In quest'articolo la nostra socia volontaria Lella di Lucca ci porta alla scoperta di Posillipo, quartiere di Napoli ricchissimo di storie e curiosità, e delle isole circostanti.​
 
Posillipo è uno dei quartieri più esclusivi di Napoli, arroccato su un promontorio che separa il golfo della città partenopea da quello di Pozzuoli, si staglia tra cielo e mare con le sue abitazioni che scompaiono in una natura lussureggiante: un vero paradiso!

Il nome Posillipo deriva dal greco “pause” e “lypon” letteralmente “cessazione dei dolori” ovvero la bellezza come antidoto alla sofferenza. Nell’antichità, oltre a qualche dimora prestigiosa, Posillipo era alquanto incolta e disabitata. L’intera altura era rigogliosa e selvaggia, ad esclusione di una zona sul mare che serviva per congiungere il borgo di Marechiaro (definito plaga euplea) con Pozzuoli, tramite il traforo di Seiano. Nell’area a mare della Gajola doveva risiedere una vera e propria piccola comunità di posillipini. In questo contesto, infatti, si possono tutt’oggi notare tracce dei templi della Dea Fortuna, di Mercurio, Venere Leucothea e Mithra, segni evidenti della prosperità della collettività che vi dimorava. Di Mithra, in particola al trentesimo gradino della scala che conduce alla famosa Finestrella di Marechiaro (corrispondente al civico 34 e a un noto ristorante che dispone i tavoli in una delle primitive grotte) è ancora visibile un marmo incastonato nel muro che rappresenta la divinità solare di origini indo-iraniche.

È in questa zona che si trovava “il presagio favorevole per le navi”, come il poeta Stazio amava descrivere Euplea, una delle quattro entità marine che sovrintendevano al golfo di Napoli, assieme a Parthenope, Leucothea e Athena Sicula. In età augustea, la marina di Posillipo era considerata particolarmente prestigiosa, frequentata, tra gli atri, da Virgilio Publio Marone e dai suoi seguaci, in particolare Marco Claudio Marcello, nipote dell’imperatore Augusto, al quale sarebbe dovuto succedere, ma che morì prematuramente. È proprio per la presenza di Virgilio che si racconta che nei dintorni fu fondata la scuola a suo nome, detta anche scuola di magia. Oggi, il quartiere di Posillipo mantiene il suo fascino e mostra le vestigia di un passato millenario e ci regala panorami mozzafiato. 

IL PARCO VIRGILIANO
Il parco Virgiliano fu realizzato a cavallo degli anni Venti e Trenta su disposizione dell'Alto commissariato per la Provincia di Napoli e aperto nel 1931 come parco della Vittoria e della Bellezza. Si estende su un'area di circa 92.000 m² a 150m slm. Vi si accede da viale Virgilio, tramite un'entrata monumentale che conduce ad un piazzale nel quale campeggia una fontana di recente costruzione.

Il parco è caratterizzato da un sistema di terrazze che affacciano sul golfo di Napoli, dalle quali si possono scorgere, oltre all'amplissimo panorama e le isole del golfo, le ripide pareti di roccia spesso gialla per la sua costituzione tufacea. In lontananza, verso Ovest, si vede Capri, mentre spostando lo sguardo verso Nord appaiono Ischia, Procida e, quasi a poterlo toccare, l’isolotto di Nisida.


