Quest'articolo è frutto dalla convenzione stipulata dall’Associazione Italiana Insegnanti di Geografia (AIIG) e Touring Club Italiano. ​

Se osserviamo il paesaggio intorno a noi non è raro trovare elementi naturali e antropici intimamente collegati a usi, costumi e credenze. I toponimi di strade, contrade, città e non da ultimo dei corsi d’acqua dicono infatti molto sui luoghi che vanno a indicare. Si tratta di un processo di denominazione messo in atto ovunque e da sempre, tutt’altro che semplice e casuale.

Ecco alcuni esempi di fiumi e torrenti che indicano riti religiosi e stregoneschi, ma anche miti e leggende, nell'Italia meridionale.
NEL SANNIO, IL TORRENTE DELLE STREGHE
Se volessimo, per esempio, trovare con certa facilità l’ingresso agli Inferi, magari per intraprendere un viaggio simile a quello compiuto da Dante, dovremmo recarci presso i gorghi nei quali si inasprisce il torrente delle Janare sotto l’omonimo ponte a San Lupo (Bn), nell’Alto Sannio. Il perché si chiami torrente delle Janare, ovvero delle streghe, è legato ad una delle numerose vicende infernali che ruotano attorno a questi monti sanniti, fra i quali da tempo immemore si riunirebbero le streghe provenienti da ogni dove. 

Pare infatti che le streghe della zona si riunissero sotto un albero di noce, chiamato "noce di Benevento", cresciuto sulle sponde del fiume Sabato. Il luogo esatto è da ricercare lungo le sponde del fiume presso la località Ripa delle Janare. Si racconta che il noce fu abbattuto da San Barbato nel VII secolo, ma che poi ricrebbe nello stesso sito. In ogni caso, il mito affonda le sue radici prima nei culti pagani di Iside e poi in quelli dei Longobardi: questo popolo venuto dal Nord Europa pare fosse solito appendere una pelle di capra sacrificata sotto il noce beneventano e celebrare lì i propri misteriosi rituali. 


Janare intorno al Noce di Benevento - Illustrazione tratta da: Enrico Isernia, Istoria della città di Benevento dalla sua origine fino al 1894, volume Primo, pag. 214, Benevento, Stabilimento Tipografico A. D'Alessandro e Figlio, 1895.​ Fonte: Wikipedia.

Sappiamo infatti che, durante il delicato raffronto di credenze tra differenti culture, è facile confinare ciò che risulta diverso e sconosciuto nell’altro da sé e quindi nella misteriosa diffidenza - basti pensare alla plurisecolare caccia alle streghe. Tuttavia, questo accostamento di culture non è mai trascorso indenne da contaminazione e lo scontro spesso è diventato incontro.


Idrografia dell’area compresa tra Benevento ed Avellino, con particolare del comune di San Lupo (BN). Elaborazione dell’autrice. ​

IN VALDEMONE, I FIUMI DI DIONISO
Di fatti, seguendo le tracce longobarde ancora più a sud, lungo la dorsale appenninica e oltrepassando lo Stretto di Messina, si arriva laddove l’idrografia si fa più rada e torrentizia, tra monti impervi e dominati dalla natura rigogliosa della Valdèmone (o Val Demone, o Val di Demenna). In questa valle le streghe diventano mahieri (in lingua gallo-italica) e convivono con altre streghe, un po’ fate, dall’indole buona.  

In Valdèmone i Longobardi arrivarono come soldati di ventura al seguito dei normanni (e cristiani) Ruggero d’Altavilla e della moglie Adelasia del Vasto. Il padre di Ruggero, il Gran Conte Ruggero I, intento ad attraversare lo Stretto per approdare in Sicilia, avrebbe incontrato qualche tempo prima la fata Morgana (fata buona) che aveva trovato riparo in questi luoghi impervi tra l’Etna e Messina, o addirittura in fondo al mare. La fata vivrebbe ancora oggi nel suo castello sott’acqua, dal quale ogni tanto esce su di un cocchio tirato da sette cavalli e si diverte a fare scherzi gonfiando il mare.

Da simili racconti prende nome il bizzarro fenomeno della “fata Morgana”. Tale fenomeno ottico, molto curioso, cela in verità una spiegazione scientifica: due strati d’aria a diversa temperatura che si sovrappongano sopra uno specchio d’acqua danno vita a una sorta di lente di rifrazione che distorce l’immagine all’orizzonte (una nave, degli alberi, un lembo di terra, ecc.) ingannando l’occhio umano. È così che, in alcuni momenti, può sembrare che la Sicilia sia vicinissima alla costa calabra. 

