Il Touring Club Italiano sostiene Va' Sentiero, il progetto di sei ragazzi che da maggio 2019 hanno iniziato a percorrere tutto il Sentiero Italia. Alla pagina www.touringclub.it/vasentiero tutti gli articoli dedicati al cammino, con resoconti periodici e approfondimenti sulle varie tappe. Seguite anche voi Va' Sentiero, partecipate a una tappa e condividete i contenuti!

Dopo tanto scrivere, era venuto il momento di camminare. Non si poteva attendere ancora. Era dalla Valle d'Aosta che non facevamo quattro passi con i ragazzi di Va' Sentiero: e non nel senso figurato - perché con lo spirito e il pensiero, i chilometri li abbiamo fatti noi come crediamo anche voi, cari lettori che seguite il progetto fin dal maggio scorso. Così, abbiamo raggiunto la spedizione a Santo Stefano di Sessanio, sotto il maestoso Gran Sasso, per mettere finalmente le suole sul Sentiero Italia e fare qualche giorno di percorso insieme. Quindi perdonerete se nella prima parte di questo capitolo non intervisteremo i ragazzi come al solito, ma vi racconteremo in prima persona come abbiamo vissuto quest'esperienza, senza scendere troppo nel dettaglio di ogni tappa.


Lungo la tappa tra Santo Stefano di Sessanio e Ofena - foto Stefano Brambilla

Allora. Il nostro percorso abruzzese prevedeva di camminare da Santo Stefano di Sessanio a Pacentro, passando per Ofena, Popoli e Roccacaramanico, lasciando a mano a mano il parco nazionale del Gran Sasso ed entrando in quello della Majella. Il primo pensiero che viene alla mente nel ricordare quei giorni è relativo non tanto ai luoghi o alla fatica (peraltro relativa), ma agli incontri effettuati sul cammino. Volti, situazioni, episodi - cercati o trovati per caso. Sono quelli che fanno la differenza, quelli che raccontano di volta in volta l'ospitalità, il sorriso, la resilienza, l'energia, la passione per il proprio territorio. Valori che in città evaporano nella fretta quotidiana - e che un'esperienza a stretto contatto con la "terra", come quella di Va' Sentiero, invece ti continua a sbattere in faccia. 

Ne potremmo citare tanti. A Ofena, piccolo borgo circondato dagli ulivi e dai vigneti del Montepulciano d'Abruzzo, abbiamo dormito in una palestra. Il sindaco è venuto a vedere come stavamo, scusandosi per non aver potuto offrire una sistemazione migliore; e visto che di mestiere fa il fornaio, ci ha portato due teglie di pizza da mangiare per cena. Commovente. Al Passo San Leonardo, tra Roccacaramanico e Pacentro, all'ombra del Monte Amaro, un pastore senza qualche dente ci è venuto incontro con una forma di pecorino stagionato. Non che ci fosse altra gente, in giro: eravamo gli unici a percorrere il sentiero quel giorno. Lui era lì, con il suo cane e il suo gregge: a pochi euro ci ha regalato una merenda a chilometro zero che ci ha riportati bambini.

E così via. A Popoli gli incontri si sono poi moltiplicati, grazie alla sapiente organizzazione del logistico del gruppo, Giacomo. Già Pierlisa, la direttrice della riserva delle Sorgenti del Pescara ci ha lasciati a bocca aperta - lei, in tenuta sportiva, leggins attillati e scarpa da ginnastica, così diversa dall'immagine stereotipata di un burocrate statale, così appassionata nel descriverci il suo angolo di paradiso. Poi, alla sera, ecco Paolo che si è inventato di fare il "libraio di notte", aprendo un occhio di bottega nel centro storico, alla base di una scenografica scalinata che porta a due chiese gemelle - un angolo di Valdinoto in Abruzzo, o quasi. Paolo e i suoi amici un po' poeti un po' scrittori che raccontano storie di resistenza, di cultura, di ricerca imperterrita nell'inventarsi qualcosa per far vivere un Appennino sempre più sradicato dal suo passato. Paolo che parla mentre noi lo stiamo ad ascoltare seduti sui gradini e gli unici a scendere la scalinata - ombre sinuose sotto i lampioni - sono i gatti del paese, visto che nel centro storico di Popoli non abita più nessuno.


