando, dov'è un Crocifisso di Giorgio Vasari (1545). Ritornati sulla scalinata, si entra nella gotica cappella di S. Monica (all'interno, monumento Sanseverino di Andrea da Firenze). Ai piedi della scalinata, tra le rampe, è l'ingresso alla barocca chiesa inferiore della Consolazione a Carbonara, con il grande altare (già nella superiore) disegnato da Ferdinando Sanfelice e con sculture di Giuseppe Sammartino.