Il 20 dicembre 1965, in una stanza di un palazzo storico nel centro di Zagabria, un vecchio disegnava e dipingeva. Mentre disegnava e dipingeva davanti a lui c’erano persone che stavano a guardarlo attentamente, quasi con sospetto. Controllavano che fosse proprio lui, l’artista.
Avevano dubbi. Come era possibile che quel vecchio, che aveva sempre coltivato patate e allevato maiali, fosse l’autore di tutti quei quadri?  Centinaia e centinaia di tele, coloratissime, piene di re e cavalieri, uccelli e cavallucci marini, leoni e rinoceronti, cani, galli, pavoni, cinghiali, fluttuanti nel vuoto o su fondi oro, come in un’infinita, ininterrotta danza galattica. No, non era possibile che un contadino potesse essere artista in quel modo. Bisognava metterlo alla prova.
Seconda sala Ilija Bašičevič Bosilj
ILIJA BAŠIČEVIČ BOSILJ
Il 20 dicembre 1965 il Consiglio di istruzione e cultura della città di Zagabria aveva così convocato Ilija Bašičevič Bosilj perché disegnasse e dipingesse un quadro davanti a una commissione di esperti. Il vecchio Ilja aveva settant’anni e nella sua già lunga vita, a dire il vero, ne aveva passate ben di peggio. Era nato nel 1895 a Šid, una città serba al confine tra la Vojvodina e la Croazia, quando ancora si trovava sotto il dominio dell’Impero di Francesco Giuseppe.
Da ragazzo avrebbe voluto partire per l’America a cercar fortuna, ma a diciannove anni, allo scoppio della Prima guerra mondiale, si trovò arruolato nell’esercito austro-ungarico: pur di non farsi mandare al fronte a sparare ai nemici si procurò una ferita a una gamba.
Sopravvisse alla guerra, ma i suoi guai non erano ancora cominciati. Mise su famiglia e continuò a fare il contadino ma quando, nel 1942 in Croazia presero il potere gli ustascia, nazionalisti antiserbi, finì nei pogrom di pulizia etnica e vide la morte in faccia, salvandosi solo per miracolo.
Fuggì a Vienna con la famiglia e qui si ammalò di tubercolosi. A guerra finita, e tornato in patria, dovette vedersela con il cooperativismo del nuovo regime comunista di Tito che nel 1948 gli confiscò la proprietà di terre e bestiame.
Gli restò solo la casa e un lavoro precario. Nel 1957, quando aveva sessantadue anni, cominciò a dipingere. Nel frattempo, il figlio Dimitrije, nato nel 1921, con lo pseudonimo di Mangelos, dopo gli studi a Vienna, si era affermato a sua volta come artista, curatore e critico d’arte di spicco nella Jugoslavia di Tito, ma non vedeva di buon occhio la creatività del padre totalmente spontanea e fuori da ogni corrente stilistica e pensiero programmatico, e fece di tutto per distoglierlo dalla produzione, arrivando anche a fare distruggere alcune sue opere e a costringerlo a fare uso di uno pseudonimo, Bosilj, appunto. A fronte di tutte queste avversità, presentarsi davanti al Consiglio di istruzione e cultura di Zagabria, a Ilija forse non sembrò la cosa peggiore.
Quel 20 dicembre 1965 il vecchio Bašičevič iniziò a lavorare con matite e pennelli sulla tela, con gli occhi della commissione addosso. Dopo tre ore gli esperti dissero che bastava così. Ilija aveva dipinto una regina alata e, di fianco, solo abbozzata al tratto, una figura con bastone.
Il vecchio pittore – perché adesso nessuno poteva dire che non lo fosse – volle però firmare così la sua prova: «Ho dipinto questo quadro davanti alla commissione di Zagabria nel 1965. Ilija Bosilj». Alla fine se uscì dalla stanza con in mano un certificato con tanto di timbro. Ilija morì sette anni dopo. Poco tempo prima aveva donato tutte le sue opere alla sua città natale, Šid, in Vojvodina. La sua fama di artista internazionale arrivò solo postuma.
Bosilj, Madre Jevrosima, 1967
SAVA SEKULIČ
Quando Bašičevič Bosilj otteneva il suo “certificato d’artista” dalla burocrazia culturale comunista, Sava Sekulič soltanto l’anno prima era finalmente entrato in contatto con il mondo artistico contemporaneo, grazie all’incontro con una storica dell’arte, Katarina Jovanovič. Qualcuno, dopo almeno vent’anni, riconosceva il valore artistico delle sue opere.
Sava Sekulič era nato nel 1902, a Bilišane, un villaggio rurale della Dalmazia – oggi in Croazia, ma all’epoca anch’esso sotto l’Impero austro-ungarico – da una famiglia serba. Anche a Sava, come a Ilija, la vita non riservò molta fortuna. A dieci anni rimase orfano di padre e la madre, risposatasi, portò con sé solo la figlia più piccola, lasciandolo solo affidato a due sorelle maggiori. Arruolato per la Grande Guerra a soli quindici anni, venne ferito al fronte, perdendo l’uso dell’occhio destro. Tornato dalla guerra, fece mille lavori: taglialegna, barcaiolo, operaio. Ma soprattutto coltivò da perfetto autodidatta la propria formazione culturale, imparando da solo a leggere e a scrivere, e poi a disegnare. Segnato da altri lutti – la perdita della prima moglie e di un figlio – , negli anni Trenta iniziò a dipingere, ma quasi tutta la sua produzione di quel periodo – realizzata quasi sempre su supporti di fortuna o di riuso – è andata per sempre perduta. Stabilitosi a Belgrado nel 1943, per vent’anni, insieme al lavoro di muratore, continuò a dipingere e a scrivere versi.