Popoli, davanti al Libraio di Notte - foto Stefano Brambilla

Viene da essere ottimisti a incontrare persone di questa risma. Forse i ragazzi di Va' Sentiero ne sono ormai contaminati, di questa positività, dopo le centinaia di chilometri tra valli e boschi e gli altrettanti incontri fatti sul cammino. Forse per loro è diventata una prassi quotidiana. Ma per chi come noi giunge da "fuori", per chi non è "sul campo" ogni giorno, bastano pochi momenti per avere più fiducia nel prossimo, e anche verso il nostro Paese. E per non sentirsi troppo soli a predicare certe attenzioni verso territorio e cultura. Quante sono, in Italia, le piccole realtà che si prendono cura: chi di una via, chi di un parco, chi di un fiume. Cooperative, associazioni, gruppi di giovani e meno giovani: come Il Bosso, che abbiamo incontrato al Centro Visita del Lupo, appena fuori Popoli, proprietà dei Carabinieri Forestali, dove bravissimi ragazzi spiegano routine segrete e meno segrete del grande predatore, e soprattutto insegnano a tutti perché bisogna rispettarlo e dimenticare una buona volta quella balzana favoletta di Cappuccetto Rosso. 

Poi, certo, ci sono anche i luoghi. Ma luoghi minimi, che non hanno la grandeur del Piano Grande di Castelluccio o di Campo Imperatore, e che invece ti lasciano di stucco. Forse proprio perché non sono luoghi pre-visti, perché sono incontrati per caso, e soprattutto perché sono raggiunti con i propri piedi - e arrivarci con i propri piedi non può che trasfigurarli, nell'eccitazione della soddisfazione. Il centro storico perfettamente ovale di Castelvecchio Calvisio, dove si cammina tra antiche case su più livelli, raggiungibili grazie a scale esterne ripidissime e appoggiate sul nulla. Le pareti della chiesa di San Lorenzo che spuntano in mezzo alle ginestre sulla strada per Ofena, e che a giudicare dagli alberi cresciuti dentro alla navata sono lì da decenni o forse da secoli. E poi, il fiume Tirino, che sembra appena uscito da un mito greco o da una favola di Esopo, tanto è trasparente, limpidissimo, circondato da salici e pioppi, un vero locus amoenus che Virgilio sarebbe stato fiero di cantare. 


Il fiume Tirino - foto Stefano Brambilla​

Ce ne sarebbero molti altri, ma almeno due vogliamo citarli e invitarvi a visitarli, un giorno o l'altro. Roccacaramanico con la sua terrazza aperta sul mondo: qualche panchina, un bar, il panorama che spazia sul Monte Amaro e le faggete della Majella - quei posti in cui per un attimo viene voglia di trasferirsi subito, e come lo capiamo, Silvano, professore geologo che questi posti li conosce come le sue tasche e ha scelto questa manciata di muri come sua seconda casa. E poi, le sorgenti del Pescara, che la direttrice Pierlisa ci permette di esplorare in canoa, guidati dal Nicola della cooperativa Majellando: impossibile definire i colori dell'acqua, un mix di Caraibi e Sardegna tra le montagne d'Abruzzo, con le polle che sgorgano dalla sabbia e gli aironi che volano sopra la testa. Impensabile che non siano tra i luoghi più famosi d'Italia, ma forse meglio così.


