Imperia è capitale dell'olio, delle olive, fino a qualche anno fa lo è stata anche della pasta (Agnesi, il più antico marchio di produttori di pasta secca del mondo, nacque proprio qui, nel 1824). Offre poi tante gustose specialità locali e della provincia: dalla pizza all'Andrea al machetto di acciughe, dai barbagiuan fritti (alle bietole e spinaci o alla zucca e formaggio) allo stoccafisso all'onegliese. E ancora il pesto, i funghi, le torte di verdure, i formaggi di pecora brigasca, la stroscia di Pietrabruna, con l'olio di oliva al posto del burro. Insomma, “Imperia val bene una mensa”, direbbe oggi Enrico di Navarra se passasse da queste parti. In tal caso, potrebbe apprezzarne anche tante altre cose: chiese, musei, atmosfera, il mare e le colline... Persino le temperature miti di quella che il Sole 24Ore, studiando dieci anni di meteo, ha proclamato “città con il miglior clima d'Italia”. E invece, a Imperia, non sono molti a far sosta. I più si fermano prima, nelle popolari località balneari della Riviera di Ponente; oppure saltano a piè pari il più occidentale capoluogo ligure puntando direttamente sul glamour di Sanremo e Bordighera, o verso i borghi collinari della Val Nervia e della Valle Argentina.

È un po' come se la città paghi ancora lo scotto dell'unificazione imposta nel 1923 dal governo Mussolini, allorché fuse per decreto regio undici comuni, fra cui i due borghi fino ad allora divisi dal letto di un fiume e dallo scorrere della storia (Oneglia e Porto Maurizio). Facciamo però piazza pulita da un diffuso equivoco: Imperia, dove Mussolini aveva trascorso quattro mesi a fare (controvoglia) l'insegnante, non fu chiamata così per le ambizioni imperiali del Duce. Semplicemente, gli abitanti non si accordavano su come chiamare la città unificata, “Portoneglia” fu rifiutato e alla fine fu imposto dall'alto un nome neutrale, ispirato al fiume Impero (in realtà un torrente di appena 22 km). Anzi, già che ci siamo cancelliamo anche un altro equivoco: il confine in realtà passava un po' più a ovest della foce dell'Impero, lungo il piccolo rio Baitè.  

Porto Maurizio - foto Roberto Copello


Torta verde - foto Agenzia Regionale In Liguria

UNA CITTÀ, DUE ANIME
Insomma, per paradosso sia la più “cittadina” Oneglia sia Porto Maurizio, più borgo storico, hanno ottime ragioni per attirare visitatori, ma la loro somma risulta un ibrido un po' anonimo, che fatica a calamitare l'attenzione. Sarà perché manca un'identità precisa, comune? Lo proverebbe la pervicacia con cui resta forte, fra gli abitanti locali, la percezione di una netta distinzione fra le due realtà urbane, se non persino di una contrapposizione. Un decreto regio, del resto, non è sufficiente a cancellare la storia, i secoli di rivalità in cui Porto Maurizio era genovese e Oneglia sabauda, per non dire di quando la prima si schierò con Napoleone e la seconda invece subì i bombardamenti francesi. Poi nel 1842 il Regno di Sardegna, dopo aver rinunciato a fondare una nuova città, unì i due borghi con un ponte sull'Impero. E presto arrivò lo sviluppo industriale che fra Otto e Novecento, per quanto incredibile possa apparire, stabilì qui la capitale mondiale dell'olio e della pasta, con cui si riempivano le stive delle navi che dai due porti mollavano gli ormeggi, direzione il mondo.