La non convenzionale singolarità della sua arte fece molta fatica prima di essere capita e apprezzata: ritratti di grande espressionismo onirico, trasfigurazioni simboliche di persone, animali e paesaggi, insistite simmetrie fisiognomiche... I vicini di casa erano addirittura atterriti dalle tele che poneva ad asciugare in cortile e che, spesso, ritrovata irrimediabilmente sfregiate.
A partire dagli anni Settanta, la sua attività ebbe finalmente il riconoscimento che si meritava e, a oltre settant’anni, Sava divenne un vero e proprio caso artistico: orgoglioso del suo assoluto, e faticoso, percorso di autoformazione, si firmava con la sigla CCC, che, in caratteri cirillici, corrisponde a Sava Sekulič Samouk, ovvero “Sava Sekulič  Autodidatta”. Proprio gli anni Settanta furono il periodo più felice della sua produzione, con numerosi premi e mostre, in Jugoslavia e in Europa. Sava morì nel 1989.
Sava Sekulić, Ragazza sulla spiaggia, 1975 
LA MOSTRA
Io non so se Ilija Bašičevič Bosilj e Sava Sekulič si siano mai incontrati in vita. So però che buona parte delle loro opere, così intense per forme, colori, suggestioni, dal 12 giugno e ancora fino al 30 settembre, sono raccolte in una mostra all’interno di un posto speciale. Questo posto è la Casa dell’Art Brut di Mairano, frazione sulle prime colline di Casteggio, in Oltrepò Pavese, che ha allestito l’esposizione Consapevole abbandono della realtà. Capolavori dalla Serbia per la prima volta in Italia.
Si può dire che il contesto sia il più adatto per accogliere queste straordinarie “macchine immaginative”. Inaugurata nel 2018, in una residenza settecentesca ristrutturata, la Casa dell’Art Brut custodisce ed espone, parzialmente, la Collezione Fabio & Leo Cei, oltre 30.000 opere di artisti provenienti da tutto il mondo. Una preziosa collezione – probabilmente la più importante in Italia e tra le più ricche al mondo – del multiforme universo dell’Art Brut, che, secondo la categorizzazione fondativa formulata da Jean Dubuffet nel secondo dopoguerra, è «espressione artistica originale e spontanea, pura e autentica, tra disagio e libertà». L’Art Brut – detta anche Arte Irregolare, Outsider Art, Intuitive Art, Art Singulier, Art des Fous, Marginal Art, Art Naïve… – in oltre mezzo secolo, ha codificato, pur nelle maglie larghe di una poetica non normativa, quell’arte di confine tra pulsione interiore e antiaccademismo estetico che nasce quasi sempre dalla marginalità o dalla sofferenza psichica.
Quarta sala Ilija Bašičevič Bosilj
LA CASA DELL’ART BRUT, A MAIRANO
Ed è proprio lasciandosi guidare dalla libera forza di attrazione di queste opere e dalla predisposizione a un coinvolgimento senza schemi che viene da invitare a fare conoscenza l’eccezionale esposizione di Mairano e il suo originalissimo contesto.
Nel primo caso, facendosi accompagnare per mano dalla seduzione ancestrale e favolistica delle figure di Ilija: i coloratissimi bestiari, santi e cosmonauti sospesi nell’oro, feste e processioni di animali bifronti, tra la suggestione delle icone bizantineggianti e dei rarefatti balletti chagalliani – c’è anche la regina alata, frutto della “prova” davanti alla commissione di Zagabria; oppure dagli sguardi indagatori e metafisici dei personaggi di Seka, divinità metamorfiche e ieratiche, ironiche e sensuali allo stesso tempo.
Nel secondo, riservandosi la curiosità di sapere qualcosa di più della cornice ambientale, sia essa la punta dell’iceberg di una collezione che presenta capolavori assoluti e tutti forse ancora da scoprire al grande pubblico – penso solamente ai ritratti in articulo mortis di Rino Ferrari o alla strepitosa e immensa “mappa-mille storie” di Parigi di Jean-Pierre Nadeau, che sembra uscita da un’esperimento figuativo dell’OuLiPo e che sarebbe forse piaciuta a Italo Calvino, nell’anno del suo centenario; sia l’inimitabile contorno architettonico e paesaggistico del borgo di Mairano e, in particolare, della splendida villa Bussolera Branca.
Insomma, i motivi per invitarvi a visitare la mostra Consapevole abbandono della realtà. Capolavori dalla Serbia per la prima volta in Italia, organizzata presso la Casa dell’Art Brut, con la collaborazione del Museo dell’Arte Naïve e Marginale di Belgrado, del Museo dell’Arte Naïve Ilijanum di Šid e del Ministero della Cultura della Repubblica di Serbia, e all’interno di quel centro culturale che è la Fondazione Bussolera Branca – altro luogo in cui si intersecano decine di storie da raccontare – , sono molteplici e tutti ottimi. Non ultimo il fatto che a settembre le colline dell’Oltrepo nel pieno della vendemmia sono bellissime.
Da sinistra, esterno Casa dell'Art Brut e la Fondazione Bussolera Branca
 
INFORMAZIONI
La mostra è aperta al pubblico fino al 30 settembre. Ingresso libero dal lunedì al venerdì dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 15 alle 17. Sabato mattina su appuntamento. al 3421618194
www.casadellartbrut.it