La vista dal Parco Virgiliano di Posillipo - foto Getty Images

L'ISOLA DI NISIDA
L’isola di Nisida fa parte dei Campi Flegrei ed ha un'origine vulcanica; è quasi perfettamente circolare (mancante di una porzione verso sud-ovest dove si apre l'insenatura di Porto Paone corrispondente all'antica caldera del vulcano). Nei suoi fondali esistono delle strutture manufatte oggi sommerse (per esempio un molo romano) che denotano un abbassamento del terreno dovuto a importanti fenomeni di bradisismo. Chiamata dagli antichi Nesís o Nesida, dal greco piccola isola, è identificata col luogo della tradizione omerica noto come "l'isoletta delle capre" dove riparò Ulisse poco lontano dal paese dei Ciclopi. In epoca classica Lucio Licinio Lucullo vi costruì una villa, divenuta famosa per le feste e le cene che vi si celebravano. Aveva qui la sua villa anche Marco Giunio Bruto e sull'isola insieme a Cassio ordirono la congiura contro Cesare. Dopo l'assassinio, Bruto vi si ritirò nell'estate del 44 a.C. ed ebbe la visita di Cicerone, con cui ebbe lunghi colloqui sulla situazione politica e la azioni da intraprendere. Partito per la Grecia e morto nella battaglia di Filippi, secondo la tradizione la moglie Porzia, figlia di Catone Uticense, si sarebbe suicidata qui.

Delle ville di età romana non si hanno più tracce, se non quattro grotte scavate nel tufo di un piccolo ninfeo. Nel medioevo, l'isola ospitava il monastero di Sant’Arcangelo de Zippioera. In epoca moderna, nel XV secolo la regina di Napoli Giovanna II d'Angiò ebbe qui una villa che ben presto venne trasformata in un castello per contrastare la flotta del pretendente al trono di Napoli Luigi II d'Angiò. In quegli anni, venne edificata anche la torre di guardia costiera dell'isola. Il castello di Nisida divenne in seguito uno dei capisaldi della difesa napoletana. Giovanni Piccolomini, figlio di Giovanna d’Aragona, acquistò Nisida e ristrutturò il castello. I seguenti proprietari furono Pietro Borgia, principe di Squillace, Matteo di Capua, principe di Conca, Vincenzo Macedonio, marchese di Roggiano. Nel 1623, l'affittuario del castello Giambattista de Gennaro, usò l'isola come covo per i pirati barbareschi, di cui rivendeva il bottino. Il viceré Don Pedro de Toledo si impossessò dell'isola e l'usò per contrastare le ripetute scorrerie dell'allora famoso "pirata Barbarossa".

Nel XVII secolo, i Borboni acquistarono l'isola per farne una riserva di caccia. Gioacchino Murat riadattò la struttura della torre di guardia per farne un penitenziario. Il porticciolo venne ampliato dall'architetto De Fazio e nel 1847 venne costruito un bagno penale sul castello. Il carcere, reputato per le condizioni inumane nelle quali versavano i prigionieri politici ivi incarcerati, ospitò fra gli altri Michele Pironti e Carlo Poerio. Nel periodo fascista, il bagno penale venne trasformato in Riformatorio Giudiziario Agricolo, periodo nel quale l'isola venne collegata alla terraferma da una diga di cemento, e poi in Casa di rieducazione. Al 10 giugno 1940 era un idroscalo sede della 182ª Squadriglia Autonoma Ricognizione Marittima. Dal 1946 al 1961, l'Accademia Aeronautica vi ebbe la sua sede. Attualmente, è sede del carcere minorile.


L'isola di Nisida - foto Getty Images​

LA GROTTA DI SEIANO 

Nella parte sottostante il parco, si trova la Grotta di Seiano, un traforo lungo 770 metri, scavato in epoca romana nella pietra tufacea della collina di Posillipo: congiunge la piana di Bagnoli con il vallone della Gaiola, passando per la baia di Trentaremi. Deve il nome a Lucio Elio Seiano, prefetto di Tiberio, che secondo la tradizione nel I secolo d.C. ne commissionò l'allargamento e la sistemazione. La galleria, orientata in direzione est-ovest, procede con un tracciato rettilineo ma presenta una sezione variabile sia in altezza che in larghezza; dalla parete sud si dipartono tre cunicoli secondari, terminanti con aperture a strapiombo sulla baia, che forniscono luce ed aerazione.

Caduta in disuso e dimenticata nel corso dei secoli, fu rinvenuta casualmente durante i lavori per una nuova strada nel 1841 e subito riportata alla luce e resa percorribile per volontà di Ferdinando II di Borbone, diventando meta di turisti. Nel corso della Seconda guerra mondiale fu utilizzata come rifugio antiaereo per gli abitanti di Bagnoli; gli eventi bellici ed alcune frane nel corso degli anni cinquanta la riportarono in uno stato di abbandono. Attraverso l'imponente grotta di Seiano si accede al complesso archeologico-ambientale che racchiude parte delle antiche vestigia della villa del Pausilypon.