La vis polemica, che ha sempre diviso i due borghi imperiesi, in qualche modo rimane ancor oggi: i portorini, orgogliosi del loro scenografico promontorio, continuano a dire agli onegliesi che “la cosa più bella che avete voi di Oneglia è la vista su Porto Maurizio”. Restano le diversità di accenti dialettali, abitudini, ricette, tradizioni. Restano due porti, due chiese principali, due palazzi civici, due caselli autostradali, addirittura tre feste patronali. La “lontananza” è solo di poche centinaia di metri, ma a colmarla non basta che ora portorini e onegliesi abbiano un solo ospedale e debbano servirsi di un'unica stazione ferroviaria, inaugurata nel 2016 a Castelvecchio al posto e più a monte delle due di un tempo. Anche il patrono cittadino adesso è uno solo, san Leonardo da Porto Maurizio. E poi, prova goliardica del concepirsi in modi autonomi, persistono i macabri nomignoli che gli abitanti dell'uno e l'altro borgo si rinfacciano da secoli, beffardi e fedeli alla leggenda: cacelotti e ciantafurche. Ovvero, i portorini discendenti del famigerato boia locale Cacella, che accettò la mansione per farsi condonare una condanna all'ergastolo. E costruttori di patiboli, gli onegliesi, per via di quella forca eretta nel 1820 nella Ciassa Manuella, l'attuale piazza De Amicis. Peccato che già dal 2014 abbia dovuto chiudere la pizzeria “Cacelotti e Ciantafurche”, che a mezza via fra Oneglia e Porto Maurizio, in zona Ferriere, pretendeva di fare da trait d'union fra le due anime imperiesi. 


Oneglia, Imperia - foto Agenzia Regionale In Liguria


Porto Maurizio, Imperia - foto Agenzia Regionale In Liguria
 

Neppure quel trascinante predicatore che era san Leonardo, patrono dei missionari e inventore del rito della Via Crucis (in vita ne eresse 572!), si sottrae a essere tirato per la tonaca. Era nato a Porto Maurizio nel 1676, ma gli onegliesi raccontano che dopo aver litigato con i concittadini se ne partì, togliendosi i sandali in modo da non portare con sé neppure la polvere del luogo natio. Invidie e maldicenze, ribattono i portorini: san Leonardo non portava i sandali per un voto fatto a causa della tubercolosi. E poi, aggiungono, che non avesse tagliato i ponti con Porto Maurizio lo dimostra l'entusiasmo con cui in cinquemila accolsero il ritorno in paese del frate quasi ottantenne, facendosi convincere a erigere una grande chiesa nella Piazza d'Armi, ai piedi del borgo del Parasio. L'evento è ricordato oggi da una statua del santo, proteso da un piccolo bastione a predicare verso il duomo sorto grazie alla sua foga oratoria, e nel quale si conservano le sue spoglie. La casa natale di san Leonardo invece è un po' più in su, nel Parasio stesso, accanto a una chiesetta a strisce bianche e nere a lui dedicata. Lassù qualcuno ora vorrebbe spostare le reliquie del santo: perché le visitino più pellegrini, o per evitare che si ripeta quanto accaduto nel 2016? Allora il parroco di San Maurizio, don Lucio Fabbris, donò un frammento osseo di san Leonardo alla Basilica onegliese di San Giovanni. Era un bel gesto di pacificazione fra le due comunità, ma chissà se è piaciuto a tutti.
Ma, rivalità e aneddoti a parte, ecco cinque punti di partenza per scoprire Imperia e il suo territorio
 
