Il campanile pensile della chiesa caratterizza via S. Gregorio Armeno, tradizionalmente il cuore della Napoli artigiana e una tra le più celebri strade del centro storico per il frequentatissimo mercato di statue ed elementi per il presepe che vi si svolge in novembre e dicembre. All'arrivo nell'VIII secolo di monache in fuga dalla Bisanzio iconoclasta risale la fondazione della chiesa e del vasto monastero, completamente rifatto nel 1580 in seguito alle disposizioni del Concilio di Trento, e destinato ad accogliere le giovani più altolocate del Regno. Recenti restauri hanno ripristinato lo splendore dell'interno, a navata unica e sontuosamente omogeneo nei colori verde e oro malgrado sia stato decorato lungo un arco di due secoli (tra '500 e '700); dominato da uno stupendo soffitto ligneo intagliato, dipinto dal 1580 dal pittore fiammingo Teodoro d'Errico e dalla sua bottega, che copre tutta la navata comprendendo anche il coro delle Monache, nascosto da una bellissima gelosia settecentesca. Nei venti scomparti che lo compongono, con intarsi dorati e decorazioni dipinte, sono raffigurate le storie dei santi le cui reliquie sono custodite nel convento. Sopra l'ingresso, ariosi affreschi di Luca Giordano (1679) raffigurano L'arrivo a Napoli delle monache con le reliquie del santo (l'uomo che indica alle suore il rifugio è un probabile autoritratto). L'altare maggiore, con splendide tarsie di pietre dure, è su disegno di Dionisio Lazzari. Integrano l'apparato decorativo due magnifici organi dorati, di ricchissime forme barocche e opere settecentesche eseguite con il coordinamento di Nicola Tagliacozzi Canale: le gelosie intagliate, le spettacolari cantorie in legno e cartapesta, le balaustre con cancellate in tutte le cappelle e, in particolare la raffinata grata in ottone sulla destra dell'altare che fungeva da comunichino per le monache, realizzata su disegno della scultore e argentiere Giovan Domenico Vinaccia nel 1692. Tra i dipinti spiccano le storie di S. Gregorio armeno e Tiridate di Francesco Fracanzano (1635), ai lati della terza cappella destra. Nell'ultima cappella destra sono custodite le spoglie e altre reliquie di S. Patrizia, tanto venerata dai napoletani che la chiesa è popolarmente chiamata con il suo nome. Costeggiando l'alto muro della clausura si giunge, superato il campanile, all'ingresso del monastero, verso il cui vestibolo sale una lunga scala: già qui ne è intuibile la straordinaria ricchezza, per gli affreschi di Giacomo Del Po sulle pareti, per le panche marmoree, per le ruote ai lati dell'ingresso, per l'arredo dell'atrio. Il chiostro, iniziato nel 1572 da Giovan Vincenzo della Monica, in eccezionale stato di conservazione, è anch'esso aperto verso il panorama del golfo; ha nel centro, tra aiuole di agrumi e alberi da frutta (secondo la tipologia napoletana del chiostro che assolve anche le funzioni di giardino), una fontana marmorea affiancata da statue a grandezza naturale raffiguranti L'incontro al pozzo di Cristo e della Samaritana (Matteo Bottigliero, 1733). Il carattere teatrale e laico dell'insieme è accresciuto dalla scenografica quinta rococò che maschera le cisterne e la cappella dell'Idria (unico resto, ridecorato, del convento medievale). Dal chiostro si può accedere al coro delle Monache e, da qui, in altri intatti ambienti arricchiti nel tempo con opere d'arte portate in "dote” dalle fanciulle che si monacavano e che appartenevano alle più illustri famiglie della città: esse costituiscono oggi un eccezionale "museo della devozione".