Un borgo medievale perfettamente conservato, abbarbicato su una rupe tabulare, a 500 metri di altitudine. Una favolosa cattedrale, e poi tante chiese, palazzi antichi, botteghe scavate nella roccia. Silenziosa e solenne, Gerace si erge come un gioiello nobile e austero, a ovest di Locri e alta sopra la costa ionica, che si domina da lassù come a volo di uccello. Anzi, a volo di rapace, secondo l'etimologia che si nasconde dietro il suo nome della città, e che svela almeno in parte il mistero celato nella storia di una città la cui ricchezza e potenza comparve d'improvviso, quasi dal nulla, accrescendo la sua fortuna nel mentre che si spegneva quella della vicina, antichissima Locri. Pare infatti che sino alla metà dell'XI secolo d.C. di Gerace non si sapesse quasi nulla. Poche fonti indicano che quassù nell'anno 787 già si trovava una struttura fortificata, il kastro od oppidum di Santa Ciriaca, Hagia Kyriaké in greco, che nei secoli seguenti, per accostamento al greco iérakos o hiérax, che sta per falchetto o sparviero, si sarebbe trasformato in Hieraki, da cui Gerace. Un rapace del resto compariva già in alcune monete della greca Locri, fondata sulla costa da coloni che nell'VIII secolo a.C. erano qui giunti da Corinto. E proprio un rapace delle rupi, secondo la leggenda, nel Medioevo avrebbe guidato alcuni profughi di Locri, ormai decaduta, lassù sulla rupe dove avrebbero fondato Gerace, dando alla città il nome del rapace che tuttora compare sullo stemma cittadino.

La realtà è forse più semplice: in epoche di frequenti scorrerie costiere da parte degli arabi, il sito su cui far sorgere Gerace fu scelto sicuramente perché assai più sicuro e difendibile. E a rendere Gerace un borgo di primaria importanza avevano già provveduto bizantini e normanni, tanto che qui prima dell'anno Mille si contavano ben 80 chiese, più 12 conventi e otto monasteri. È questo illustre passato di cittadella della fede che ha conservato a Gerace l'aspetto affascinante, come giunto a noi da un'altra epoca e da un altro mondo, che svela gradualmente chi sale fin lassù per conoscerla. Un'atmosfera accresciuta dalle botteghe cinque e secentesche che i vasai scavarono nella roccia, dando vita a un'attività che dal Rinascimento in poi fu di notevole importanza per il luogo, producendo semplici mattonelle da pavimentazione ma anche raffinate maioliche e preziosi vasi da farmacia. Alcune di queste botteghe appaiono subito, appena entrati nel Borgo, il primo dei nuclei di Gerace, fuori delle mura. Da qui, aggirando la Cittadella fondata sulla roccia, si giunge alla Piazza della Repubblica su cui s'affacciano sia la splendida chiesa di Santa Maria del Mastro, dalla facciata seicentesca ma in realtà edificata in periodo normanno nel lontano 1084, sia l'imponente Palazzo del Balzo (il Balzo è quello che dà sulla Piana su cui s'affacciano la chiesa e il palazzo, piana dove si trovano i conventi dei Cappuccini, del 1534, rimasto abbastanza integro, e dei Frati Minori Osservanti, del 1612, oltre alla chiesa di Santa Maria di Monserrato, ancora bizantina nella cupola e nel chiostro, ma con elementi rinascimentali e un portale barocco). È da qui che la rupe e la città meglio appaiono alla vista in tutta la loro imponenza, come una massa compatta, senza torri che si elevino sopra le case (il campanile della cattedrale fu dimezzato dopo il disastroso terremoto del 1783).

Lasciato il Borgo Maggiore, attraverso un'antica porta si entra nel Borghetto, una compatta e ben difesa unità insediativa, raccolta intornpo alla via Roma e al pracùsu, uno spiazzo acciottolato su cui s'affaccia la chiesa di San Martino, ricostruita dopo il terremoto del 1783. Dopo due ampie curve, la strada giunge prima al belvedere Bombarde, con sulla sinistra quanto rimane del “venerabile Hospitale di San Giacomo”, quindi attraversa la barocca Porta del Sole per poi sbucare nella Piazza del Tocco, vero cuore di Gerace, nella quale confluiscono ben sette strade e sulla quale s'affaccia il Palazzo Grimaldi-Serra, sede del municipio, nel cui androne una lapide murata ricorda l'alleanza di Locri con Roma.