1. PORTO MAURIZIO E IL PARASIO
La visita di Imperia può iniziare dal Duomo di San Maurizio, enorme tempio neoclassico costruito fra 1781 e 1838 e che con i 3000 mq è ritenuta la chiesa più grande della Liguria (da vedere anche la piccola pinacoteca interna). Dal suo colonnato poi ci si può avviare a scoprire il colle del Parasio (“Paraxu” in dialetto, forse il “palazzo” del governatore genovese), il cui fascino è appena sminuito dalle tante facciate sbrecciate, in un degrado che, comunque, sembra averlo preservato dalla speculazione edilizia.
Il quartiere è, secondo gli appassionati soci del cinquantennale Circolo Parasio, “un unico, enorme condominio, un insieme di edifici che si puntellano l'un con l'altro in un gioco di rimandi favorito dalle salite, dagli stretti vicoli, dagli scorci panoramici e dalla presenza amica del mare”. Il Circolo stesso da vent'anni organizza il “Gira Parasio”, passeggiate guidate a scoprire le chicche del silenzioso borgo storico, salendone la struttura “a chiocciola” fra portali in ardesia, chiese, archivolti, caruggi, edicole religiose, palazzi nobiliari (due ospitarono Napoleone e Mazzini), un muraglione fittamente coperto di mattonelle d'artista.
Gioielli del Parasio sono le logge del porticato sul retro del monastero di Santa Chiara, con il loro panoramico affaccio sul mare della Riviera dei Fiori e sulla sottostante “passeggiata degli innamorati”, e l'oratorio dei Disciplinanti di San Pietro apostolo, di proprietà della secolare Confraternita di San Pietro, utilizzato per il culto ma anche per concerti. Non lasciatevi ingannare dalle sue pareti interamente ricoperte di esuberanti affreschi barocchi: questo è il più antico edificio religioso di Imperia. E poi procedendo in su, fra i vasi di centinaia di piante curate da una signora come se il Parasio fosse il suo giardino, fino alla panoramica piazza dove sorgeva fino all'800 la demolita chiesa quattrocentesca di San Maurizio. 


Porto Maurizio, le logge sul retro del monastero di Santa Chiara - foto Roberto Copello

Porto Maurizio, il panorama dalle logge di Santa Chiara - foto Roberto Copello
 
2. ONEGLIA: CASE STORICHE E PORTO
Tutt'altra atmosfera si trova lasciando le salite di Porto Maurizio e spostandosi a levante, nella più vivace Oneglia, il cui centro storico, dove i caruggi liguri si alternano a palazzi e portici di stile piemontese, è invece tutto in piano. Anche qui c'è una grande chiesa, la barocca San Giovanni Battista, che custodisce uno degli organi più apprezzati della Liguria (lo suonavano sia il padre sia il nonno di Luciano Berio). Esplorando le viuzze e le piazzette circostanti si trovano la casa dove nel 1466 nacque Andrea Doria e quella dove nel 1846 venne alla luce Edmondo De Amicis, accanto alla Biblioteca civica “Leonardo Lagorio” che custodisce un'infinità di manoscritti e volumi deamicisiani, oltre a un piccolo museo con lo studio e la biblioteca dello scrittore. Spingendosi ancora più a est si può arrivare all'enorme facciata del Collegio civico Ulisse Calvi, l'istituto dove nel 1908, per quattro mesi, Benito Mussolini insegnò svogliatamente francese, preferendo dedicarsi a un giornale socialista e alle gonnelle delle modiste onegliesi. Salendo a monte, sulla panoramica Collina delle Cascine, si arriva davanti al giardino, le piscine, la facciata liberty dell'eclettica Villa Grock, che fu il bizzarro regno dello svizzero Adrien Wettach, in arte Grock, il più celebre clown di ogni tempo: purtroppo, mentre la maschera di Grock continua a sghignazzare beffarda dalla torretta, parco, villa e Museo del Clown sono chiusi per “riqualificazione”. 

Così a calamitare abitanti e turisti sono piuttosto il mare e il porto (ma i portorini dicono che il più antico di Liguria è quello di Portus Mauricius, citato già nel 205 a.C.) su cui si affacciano le mastodontiche gru portuali e le case di pescatori di Calata Cuneo, con gli sghembi portici colorati e i tavolini dei ristoranti di pesce. La cucina ligure, certo, sa sedurre il palato come poche altre, ma non si può restare tutto il giorno con le gambe sotto il tavolo. Così, a un certo punto, è giusto ricordarsi della maggior gloria e ricchezza locale: l'olio. Occasione unica per conoscere tutti i produttori locali, grandi e piccoli, è OliOliva, la festa dell'olio nuovo che da due decenni si svolge a Oneglia a inizio novembre, attirando buongustai anche dall'estero. 