Le sorgenti del Pescara - foto Stefano Brambilla​

E poi, un'ultima considerazione, ma come sempre si dice "last but not least". Camminare con i ragazzi di Va' Sentiero significa capire quanta preparazione e serietà ci sia dietro un progetto come questo. A volte lo si dimentica, quando si scorrono le loro risate o le loro battute nelle storie di Instagram. Sembra che tutto sia facile: si cammina, si chiacchiera, si mangiano cose buone, si vedono posti belli. C'è tutto questo, certo, ma c'è molto di più: dovreste vederli, i sei ragazzi, una volta arrivati alla palestra o all'ostello di turno. Non c'è un attimo per riposarsi, nel "dietro le quinte": come una macchina perfettamente oliata, ognuno ha il suo ingranaggio da far funzionare

Sara si mette al pc e scarica le foto, sceglie, ordina, corregge colori, didascalizza. Andrea fa la stessa cosa con i filmati, c'è il drone da downloadare, e da montare spezzoni e pillole per quell'articolo o quello sponsor. Martina è la social manager, e ci sono decine di post e storie da guardare, e di utenti con cui interagire. Giacomo, beh, lui non ha mai smesso di telefonare all'universo mondo, anche quando si camminava: incontri, pernottamenti, ospitalità sono tutti in mano sua, e gli incastri impossibili sono all'ordine del giorno. Yuri programma il cammino del giorno dopo, valuta il meteo, scarica le tracce, si informa sulla percorribilità del cammino, ma intrattiene anche rapporti con la stampa e con gli sponsor. E poi c'è Francesco nella sua doppia veste: quella di cambusiere, che deve provvedere ai pasti della truppa - le sue "schiscette" allineate pronte da mettere nello zaino sono un capolavoro di precisione - e quella di geografo-storico-gastronomo, che si informa su tutti gli aspetti culturali del cammino per poi riversarli nel sito di Va' Sentiero. Ah, non si può dimenticare il Giova, cioè Giovanni, che porta il furgone super attrezzato da un luogo all'altro, insieme a computer, brande, sacchi a pelo, tende, scorte alimentari e quant'altro può essere necessario per una passeggiata di centinaia di chilometri. 
A Pacentro, quando li dobbiamo salutare, vorremmo prendere l'esempio di Amedeo, che nel momento della pensione ha deciso di coronare il sogno di una vita e di mettersi in cammino sul Sentiero Italia. Ha deciso di andare fino in fondo e accompagnare i ragazzi fino a Santa Maria di Leuca. Un po' di invidia c'è. Ma anche la consapevolezza che incontreremo tutti ancora - e che sarà ancora più bello.


Sara, Giacomo, Francesco e Andrea intenti a documentare la produzione vinicola nell'azienda Zaccagnini - foto Stefano Brambilla


Giovanni e Amedeo - foto Francesco Sabatini

LA MAJELLA, TRA CERVI, CAZZARIELLI E PANORAMI LUNARI
Riprendiamo dunque il racconto abruzzese con le interviste ai ragazzi. "A Pacentro abbiamo scoperto una tradizione antichissima e incredibile" spiega Giacomo "si chiama Corsa degli Zingari e vede decine di giovani che corrono scalzi giù da un dirupo in onore della Madonna di Loreto. Quando arrivano in paese, mettono i piedi in una bacinella d'aceto per alleviare il dolore". "Pare che il rito risalga addirittura ai tempi dei Longobardi, e non c'entra nulla con i gitani" gli fa eco Francesco. Pacentro, oltre che per le due belle torri che sovrastano il centro storico, è noto anche per aver dato i natali agli avi di Madonna e di Mike Pompeo, il Segretario di stato americano. "Il paese era legato a Venezia, pensa" spiega Francesco "grazie al commercio della seta".

Nella giornata di pausa c'è stato tempo anche per esplorare i dintorni: dapprima i ragazzi hanno provato la zipline che permette un volo panoramico sulla Valle Peligna, gestita da Majellando; e poi hanno fatto un giro all'eremo di Sant'Onofrio al Morrone, "incredibilmente incastrato nella roccia", dice Giacomo, che custodisce la memoria del frate eremita che qui visse e che divenne papa nel 1294 con il nome di Celestino V e poi santo. In Majella sono numerosi i resti degli eremitaggi risalenti a quel periodo. 


