Dice che c’è nebbia. Nebbia fitta che si taglia con il coltello; nebbia spessa che non si vede un palmo dal naso; un muro di nebbia che quasi vado a sbattere; nebbia a banchi e visibilità ridotta; brume romantiche che salgono dai campi e spingono al gotico; nebbia sì, ma non è più come quella dì una volta. Il radiogiornale annuncia nebbia in Valpadana, e quando lo dice durante le informazioni del traffico non è mai una cosa buona pensa chi è abituato a vivere dove non c’è quasi mai nebbia. E infatti aggiungono sempre: «Prestate attenzione, guidate con prudenza».
Gino Cervi, che dentro la nebbia ci è nato, ha scritto un libricino portatile – nel senso che per dimensioni questo libro della collana "Piccola filosofia di viaggio" di Ediciclo, starebbe dentro la tasca dei pantaloni se non fosse un peccato perché si sgualcisce – dedicato alla nebbia. Un piccolo viaggio sentimentale dentro quel che la nebbia cancella e sgualcisce. Si intitola La fabbrica della nebbia (Ediciclo, pag. 92, 9,50 €), cento pagine scritte in punta di penna, come si diceva una volta di quelli che sapevano scrivere. Pagine dense come la nebbia che scese sullo stadio Marakanà dì Belgrado nel novembre 1988 e costrinse l’arbitro a interrompere un ottavo di finale di Coppa Campioni del primo Milan di Arrigo Sacchi, salvandolo dì fatto – perdeva uno a zero, ed era con un uomo in meno, la partita interrotta venne rigiocata dall’inizio – cambiando, forse, il corso degli eventi calcistici dì quella squadra cui Cervi dichiara di essere affezionato.
Pagine intrise di ricordi famigliari, di quando la mamma si sedeva al volante della Simca e si preparava alla traversata dei due chilometri tra casa, alle Cascine Orsine, e la scuola, in piazza della Chiesa, alla Zelata. Guidando incerta e lenta, con il figlio a far da piccola vedetta per orientarla nel paesaggio annebbiato della bassa padana, la provincia pavese solcata da fiumi, rogge e canali, vera fabbrica della nebbia.
Nebbia che però bisogna imparare a conoscere, mica evitarla, perché non è solamente un fenomeno atmosferico. Nebbia cui ci si affeziona, dice Cervi (che è anche autore di libri e guide Touring), solo se «se ne viene avvolti, attorniati, accerchiati fin da piccoli». Come successe a Umberto Eco, nativo d’Alessandria che «nella nebbia si sentiva al riparto dal mondo esterno, a tu per tu con la sua interiorità». Nebbia che è una protagonista del panorama letterario, quasi a diventare personaggio di certi libri come quelli di George Simenon, dove la nebbia ti si attacca addoso, come un'umidità che ti entra nelle narici.
Nebbia che si ascolta, perché è vero che zittisce i rumori, ma è anche vero che ha un suo suono, come le sirene che nei porti sono emesse dal corno rosso, il corno da nebbia che avvisa i naviganti. Nebbia che qualcuno voleva eliminare dalla Valpadana, ricorda Cervi, spianando il Turchino e facendo area nella stanza, come spalancando le finestre. E infatti andò a Portobello, da Enzo Tortora, a spiegare questa teoria che se non fosse impossibile da realizzare, forse non sarebbe neanche tanto sbagliata, chissà.
Nebbia che dopo aver letto queste pagine ispirate si inizierà a guardare in modo diverso, ammesso di vederla. Perché, come cantavano Cochi e Renato: «Ci sono cose che a dirle non ci credi, non ci credi nemmeno se le vedi, a parte il fatto che non le vedi».