Lo storico palazzo detto del “Cremlino”, fino al 1923 municipio di Oneglia, in piazza Dante - foto Roberto Copello


Villa Grock - foto Roberto Copello

3. OLIO: DAL MUSEO DELL'OLIVO AGLI ULIVETI
Tutto l'anno invece si può rendere omaggio all'epopea dell'olio visitando le collezioni del Museo dell'Olivo Carlo Carli, vero inno d'amore a questa pianta, alla sua importanza e ai suoi prodotti. Il museo è stato aperto nel 1992 accanto alla sede dell'azienda Carli, l'unica localmente sopravvissuta della grande triade industriale dell'olio che, oltre a Carli, comprendeva Sasso e Berio (d'obbligo allora citare anche la chiusura nel 1999 della prima raffineria olearia del mondo, la Sairo, che inaugurata nel 1912 importava tonnellate d'olio da tutto il Mediterraneo per lavorarlo a Imperia). 

Nato dalla passione di Carlo Carli e di tutta la sua famiglia per la millenaria storia e cultura dell'olio, dell'olivo e delle olive, il Museo dell'Olivo ha raccolto ben 8mila reperti. Fra i più rari e preziosi ci sono alcuni vasi del VI sec. a.C.: una piccola lekythos-oinochoe corinzia, una grande lekythos attica per olio profumato, un aryballos (ampolla per unguenti) etrusco-corinzio a forma di scimmia. E poi ci sono tavolette sumere e anfore micenee, vasi etruschi e mosaici romani, ampolle e unguentari, lucerne e lumi a olio, colorate lattine serigrafate e oliere in vetro e argento, persino il tronco fossile di un olivo di 12 milioni di anni fa. Non bastassero le 18 sale, nel giardino esterno sono esposti, fra due olivi millenari, anche vecchie giare olearie e antichi frantoi spagnoli e liguri.

Dopo aver visitato il Museo dell'Olivo (e magari essersi stupiti, in quella caverna di Alì Babà che è l'adiacente emporio aziendale, di quanti prodotti si possono ricavare dall'olio e dall'oliva), è d'obbligo andarli a vedere, gli uliveti. Nulla di più piacevole che inoltrarsi nell'interno, stupirsi per il mare verde che ricopre le colline, salire sulle “fasce” dove i monaci benedettini di San Colombano nel Medioevo avviarono la coltura dell'ulivo. Furono loro a importare dalle isole di Lérins, davanti a Cannes, la pregiata cultivar di oliva taggiasca impostasi come la regina del Ponente ligure, ideale com'è sia per produrre un olio extravergine leggero e ricco di qualità organolettiche sia per essere consumata a tavola, in salamoia o sott'olio, sposata al coniglio in umido o spalmata in forma di paté sui crostini di pane. E furono sempre i monaci a modificare il paesaggio ligure erigendo migliaia di chilometri di muretti a secco, un lavoro ciclopico. Così grazie ai terrazzamenti dell'Imperiese, regolarmente sottoposti a una eroica manutenzione, le piccole, violacee olive taggiasche tuttora trovano l'habitat ideale. 


Museo dell'Olivo Carli - foto Roberto Copello


Museo dell'Olivo Carli - foto Roberto Copello

4. LUCINASCO E LE CITTÀ DELL'OLIO
Ben 24 sono le “città dell'olio” della provincia imperiese (tra cui i borghi Bandiera Arancione di Apricale, Dolceacqua, Perinaldo, Badalucco). Varrebbe la pena visitarle tutte, unendo la scoperta della campagna imperiese con quella degli uliveti, dei frantoi, dei piccoli produttori d'eccellenza che neppure la difficilissima annata 2021 riesce a fiaccare. Tra i più bei paesi dell'olio c'è Lucinasco, che da uno sperone collinare sorveglia la valle Impero. Circondato da un mare di 55mila ulivi, è stato “scoperto” già da qualche anno da inglesi e tedeschi: fatevi raccontare da Cristina Armato, esuberante produttrice di extravergini tra i più pregiati di Liguria, di quando un suo olio è stato premiato a Londra.