La grotta di Seiano - foto Getty Images​

LA VILLA IMPERIALE E IL PARCO SOMMERSO DI GAIOLA
Nel complesso è possibile ammirare i resti dell'imponente Teatro capace di 2000 posti, dell'Odeion e di alcune sale di rappresentanza della villa (visibili ancora tracce dei decori murali), le cui strutture marittime fanno oggi parte del limitrofo Parco sommerso di Gaiola. La Villa Imperiale, detta anche Villa di Pollione, fu fatta erigere nel I secolo a.C. dal cavaliere romano Publio Vedio Pollione e alla sua morte, avvenuta nel 15 a.C., la villa, grazie alla sua posizione molto ambita (a metà sul mare e panoramica con vista sulla parte restante di Napoli, sulla penisola sorrentina, sul Vesuvio e Capri) divenne dunque residenza imperiale di Augusto, e di tutti i suoi successori. Molto interessanti, in vari punti delle vestigia, sono le presenze delle condutture dell'acquedotto (rivestite in malta idraulica), segno di ulteriore opulenza di chi vi soggiornava. L'ultimo ad abitarla fu Publio Elio Traiano Adriano. 

I resti della Villa Imperiale di Pausilypon e del Teatro del I secolo a.C., parte del Parco Archeologico di Pausilypon, si affacciano su un’area marina che circonda l’isola della Gaiola la quale prende il nome proprio dalle tante cavità di cui tutta la costa della stessa collina ne è costellata, ossia dal Latino Cavea cioè piccola grotta, che in dialetto Napoletano diviene “Caviola” e quindi Gaiola. Lo si può visitare, il Parco Sommerso di Gaiola, con un battello a visione subacquea oppure seguendo itinerari di snorkeling e diving: l’esperienza è davvero unica, grazie alla continua vivificazione delle sue acque e alla complessità geomorfologica dei suoi fondali. Ed è straordinaria per l’unione tra elementi archeologici, biologici e vulcanologi: ponti, peschiere e ninfei giacciono sommersi sul suo fondale, per effetto del lento sprofondamento della crosta terrestre.


Il parco archeologico di Posillipo - foto Getty Images​

LA MALEDIZIONE DI GAIOLA
Ma niente a Napoli è come appare, ed ogni cosa ha una storia segreta, sommersa, ben più vicina all’inferno che al paradiso: tutti nella città partenopea sanno che sulla Villa e su tutto l’isolotto grava infatti una terribile maledizione. La sfortuna la perseguita e macchia le sue coste di racconti sinistri e morti misteriose. Ai tempi dei romani sull’isolotto visse un uomo di cui sappiamo poco e niente, un liberto di nome Publio Vedio Pollione, che allevava le murene, che amava in modo particolare, e che costruì la villa. La leggenda vuole che nelle vicinanze della villa sorgesse la scuola di magia di Virgilio, dove questi insegnava ai suoi allievi l’arte della magia, del mescere pozioni e dell’alchimia. Stando a quanto riportano le storie che la città si tramanda oralmente, la Gaiola si ritrovò sotto effetto di una terribile maledizione proprio per colpa di uno degli allievi del poeta, maledizione che avrebbe portato, nei secoli successivi, sfortuna e persino morte a tutti gli abitanti dell’isolotto e della Villa costruita da Publio Vedio Pollione. L’incantesimo maledetto sarebbe stato così potente da superare il mare e penetrare il suo fondale, macchiandolo per sempre con l’influsso della magia nera.