Per la bella via Zaleuco, in forte salita, si giunge in breve alla Piazza Tribona, dominata dallo spettacolare impianto absidale della grandiosa Cattedrale, unico nella storia dell'architettura dell'Italia meridionale: di fatto, con le due masse convesse, rappresenta la vera facciata dell'edificio, rivolto com'è al nucleo urbano, vero il quale si apre in uno slargo trapezoidale. Non che la facciata vera e propria non esista, in un severo stile romanico lombardo, ma è del tutto nascosta dall'Episcopio e dal chiostro del Seminario. Consacrata nel 1.045 in stile romanico-normanno, e poi ancora nel 1222 (forse alla presenza di Federico di Svevia), la Cattedrale di Gerace è la più vasta chiesa della Calabria. L'interno (73 metri per 26) era un tempo tutto ricoperto di affreschi e mosaici: ancora nel 1755 una cronaca descriveva descritto nei dettagli un eccezionale pannello di metà secolo XII raffigurante Ruggero II e il vescovo di Gerace, Leonzio II. La cattedrale è costruita in parte sulla nuda roccia e in parte su una cripta a croce greca, molto rimaneggiata ma che dovrebbe risalire all'VIII secolo. Le tre navate hanno sviluppo basilicale, scandito da venti colonne e capitelli, in parte provenienti dall'antica Locri, allineate in gruppi di cinque colonne divise da un pilastro dove un tempo si trovavano le balaustre di chiusura della schola cantorum.

Fra le opere d'arte degli interni, figurano un bassorilievo raffigurante l’Incredulità di S. Tommaso (prima metà del '500), un'altare del Sacro Cuore di Maria realizzato nel 1771 dal marmoraro napoletano Domenico Mazza, sepolcri cinquecenteschi di nobili famiglie locali, la quattrocentesca Cappella del SS. Sacramento con capitelli gotici e rivestita di tarsie marmoree, l’altare in marmi policromi del 1731, opera di artigiani siciliani. La sottostante cripta della chiesa inferiore è a croce greca irregolare, divisa da 26 colonne. Suo nucleo è la cappella della Madonna dell'Itria, ricavata nel 1261 da una chiesa rupestre preesistente alla cattedrale, o forse da una delle prime laure abitate da eremiti bizantini a Gerace tra il VII e l’VIII secolo.

Dal braccio sinistro della cripta si passa alla cappella di San Giuseppe, dove è stato allestito il Tesoro della Cattedrale, che però custodisce opere sacre provenienti anche da altre chiese di Gerace, con preziose argenterie e paramenti (fra cui alcuni tessuti a Gerace nel '600 e '700), tele e sculture lignee, un ostensorio ottocentesco in argento e pietre dure, undici corali in pergamena di fine Quattrocento che attestano il passaggio dal rito greco a quello latino, nonché un grande arazzo fiammingo del sec. XVII, col marchio di Bruxelles e la firma di Jan Leyniers. Il pezzo più antico è una piccola croce reliquiaria a due bracci in lamina d'oro con pietre dure e perline, proveniente da Gerusalemme e databile al XII secolo. Tra gli altri oggetti esposti spiccano un raffinato pastorale settecentesco e una statua dell'Assunta in argento a grandezza naturale, del XVIII secolo.

Dalla cattedrale, percorrendo via Caduti sul Lavoro, si arriva poi a una piazza su cui s'affacciano ben tre chiese: l'ottocentesca chiesa del Sacro Cuore, con pavimento in maiolica geracese: la piccola chiesetta greco-ortodossa di San Giovannello, dell'XI secolo, considerata la più antica chiesa ortodossa d'Italia; e soprattutto la gotica chiesa di San Francesco d'Assisi, eretta nel 1252 a fianco del convento francescano, e il cui interno è dominato da un maestoso altare maggiore in marmi policromi intarsiati del 1644, eccezionale esempio di barocco napoletano-calabrese con influssi rinascimentali, decorato con marmi della vicina cava di Prestarona in cui sono riprodotti elementi vegetali, forme zoomorfe e paesaggi.  Notevole, subito dietro, è anche il monumentale sarcofago di Nicola Ruffo (1372), opera di un artista pisano. Dalle tre chiese si può salire al castello costeggiando l'abitato fino allo spiazzo del Baglio, antico rifugio della popolazione in caso di pericolo, e che un'impressionante fenditura separa dai resti dell'antico Castello normanno dell'XI secolo (ma rimaneggiato nel XVI secolo), che si erge sul limite dello strapiombo, circondata su tre lati da rupi inaccessibili. Ancora, scendendo da via Gioberti, restano da ammirare alcune bifore medievali, palazzi e portali del 700, alcune altre chiese e anche il complesso monastico di Sant'Anna, fondato nel 1344.

Testo: Roberto Copello - Foto: M. Glioti (immagine di testata e veduta dall'alto), Simona La Rosa (veduta Borgo Maggiore, cattedrale e chiesa S. Francesco), C. Farcomeni (museo diocesano)

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