Ma Lucinasco, con la sua storia secolare, non è solo olio e ha diverse cose da vedere: come la parrocchiale barocca e il museo “Lazzaro Acquarone”, con la sezione etnografica sulla cultura contadina e la sezione di arte sacra che, nell'oratorio dei Bianchi, vanta l'eccezionale gruppo ligneo di un Compianto del '400. Il gioiello più fulgido è però fuori del paese. Oltrepassata l'antica chiesa di Santo Stefano, che sta in un contesto idilliaco davanti a un laghetto, e inoltrandosi nei boschi, d'improvviso ci si trova di fronte la chiesa quattrocentesca della Maddalena, a tre navate. Affascinante per le sculture della facciata, la cornice di archetti, il rosone, il portale strombato, lo è anche per il contesto naturale in cui è collocata, affacciata a dominare l'intatta valle del Prino. Una chiesa che da sola, come direbbero certe guide turistiche, “vale il viaggio”. Ma forse che non lo valgono pure l'olio o un piatto di coniglio con le olive?


Chiesa della Maddalena, Lucinasco - foto Agenzia Regionale In Liguria


Chiesa della Maddalena, Lucinasco - foto Roberto Copello

5. SULLE ORME DI DE AMICIS E MOLTI ALTRI
Per gli amanti delle biografie, e soprattutto della letteratura e della scienza, sono molti i personaggi illustri nati a Imperia: cercarne le tracce, tra case e monumenti, può essere un altro filo conduttore per scoprire il territorio. Anche se a volte può risultare difficile, visto che tutti hanno vissuto solo parte della loro esistenza nella città e hanno preso il volo per trovare fama e fortuna.

Di Oneglia erano il grande ammiraglio Andrea Doria, che meriterebbe ben altro omaggio che non la pizza di cui sopra. Lo era il padre dell'eroe nazionale argentino Manuel Belgrano, eroe che nella terra degli avi mai si presentò. Lo era lo scrittore Edmondo De Amicis, la cui prosa sublime meriterebbe di essere ricordata non solo per il libro Cuore. Lo era anche Luciano Berio, il più famoso e ostico compositore italiano del XX secolo, che frequentò il Liceo classico De Amicis proprio come il futuro premio Nobel per la medicina Renato Dulbecco, egli pure cresciuto a Oneglia. Era invece portorino l'altro Nobel locale, Giulio Natta, il papà della plastica (in realtà del polipropilene, il Moplen ben noto alle massaie del dopoguerra), insignito per la chimica nel 1963: lo ricorda solo un microscopico monumento che, nascosto in un'aiuola, riproduce la formula della sua scoperta. E a Oneglia, prima di morirvi di tisi nel 1917 a nemmeno 30 anni, trascorse gli anni più produttivi della sua breve vita Giovanni Boine, intellettuale acuto che segnò generazioni di poeti e scrittori: quelli della cosiddetta “Linea ligure” e, forse, anche il primo Montale. Erano quelli gli anni in cui Oneglia oltre che olio e pasta produceva grande letteratura, grazie a “La Riviera ligure”, rivista fondata nel 1895 dapprincipio per reclamizzare l'olio Sasso (che era di proprietà della famiglia dello scrittore Angiolo Silvio Novaro) e sulle cui pagine fino al 1919 si succedettero articoli, tanto per dire, di Alvaro, Bacchelli, Campana, Deledda, Palazzeschi, Pascoli, Pirandello, Ungaretti. E le implacabili recensioni di Boine, che vi teneva la rubrica di critica militante “Plausi e botte”.


Oneglia, spazio dedicato a De Amicis - foto Roberto Copello


Oneglia, la lapide sulla casa di Andrea Doria - foto Roberto Copello

INFORMAZIONI
- Siti web Liguria: www.lamialiguria.itwww.experienceliguria.itwww.360liguria.it 
- Siti web Imperia: www.imperiaexperience.it; circoloparasio.blogspot.com; circoloparasio.it.
- I nostri consigli su dove dormire e su dove mangiare a Imperia
- La nostra Guida Verde Liguria, acquistabile in tutte le librerie, nei Punti Touring e online sul nostro store