Quando, nel 1871, l’isolotto della Gaiola viene acquistato da Luigi Negri, fondatore della società italiana di pescicoltura, nessuno si sarebbe aspettato di vedere il neoproprietario venderlo solo l’anno successivo, costretto dal fallimento della propria società. Molto peggiore fu di certo però la sorte del secondo proprietario del nefasto isolotto, Hans Braun, il cui cadavere venne ritrovato avvolto in un tappeto, assassinato in circostanze che non furono mai del tutto chiarite. La vedova Braun sopravvisse dunque al marito, ma per poco tempo: a distanza di pochi mesi annegò nel mare che circonda la bella e tremenda Gaiola.
Nel 1950 la proprietà dell’infausta isoletta venne acquistata da Maurice Sandoz, la cui casa farmaceutica è ancora oggi nota. Se pensate che l’isola abbia riservato al pover’uomo un destino migliore dei suoi predecessori vi sbagliate: morì suicida nel manicomio dove venne rinchiuso poco dopo aver vissuto nella villa di Pollione. Giovanni Agnelli acquistò di lì a poco la Gaiola, per poi liberarsene subito dopo cedendola a Paul Getty, magnate del petrolio il cui figlio venne rapito nel 1973.

Se pensate che questa sfilza di morte e sfortuna sia già inverosimilmente lunga rimarrete stupiti nello scoprire che anche l’ultimo proprietario, Gianpasquale Grappone, fondatore della Lloyd Centauro, poco dopo aver preso possesso dell’isola finì in galera, pieno di debiti. La moglie Pasqualina Ottomeno, che chiude questa lista ben poco allegra, morì in un incidente stradale proprio nel periodo in cui il marito finì in prigione. Ma non sono solo i proprietari dell’isola coloro che sono stati toccati dalla maledizione. Loro malgrado visitatori occasionali, turisti e navigatori di passaggio hanno infatti scoperto a loro spese che la forza della magia nera è tale da non richiedere lunghe permanenze sull’isola per colpire. Nel 1911, infatti, il capitano di vascello marchese Gaspare Albenga, nel tentativo di impressionare la marchesa Boccardi Doria facendole ammirare la costa della Gaiola, fece incagliare in prossimità dell’isola l’imbarcazione sulla quale viaggiavano. Nemmeno il progresso tecnologico può compiere la sua avanzata senza incorrere in qualche bizzarro incidente, sull’isola maledetta: nel 1926 venne installata una teleferica per collegare la Gaiola alla terraferma. Una notte scoppiò una terribile ed imprevista tempesta, e la marchesa Elena Von Parish, che stava rientrando sull’isola; il cavo della teleferica venne spezzato dal vento e la donna cadde in mare, sparendo. Non venne mai ritrovata, e gli uomini che la ospitavano sull’isola si suicidarono, rosi dal rimorso per averla condotta in quel luogo maledetto, poco dopo. L’isola, comprensibilmente, non trovò nuovi acquirenti. Tutti lo sanno, a Napoli: l’isola della Gaiola porta sfortuna, è maledetta. Messa all’asta, divenne proprietà della regione Campania, ed è disabitata da quarant’anni.


L'isola di Gaiola - foto Getty Images​

MARECHIARO, LA DOLCE VITA
Lasciato il Parco sommerso, ci dirigiamo verso Marechiaro, un piccolo borgo nel cuore di Posillipo. Anticamente il borgo, sviluppato intorno a via Marechiaro, prendeva il nome dalla chiesa di Santa Maria del Faro. Il nome Marechiaro non viene, come comunemente si pensa, dalla trasparenza delle acque del mare di 
Posillipo, ma dalla loro quiete. Già in alcuni documenti del Regno di Sicilia si parla di mare planum tradotto in napoletano mare chianu da cui l'odierno Marechiaro.