Pacentro. Foto Sara Furlanetto


L'eremo di Sant'Onofrio al Morrone. Foto Andrea Buonopane
 

Appena si può, lo sappiamo, i ragazzi amano vedere dall'alto i luoghi che attraversano. Non poteva quindi mancare l'ascesa al Monte Amaro, che con i suoi 2793 metri è la cima più alta della Majella e la seconda degli Appennini, dopo il Corno Grande del Gran Sasso (senza contare gli altri "corni" nei pressi). "Siamo partiti all'alba, incredibile ma vero" ride Martina "il nostro Giova ci ha accompagnato fino a Passo San Leonardo e abbiamo iniziato a salire con il buio". Un percorso non da tutti giorni: davanti a loro avevano 1800 metri di dislivello positivo. "E sono arrivati tutti subito nelle gambe" continua Martina "prima all'interno di un bosco dove risuonavano i bramiti dei cervi, poi lungo un sentiero irto in mezzo a grandi sassi, difficile da percorrere, sembrava di camminare sulla sabbia". Il sole è sorto che i ragazzi erano già in alto, su un primo belvedere. "Da qui è iniziata la Majella vera e propria, o almeno il panorama che avevo in testa della Majella: una successione di grandi panettoni, colline giganti ricoperte di sassi e roccette. Anche la cima del Monte Amaro è strana, nel senso che è difficile percepirla come cima: a differenza del Gran Sasso, vi si giunge dolcemente, senza pendenze o pareti dirupate". 

Ad attendere i ragazzi una ventina di camosci d'Abruzzo, la sottospecie di camoscio endemica dell'Appennino: "loro ci guardavano e noi guardavamo loro, per niente spaventati: sembrava di potergli parlare". Poi la discesa, lungo il Vallone della Femmina Morta: "bellissimo, un panorama mai visto prima, quasi lunare. Incredibile come le atmosfere cambino in così breve spazio: avevamo ancora tutti nella testa le rocce del Gran Sasso, e lì sembrava di essere su un pianeta diverso" riflette Martina. Il legame tra le due montagne, tra l'altro, è testimoniato da tante leggende. Prima fra tutte, quella di Maja, madre che arriva in Abruzzo per salvare il figlio e vaga per i boschi lamentandosi - lei è la Majella, di cui ancora risuonano le grida nel vento che soffia sopra le rocce; lui il Gran Sasso, il cui profilo sembra un gigante che dorme. A fine giornata grande soddisfazione e visi bruciati dal sole. 
 


Alba sulla Majella, risalendo il Monte Amaro. Foto Sara Furlanetto


Il bivacco Pelino sul Monte Amaro. Foto Sara Furlanetto


Camosci d'Abruzzo sul Monte Amaro. Foto Sara Furlanetto


Monte Amaro. Foto Sara Furlanetto
 

Tempo di tornare sulla retta via. Da Pacentro a Rivisondoli il Sentiero Italia si snoda lungo una tappa lunghissima e densissima, come testimoniano i numeri: 32 km, 2400 metri di dislivello in salita, 1700 metri di dislivello in discesa. "Non avremmo avuto grandi problemi se a metà tappa non si fosse messo a diluviare... la serie di belle giornate delle settimane precedenti sfortunatamente aveva preso fine..." sorride Francesco nel ricordare l'arrivo distrutti e bagnati sotto un nubifragio potente che ha fatto ricordare certe tappe liguri dello scorso anno.

"Eppure, eravamo partiti da Pacentro con il sole" ricorda il cambusiere "insieme a Paolo, signore di Palena, uno dei borghi certificati dal Touring con la Bandiera arancione. Tra i bramiti dei cervi siamo arrivati a Campo di Giove, con il Monte Amaro sullo sfondo; poi al Guado di Coccia, dove una pietra ricorda il Sentiero della Libertà: da qui si riusciva a superare la linea dei tedeschi e ad arrivare fino a Otranto. Abbiamo visto pure passare la Transiberiana d'Italia, la linea ferroviaria turistica che collega Abruzzo e Molise in un suggestivo percorso tra i monti: è la seconda più alta d'Italia, dopo quella del Brennero. E la vista dalla cresta verso il monte Porrara era stupenda: da Palena la vista si estendeva fino a Capracotta, in Molise". 