Oltrepassando effettivamente lo Stretto, dicevamo, incontriamo dunque le sponde dei torrenti Maina e Manazza, che scorrono nelle campagne della greca Agathursos (secondo alcuni l’odierna Capo d’Orlando, nella città metropolitana di Messina) scendendo dai sovrastanti Monti Nebrodi, nella terra natale di Dioniso (secondo la versione più antica del mito, risalente al XII sec. a.C). I due torrenti sono strettamente legati alla figura di Bacco e alle sue sfrenatezze: già dal loro nome lascerebbero trasparire il verbo greco màinomai (infuriare, essere invasati) - chi non ricorda le frenetiche Menadi? -; inoltre, hanno restituito interessanti tracce in terracotta raffiguranti il volto di Dioniso e una certa quantità di monete con la figura dello stesso dio (nel 1998 ne scrisse Antonino Damiano).

Poco più a sud-ovest, un’aria di mistero aleggia sulla Fiumara di Rosmarino: che sia questo fiume dal letto largo e ciottoloso, costeggiato da piante di rosmarino, a nascondere il nome dell’antico fiume scomparso dalle carte che gli antichi chiamavano Chida? In realtà qualche traccia cartografica esiste e per i più curiosi potrebbe trattarsi di una vera e propria caccia a un perduto tesoro. Pare, infatti, che questo fiume avesse grande portata e, soprattutto, fosse navigabile (a riguardo ne discorre Carmelo Emanuele): una manna dal cielo per le antiche popolazioni che amavano spostarsi più sull’acqua che sulla perigliosa terra! 


Idrografia della Valdèmone (o Val Demone), tra i comuni di San Fratello e Capo d’Orlando (ME). Elaborazione dell’autrice.

NEL MESSINESE, LA POTENZA DELLA NATURA
Proseguendo ancora il nostro cammino a ovest, si stagliano tra i monti che circondano il centro abitato di San Fratello (Me) i torrenti Inganno e Furiano. Dai nomi già di per sé eloquenti, il torrente Inganno in particolare segue un percorso molto vario, alternando alle asprezze delle rocce calcaree i profili dolci e modellati dall’acqua nel tratto argilloso-arenaceo con cascatelle e incisioni del suolo. Si dice che il fiume inganni con il proprio percorso tortuoso il visitatore che si cimenti nel seguirne le sponde. 
Panorama non dissimile, caratterizzato da falesie e profonde gole, intervallate da brevissimi tratti in cui l’acqua scorre placida, è quello offerto dal torrente Furiano, il cui nome è da attribuirsi alla rapidità con cui il corso d’acqua infuria sul proprio letto (Dario Sirna ripercorre questi due torrenti in altrettanti articoli, ricchi di fotografie, dalle quali sono tratte quelle qui allegate per gentile concessione dello stesso autore). 

Tra questi due torrenti riecheggiano ancora oggi storie di uomini chiamati a sfidare la potenza della natura, in un’epoca in cui i ponti erano pochi (di pietra antica) e l’unica via per valicare il corso d’acqua era quella di passarvi attraverso, finendo travolti dalla potenza del torrente. Vicende realmente accadute che alimentano da secoli storie fantastiche intorno ai fossi - o, più in particolare, c’è chi dice ai pozzi - abitati da quelle streghe che in Sicilia si chiamano Marabecca, mentre a Benevento Manolonga: la loro tetra presenza ammonisce chiunque (in particolare i bambini) a usar prudenza in prossimità delle pericolose forre.  


Il torrente Inganno tra le rocce di arenaria tipiche della zona (foto di Dario Sirna). 


Il torrente San Fratello, ramo di levante del Furiano (foto di Dario Sirna). 
 

Inutile ribadire, dunque, come questi luoghi dalla notevole bellezza che ancora sfuggono al turismo di massa possano essere terreno fertile per esplorazioni inaspettate sulle tracce di racconti antichi persi nel limbo tra storia e leggenda, tra visibile e non visibile. E chissà se i più attenti osservatori riusciranno ora a decifrare l’importanza e la complessità che i corsi d’acqua qui celano, in un territorio d’entroterra che da secoli fa i conti con questa preziosa risorsa in un altalenante rapporto di costruzione - distruzione, solo a partire dal semplice nome di un fiume...