È stato negli anni 1960 uno dei simboli della dolce vita in Italia, diventando famoso per le sue frequentazioni hollywoodiane, per i suoi ristoranti tipici che affacciano sullo splendido panorama del golfo e per il caratteristico "Scoglione". Da Marechiaro inoltre si può ammirare la vista panoramica dell'intera città di Napoli, del Vesuvio, fino ad arrivare alla penisola sorrentina e all'isola di Capri che compare esattamente di fronte alla tipica spiaggetta del borgo. Il particolare che più ha contribuito alla mitizzazione di questo borghetto è la cosiddetta Fenestella (in italiano finestrella). La leggenda narra che il poeta e scrittore napoletano Salvatore Di Giacomo, vedendo una piccola finestra sul cui davanzale c'era un garofano, ebbe l'ispirazione per quella che è una delle più celebri canzoni napoletane: Marechiare. Tutt'oggi la finestra esiste, e c'è sempre un garofano fresco sul davanzale, oltre ad una lapide celebrativa in marmo bianco con sopra inciso lo spartito della canzone e il nome del suo autore. L'Archivio della Canzone Napoletana testimonia l'esistenza di quasi duecento canzoni classiche dedicate a questa piccola zona di Posillipo, o che la nominano soltanto, ed un gran numero di poesie.


Marechiaro - foto Getty Images​​

VILLA ROSEBERY, IL PARCO E GLI EDIFICI

La prossima tappa del nostro itinerario è Villa Rosebery. La raggiungiamo discendendo lungo via Ferdinando Russo: varcare il cancello della villa, suscita sempre grande emozione. Il parco che si estende su una superficie di mq. 66.056, è curato dalle mani esperte di un esercito di giardinieri. Nella parte più bassa del parco si trovano i fabbricati denominati "Casina a mare" e "Piccola foresteria", prospicienti il porticciolo. In posizione più elevata la "Grande foresteria". Proseguendo, nella zona nord, si incontra la costruzione più antica, la Palazzina Borbonica, composta da numerose sale di rappresentanza. Tutto il resto del territorio è costituito dallo splendido parco attraversato da viali fiancheggiati da pini secolari, monumentali cipressi e palme di vario tipo. Numerose le specie di piante succulente come le aloee e le agavi americane ed esemplari esotici quali il philodendro selloum e la strelitzia nicolai dal particolare fiore bianco a cui si aggiungono rigogliose siepi di vegetazione mediterranea.

Il parco di Villa Rosebery ha subito nel corso dei decenni modificazioni significative: a una iniziale rigidità, dovuta anche alla presenza di aree coltivate, è subentrata gradualmente una maggiore libertà compositiva, con la creazione, già a partire dall'epoca borbonica, di un giardino dal disegno elaborato. Successivamente la moda inglese, che sopprimeva ogni riferimento geometrico, ha ulteriormente condizionato l'architettura del parco, soprattutto nella impostazione delle aiuole fiorite, con l'inserimento di bordure miste di arbusti, erbacee perenni e piante annuali disposte ai margini dei prati secondo una concezione più armoniosa e naturale. Le aiuole intorno la Palazzina Borbonica si esprimono, infatti, in forme morbide, arricchite da esemplari di camelie e corbezzoli su cui svettano lecci secolari. Sullo sfondo il tempietto neoclassico accentua l'aspetto romantico del parco.


Villa Rosebery - foto Mancini/Wikipedia Commons 
 

La proprietà su Capo Posillipo che dal 1897 prende il nome di "Villa Rosebery", ha origine nei primi anni dell'Ottocento. Si deve all'ufficiale austriaco Giuseppe De Thurn, brigadiere di marina per la flotta borbonica, la creazione della proprietà tramite l'acquisto e l'accorpamento, a partire dal 1801, di alcuni fondi terrieri contigui. Nella zona più alta e panoramica, che sarà poi detta del "Belvedere", il conte Thurn fece edificare una piccola residenza con cappella privata ed un giardino; tutto il resto della tenuta fu invece destinato ad uso agricolo, con ampi vigneti e frutteti, e ceduto in affitto a coloni. Nel decennio dal 1806 al 1816, con la momentanea destituzione dei Borbone dal Regno di Napoli ad opera delle truppe napoleoniche, la proprietà del conte Thurn venne confiscata dall'amministrazione francese; fu in seguito acquisita dal restaurato regime borbonico e quindi restituita nel 1817 al conte. Dopo aver ottenuto un indennizzo per i danni economici causati dal periodo della requisizione, nel 1820 Giuseppe Thurn decise di mettere in vendita la Villa. Il valore del fondo intanto era in crescita poiché in quegli anni si andava realizzando lungo la collina di Posillipo una lunga strada di collegamento tra Mergellina e Bagnoli: una nuova via progettata per rendere agevolmente praticabile, anche in carrozza, una zona prima impervia e raggiungibile soprattutto via mare. La strada vi assecondava la tendenza a favorire lo sviluppo della città di Napoli verso occidente secondo i progetti già elaborati da Ferdinando IV di Borbone e attuati in buona parte da Gioacchino Murat. Quando dunque nel marzo 1820 la principessa di Gerace e il figlio don Agostino Serra di Terranova acquistarono la proprietà di Capo Posillipo, la zona si prestava bene ad essere trasformata da fondo prevalentemente agricolo a villa residenziale.