Tappa Pacentro-Rivisondoli - foto Francesco Sabatini
 

Una volta giunti a Rivisondoli, i ragazzi si sono trasferiti nella vicina Roccaraso, la stazione sciistica più importante dell'Appennino centro-meridionale. "Qui ci aspettava Nunzia, una giovane mamma che ci seguiva da tempo e non vedeva l'ora di ospitarci nel suo hotel La piazzetta... non ti dico che bellezza poter dormire in veri letti e asciugarsi con veri asciugamani! Nunzia ci ha davvero coccolato" racconta Sara. Quando si dice una "calorosa ospitalità"... Tra l'altro Nunzia ha voluto far conoscere ai ragazzi la storia del luogo. E non quella del recente sviluppo turistico, ma quella dei giorni di guerra. "Nella frazione di Pietransieri la guida Jessica ci ha spiegato che cosa successe in questa zona il 21 novembre del 1943, quando le truppe tedesche trucidarono 128 persone inermi per il semplice sospetto che la popolazione civile sostenesse i partigiani". Morirono 60 donne, 34 bambini al di sotto dei 10 anni, e molti anziani: uno degli episodi più cruenti e crudeli della seconda guerra. 

Pietransieri si trovava lungo la linea difensiva Gustav, su cui le forze armate tedesche si attestarono dopo lo sbarco alleato a Salerno. "Pensa che Jessica ci raccontava come agli abitanti non fu dato il tempo di evacuare la zona, dopo l'annuncio che chiunque fosse stato trovato in loco sarebbe stato ucciso. Faceva freddo, non era semplice andarsene... eppure la malvagità bellica ebbe il sopravvento".

Vista su Pietransieri. Foto Sara Furlanetto

Per stemperare il momento, Nunzia aveva pensato a un pomeriggio più rilassante, invitando l'amica di famiglia Ines a recarsi presso l'albergo e a insegnare i ragazzi una ricetta locale. "Ines ha 86 anni e un'energia invidiabile" ricorda Sara "con lei ci siamo divertiti a preparare i cazzarielli, gnocchi di acqua e farina che vengono cucinati con un brodo di verza, fagioli e pancetta. Ci voleva proprio un bel piatto caldo, la sera!". 


Roccaraso. La signora Ines insegna come fare i cazzarielli da Nunzia all'albergo La Piazzetta. Foto Sara Furlanetto
 

Da una produzione casalinga a una produzione industriale, ma sempre legata alla Majella. Va' Sentiero ha avuto modo di visitare lo stabilimento della pasta De Cecco, fondata nel 1886 a Fara San Martino, alle porte del parco nazionale. "Il rapporto con la montagna è davvero viscerale" racconta Francesco "per produrre la pasta viene utilizzata l'acqua del fiume Verde, che viene estratta da una delle sorgenti che sgorgano dalla Majella: e proprio l'acqua di montagna permette un'eccellente tenuta glutinica". Si dice che il metodo di essiccazione della pasta come lo conosciamo oggi sia nato proprio con la De Cecco: "c'era la Majella che faceva ombra, faceva freddo, dunque bisognava seccare la pasta fatta in casa perché altrimenti andava a male" spiega Francesco. "Non c'è niente da dire: ci troviamo di fronte a un pastificio di montagna, anche se poi ha assunto una dimensione industriale".

Il Verde è un altro di quei fiumi limpidissimi, dove viene voglia di tuffarsi. Nel tempo ha visto tante attività diverse sulle sue sponde: i mulini e le gualchiere, innanzitutto, quando si cardava e tingeva la lana; poi le centrali idroelettriche ("in sei chilometri di fiume ci sono sei piccole centrali!"); poi ancora quelle legate all'industria alimentare ("c'è anche un altro pastificio, la Del Verde"). Insomma, per la vita di chi abitava a Fara San Martino è sempre stato un elemento fondamentale. 
 

