«Il desiderio di voler diventare qualcosa d’altro rispetto a ciò che si è ha attraversato gli ultimi decenni di vita in Lombardia. Da un lato, non accontentarsi di ciò che si è può diventare uno stimolo, un incitamento a migliorarsi; ma dall’altro lato può diventare una sorta di condanna, pensare di abbracciare un modello irraggiungibile, fittizio, un ideale sfuggente, e questa tensione irrisolvibile comporta l’allontanamento da se stessi, il ricorso a una narrazione che racconti esattamente ciò che non siamo…»
Sono le parole con cui Giorgio Falco introduce nei Percorsi d’autore la nuova edizione della Guida Verde “Lombardia". Scrittore sensibile ai paesaggi interiori e alle mutazioni antropologiche della contemporaneità, Falco ha ambientato in un borgo immaginario della cintura periurbana lombarda uno dei primi romanzi di successo, L’ubicazione del bene (2009). Con La gemella H nel 2014 è stato finalista al Premio Campiello. Con Ipotesi di una sconfitta nel 2019 ha vinto il Premio Biella Letteratura e Industria. Del 2020 è Flashover. Incendio a Venezia, capolavoro non-fiction pubblicato come i precedenti da Einaudi, a un tempo reportage, inchiesta, ricostruzione storica, saggio antropologico-sociale corredato dagli scatti di Sabrina Ragucci.
 
Qui vogliamo proporvi uno dei brani scritti da Falco per la nuova edizione della Guida Verde Lombardia, di cui trovate la presentazione completa sulla nostra news dedicata.
SECOLI DI NEBBIE E INTRIGHI DI CORTE: MANTOVA E IL MINCIO
Era il novembre del 2005, avevo appena comprato un camper furgonato che usavo per girare l’Italia perché, come ho scritto altrove, ‘l’Italia è il mio guinzaglio’, non potrei vivere in un’altra nazione. Dovevo andare in un ospizio, a Rovigo, avevo appuntamento alle dieci di mattina, per intervistare gli anziani ricoverati e scrivere un reportage. Così ero partito da Milano la sera precedente, avevo deciso di percorrere soltanto strade statali e provinciali. Era una notte nebbiosa, mi ero fermato a Mantova, per dormire. Avevo parcheggiato lungo il viale che affaccia sul lago di Mezzo, il posteriore del camper rivolto verso il marciapiede. Mi sentivo inquieto, avevo camminato lungo le mura e passeggiato nella città deserta, che pareva intrisa nella nebbia.
L’ammasso di microscopiche gocce d’acqua non sembrava originato dall’acqua del Mincio, dai campi circostanti, ma dall’acciotolato di piazza Sordello, che pareva incorporare secoli di nebbie e intrighi di corte. Vicino al Duomo, guardando in direzione opposta, a causa della nebbia non ero riuscito ad arrivare con lo sguardo nemmeno a metà della piazza, che in quella circostanza, mai come prima, mi era parsa grande e, al tempo stesso, accogliente; gli edifici ai lati – palazzo vescovile, palazzo ducale – stringevano la piazza nebbiosa in una bambagia. Arrivato dall’altra parte di piazza Sordello, avevo sollevato la testa per guardare la torre della Gabbia, ma ovviamente non ero riuscito a scorgere la sommità degli oltre cinquanta metri di altezza; mi ero fermato all’inizio, o forse nemmeno a metà, nonostante l’illuminazione pubblica. Avevo proseguito per pochi metri, verso piazza Broletto; i portici sul lato destro mi erano parsi ancora più bassi, appesantiti dall’umidità, e le vetrine dei negozi si erano manifestate come apparizioni reali. Mentre ritornavo verso il camper furgonato, avevo sentito, da qualche parte, il rumore di passi, il cuoio sul pavé secolare; suoni tipici di uno di quei film italiani del Novecento tratti da un romanzo italiano del Novecento: passi inquietanti e al tempo stesso rassicuranti, insomma, l’Italia.
Tornato al camper furgonato, mi ero addormentato rannicchiandomi sotto un piumone. Al mattino mi ero svegliato prima delle sette, avevo guardato fuori dal finestrino e visto ancora la nebbia contro i mattoni delle mura secolari. Ero sceso con un giaccone indosso, avevo attraversato la strada e guardato il lago di Mezzo, o meglio, quanto era concesso dalla coltre. Il Mincio era una distesa che avrebbe potuto essere grande quanto un oceano. Nella nebbia, forse un uccello aveva lambito la superficie dell’acqua, che aveva restituito un risucchio, come se la leggerezza dell’ala rivelasse, al contrario, il tonfo di un sasso. Ero ritornato verso il piccolo bozzolo di lamiera. Di lì a pochi giorni avrei compiuto trentotto anni e pensavo che avrei dovuto guidare per una novantina di chilometri nella nebbia, prima di arrivare a parlare con persone nate negli anni Venti del Novecento. Erano le 7.30 di una mattina qualsiasi e, nonostante il rumore del diesel appena acceso, mi risuonava in testa il suono dell’ala sull’acqua, un uccello che non avevo visto. E questa, ancora oggi, è Mantova.
AQUISTA LA GUIDA VERDE LOMBARDIA
La Guida Verde Lombardia è disponibile sul nostro Store digitale, nei Punti Touring e in tutte le librerie