L'uso agricolo, che poteva fruttare rendite non trascurabili, in realtà non fu completamente abrogato, ma alcuni locali prima utilizzati esclusivamente dai coloni vennero ristrutturati per essere convertiti ad uso di residenza e rappresentanza. I lavori di riassetto della tenuta - che prese il nome di "Villa Serra marina" - furono affidati ai gemelli architetti Stefano e Luigi Gasse che intervennero anzitutto sul casino del Belvedere (oggi Palazzina Borbonica), trasformandolo in elegante residenza dei nuovi proprietari, e sul cosiddetto "Casino Gaudioso", una casetta rurale che si trovava nell'estremità meridionale della proprietà che, adeguatamente ampliata e ristrutturata, avrebbe assolto la funzione di grande foresteria. Interventi di minore impegno furono effettuati anche sulle due casine a mare, che restarono tuttavia destinate ai coloni. Sono dunque gli interventi dei Serra a determinare in buona parte l'assetto della villa così come la conosciamo oggi. Morti la principessa e il figlio don Agostino, nel 1857 gli eredi vendettero la proprietà a Luigi di Borbone, comandante della Marina napoletana; da questo momento la villa fu detta "la Brasiliana" in onore della moglie di Luigi, sorella dell'imperatore del Brasile. Il nuovo proprietario volle far recintare completamente la tenuta, spesso utilizzata per incontri galanti; ne cancellò quindi definitivamente l'originario carattere agricolo sostituendo alle aree coltivate un grande parco alberato, e la dotò di un porticciolo. L'ambiguo comportamento tenuto da Luigi di Borbone nell'estate del 1860, nel momento della crisi del regno di Napoli di fronte all'avanzata garibaldina, causò il suo esilio in Francia e di conseguenza la vendita della "Brasiliana". La acquistò un facoltosissimo uomo d'affari, Gustavo Delahante, che la tenne fino al 1897 senza tuttavia effettuarvi lavori di particolare rilievo. Il successivo passaggio di proprietà testimonia del sempre maggiore interesse dei forestieri, gli inglesi in particolare, per le residenze della zona di Posillipo.

Il compratore fu infatti, nel 1897, lord Rosebery, eminente uomo politico britannico che nel 1894-95 era stato primo ministro nel suo paese. L'acquisto della villa coincise con il suo temporaneo ritiro dalla vita politica per dedicarsi a tempo pieno agli studi storico-letterari. Villa Rosebery si trasformò quindi in un luogo riservato e appartato, chiuso rispetto alla mondanità della alta società napoletana e viceversa aperto a pochi studiosi e buoni amici del lord inglese. Ma non potendo più contare sui frutti dell'attività agricola ormai dismessa da tempo, la manutenzione della villa era divenuta dispendiosa per lord Rosebery che la frequentava raramente, pertanto l'inglese - che nel frattempo era tornato all'attività politica - decise di disfarsene. Signorilmente si accordò con il governo inglese per una donazione, che fu perfezionata nel 1909. La villa fu però utilizzata solo sporadicamente come luogo di villeggiatura degli ambasciatori inglesi in Italia, dopo alcuni anni pertanto anche il governo britannico optò per una cessione a titolo gratuito, questa volta allo Stato italiano. L'atto di donazione che sancì il passaggio della proprietà al nostro Stato fu firmato nel 1932 dall'ambasciatore del Regno Unito e da Benito Mussolini. Diverse proposte di destinare la villa ad uso pubblico non ebbero seguito, fu quindi messa a disposizione della famiglia reale per i soggiorni estivi. Così nel 1934, alla nascita della primogenita del principe ereditario Umberto, la residenza prese il suo nome e divenne "Villa Maria Pia". Dal giugno 1944, nominato Umberto luogotenente del Regno, Vittorio Emanuele III si trasferì nella villa con la consorte Elena: vi rimarrà fino all'abdicazione e alla partenza per l'esilio in Egitto, il 9 maggio 1946. Recuperata dallo Stato italiano dopo un breve periodo di requisizione nel 1946 da parte degli eserciti di occupazione alleati, la villa fu concessa fino al 1949 all'Accademia Aeronautica. Rimase quindi vuota e in abbandono per diversi anni finché una legge del 1957, includendola fra i beni immobili in dotazione alla Presidenza della Repubblica, non ne determinò la rinascita.


