Che cosa si possa dire ancora sulla città di Venezia è un mistero che si rinnova ogni volta che uno ha tra le mani un libro che non promette di far altro che parlare di quel luogo a forma di pesce disteso sulle acque della laguna. Sulle prime vien da dire: ancora? Che altro mai ci sarà da scrivere su Venezia se non parlare della violenza quotidiana che subisce dalle vagonate di turisti, oppure dell’abbandono da parte dei suoi antichi, rassegnati abitanti. Ma siccome i libri su Venezia sono quasi un genere a parte che ha prodotto notevoli esempi di scrittura dedicata ai luoghi (Le fondamenta degli incurabili e Venezia è un pesce, giusto per fermarsi a due, ma anche il Venezia di Jan Morris mai tradotto) uno si mette a leggere, non sia mai che si tratti di una nuova gemma.
Così dopo aver letto Venezia. Il leone, la città e l’acqua dello scrittore olandese Cees Nooteboom – uno di quelli che vengono sempre candidati al premio Nobel e allora quando lo vincerà qualcuno si accorgerà che in Olanda c’è uno scrittore ormai avanti con gli anni che ha una capacità rara di raccontare i luoghi e descrivere i suoi viaggi – a uno rincresce, rincresce davvero. Perché molte di quelle pagine sono oggettivamente belle. Ed essendo belle accresceranno ancor di più (come se ce ne fosse bisogno) il mito della città, e porteranno ancor più persone da qualunque parte del mondo a voler calcare le sue pietre, perdersi per le sue calli, assorbire quell’aria umida che non sa proprio di mare, ma certo non è di terra. E più persone per le calli sono un problema, oggettivamente lo sono. E allora forse sarebbe meglio non scriverne e non leggerne più di Venezia? Però come si fa?
Anche perché il libro su Venezia di Nooteboom è già un bel libro come oggetto fisico (Iperborea fa libri che sono anche belli da avere tra le mani, a prescindere dalle parole…), bella carta, bel formato, copertina un poco ruvida piacevole al tatto, un bel disegno in copertina. Ma soprattutto è un libro che quando inizi a leggerlo ti obbliga a prendere una matita (una penna sarebbe un delitto cartaceo) e sottolineare frasi e passi, perché in ogni suo testo Nooteboom distilla osservazioni che sono versi di poesia. Certo, si dirà, a Venezia viene anche facile, perché Venezia è la città che più ispira certi sentimenti e certe parole. Però bisogna anche saperle scrivere certe parole e, soprattutto, bisogna saperli sperimentare certi sentimenti. Lo scrittore olandese, neanche a dirlo, è uno che non manca né di parole né di sentimenti.
E poi ha quella capacità rara di sapersi sedere nei luoghi come se fosse uno spettatore a teatro, e di mettersi dunque a osservare la vita che scorre nei bar e nei campielli e raccontarla. E quando lo fa regala i passi più godibili di un libro che è anche ovviamente erudito, ricco di osservazioni e storie su quadri, dogi, statue e momenti del passato della città lagunare e dei suoi nobili visitatori. Perché nonostante i tentativi di farsi veneziano tra i veneziani, mimetizzandosi al tavolino di un bar con una copia del Gazzettino, rimanendo in silenzio, capendo quel che si dice ma non parlando per non smascherare il proprio essere straniero, cercando di farsi tanto trasparente fino a diventare veneziano anche lui, Nooteboom ha ben chiaro che «la città diventerà una parte della mia vita, mentre io non sarò mai parte della sua». Consapevole di questo non si ferma, e continua a tornare ogni volta che può – «Questa è la città cui sempre si ritorna, fino a quella volta che non più e mai» – dopo quella prima volta nel 1964, soggiornando a casa di amici, in hotel, in residenze per artisti, cercando il suo angolo e il suo spazio in una città assediata dagli amanti passeggeri.
Del resto lui come tutti vorrebbe una visione di Venezia senza turisti e senza gente. Come se ci fosse un’altra realtà possibile della città che non fosse quella contemporanea in precario equilibrio tra abbandono ed invasione. E si accontenta di assaporarla, specie la sera quando ha come l’impressione «che la città si sollevi un po’ sull’acqua, come un traghetto quando si sbarca». Perché è la sera, quando se ne vanno i turisti di giornata e tutti quelli che qui vengono per lavorare – carabinieri, camerieri, insegnanti, personale dei vaporetti, guide turistiche – la città sembra ritrovare un po’ di quella vita di un luogo normale, e Venezia torna a essere dei suoi abitanti, gli unici che sono in grado di non perdersi tra calli e campielli, quelli che «ne portano il peso quasi fosse un onore».
Di riflessione in riflessione, di storia in storia, di quadretto in quadretto alla fine quando chiudi il libro soddisfatto di queste ulteriore aggiunta alla categoria “libri belli su Venezia”, ti viene questo pensiero che vorresti fosse tuo ma invece è già stato scritto e pensato da Nooteboom: come sarebbe bello poter arrivare di nuovo a Venezia la prima volta, e stupirsi e rimanere estasiati.
VENEZIA. Il Leone, la città e l'acqua
di Cees Nooteboom
Iperborea, pag. 254, 19,50 €
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