Il pastificio De Cecco. Foto Sara Furlanetto

Non si poteva passare da Fara senza visitare le vicine gole. "Insieme a vari rappresentanti del Fai e a una guida del parco ci siamo inoltrati nel canyon, un ambiente davvero spettacolare, aspro, di origine carsica, dove le pareti sono alte fino a 800 metri. È un luogo così impervio che vi crescono alcuni esemplari plurisecolari di pino nero" racconta Andrea. "Siamo arrivati fino alle rovine di San Martino in Valle, un vecchio monastero benedettino che era stato ricoperto da una frana ed è stato reso visitabile in tempi moderni". Una leggenda vuole che le gole fossero state aperte dalle braccia di san Martino, forse un riferimento cristiano a Ercole e alle colonne d'Ercole. 


Fara San Martino. Foto Sara Furlanetto


Le gole di Fara San Martino. Foto Sara Furlanetto

L'abbazia di San Martino in Valle. Foto Sara Furlanetto
 

DALLA MAJELLA AL PARCO D'ABRUZZO
Tempo di salutare la Majella. Non senza aver preso qualche scroscio di pioggia (sotto gli impianti sciistici di Roccaraso), aver ammirato la piana dell'Aremogna (dove d'inverno si pratica lo sci di fondo) e soprattutto, finalmente, aver incontrato sua maestà. "È stato incredibile" ricorda Andrea "sotto la cresta della Monna, dopo aver attraversato una faggeta, siamo sbucati in una vallata, e finalmente ho visto i cervi! Fino a quel momento avevo sentito solo il bramito... e invece lì ce n'erano quaranta, cinquanta, appena sotto di noi, un maschio con un palco pazzesco e tutte le sue femmine...". Solo il primo di tanti incontri, durante la tappa che da Rivisondoli ha portato Va' Sentiero a Barrea. "Ogni due per tre un maschio solitario compariva in una radura o si stagliava su una cresta. Bellissimo".

Poi un altro incontro, d'altro genere però: quello con il Pasetta, che ha fatto deviare i ragazzi dal sentiero per mostrare loro un faggio secolare, chiamato Matusalemme. "Il Pasetta si è presentato vestito da Garibaldi, con la bandiera italiana in mano... difficile definire questo personaggio... lascio il compito a Yuri tra poco. Io ti dico soltanto che vedere Matusalemme è stata un'emozione pazzesca, è proprio uno di quei monumenti della natura che non si può guardare se non con venerazione" conclude Andrea. "È proprio un peccato che il Sentiero Italia non lo tocchi". Fine tappa con i ragazzi del liceo scientifico sportivo Patini Liberatore Castel di Sangro, che si sono interessati al progetto di Va' Sentiero e hanno voluto documentarsi camminando un tratto insieme a loro. "Moltissime domande! È sempre bello quando i giovani provano interesse per quello che stiamo facendo". 

Ma torniamo al Pasetta. "Lui si chiama Tommaso d'Amico, ma nessuno lo chiama Tommaso e lui nemmeno si gira se lo chiami per nome" sorride Yuri. "Avrà 80 anni tra poco, una faccia simile a Garibaldi e un carattere fanciullesco: pare un bambino ipervivace che non è mai cresciuto. Non ti dico la sua energia". I ragazzi erano ospiti del suo campeggio, a Barrea, grazie al fatto che Giovanni aveva conosciuto il Pasetta durante il Camminitalia del 1999, la seconda spedizione che l'Associazione Nazionale Alpini organizzò insieme al Cai, con la collaborazione del Touring, per percorrere tutto il Sentiero Italia. "Suo nonno era uno degli ultimi lupari dell'area, richiamava i lupi ululando in uno scarpone... e lui ovviamente ci ha fatto vedere come" (il video sotto, realizzato da Andrea, inizia proprio con questa scena). Nella giornata di pausa a Barrea il Pasetta aveva organizzato varie attività, tra cui una cena a Civitella di Barrea in compagnia di quattro suonatori locali - "una flautista che suonava anche la ciaramella e poi ha fatto un assolo soffiando... dal naso! E un violinista eccezionale" commenta Yuri.