Villa Rosebery - foto Retaggio/Wikipedia Commons 

IL SACRARIO MILITARE
La passeggiata a Posillipo volge al termine, ma non può mancare uno sguardo al Sacrario Militare di Posillipo. Il Mausoleo si erge imponente nelle vicinanze di piazza Salvatore Di Giacomo. È conosciuto per la sua conformazione particolare e per l’esemplare unica classica struttura architettonica, dai tipici colori della gamma del grigio, visitabile pochissime volte durante l’anno. È cara ai napoletani anche per la presenza delle salme di 17 “patrioti napoletani” sepolti a seguito dei moti delle famose “4 Giornate di Napoli, con cui si contribuì a liberare Napoli dagli invasori. Ma in realtà ha un valore unico in quanto ospita le salme di oltre 2000 militari caduti durante le guerre mondiali. Un vero Sacrario Militare. La storia del Mausoleo parte nel lontano 1880, anno in cui si decise la sua costruzione. Doveva diventare un fiore all’occhiello per unicità e per ciò che avrebbe dovuto rappresentare. In realtà nel corso del tempo è divenuto sempre di più un lugubre ed abbandonato luogo di scempi e di dimenticanza totale da parte delle Istituzioni.


Sacrario di Posillipo - foto Baku/Wikipedia Commons ​

LE LEGGENDE DI PALAZZO DONN'ANNA
Percorrendo via Posillipo, ci dirigiamo verso Palazzo Donn’Anna che rappresenta un simbolico confine tra il quartiere di Posillipo e quello di Chiaia. Le origini del palazzo risalgono alla fine degli anni trenta del 1600, quando venne innalzato per la volontà di donna Anna Carafa, consorte del viceré Ramiro Núñez de Guzmán, duca di Medina de las Torres. Il progetto per la realizzazione fu commissionato al più importante architetto della città di quel periodo, Cosimo Fanzago, che nel 1642 approntò un disegno secondo i canoni del barocco napoletano. Il Fanzago, però, non riuscì a completare l'opera per via della prematura morte di donn'Anna, avvenuta in un contesto di insurrezione popolare a causa della temporanea caduta del viceregno spagnolo, con la conseguente fuga del marito della stessa verso Madrid (1648). L'edificio rimasto incompiuto assunse lo spettacolare fascino di una rovina antica confusa fra i resti delle ville romane che caratterizzano il litorale di Posillipo e fra gli anfratti delle grotte.


Palazzo Donn'Anna - foto Getty Images​

Nell'interno, di notevole interesse è il teatro, aperto verso il mare e dal quale si gode un bel panorama della città partenopea, sede della Fondazione culturale Ezio De Felice. Il palazzo subì alcuni danni durante la rivolta di Masaniello del 1647 e durante il terremoto del 1688. Nel corso del XIX secolo sono stati numerosi i passaggi di proprietà che hanno visto i legittimi proprietari. Negli anni successivi si sono succeduti ancora altri proprie