Uno se lo chiede: ma perché c'è questo magnetismo dei passi? Perché ad alcuni (di norma maschi, siamo onesti) prende questa smania di salire, di andare fin dove porta la strada? Bella domanda, la cui risposta meriterebbe un piccolo trattato di filosofia del viaggio, di quelli dove Le Breton spiega come e perché mettersi in cammino sia una necessità umana ineludibile. Filosofia a parte per capire il magnetismo dei passi basta percorrerne alcuni e qualche idea sul perché e sul per come viene.

Per esempio, intorno a Merano ci sono quattro passi alpini tra i più spettacolari delle Alpi che meritano una gita per gli amanti delle salite e delle discese. Stelvio, Rombo, Giovo e Palade: insieme fanno più di 4mila metri di dislivello in salita, un numero imprecisato di tornanti, tre musei, una manciata di baite dove sostare e panorami così maestosi che inizi a capire perché nell’Ottocento i poeti romantici venivano fin qua a farsi ispirare.
IL PASSO DELLO STELVIO
«Le vie cantano», lo diceva Bruce Chatwin. E quando sali lento sullo Stelvio te ne accorgi, specie se la prendi dalla Val Venosta e non dal lato di Bormio. Qui la salita è più salita. Il dislivello (1.884 metri) è più serio, il paesaggio che risale la valle di Trafoi più chiuso, misterioso. Quasi che non ci possano essere distrazioni paesaggistiche, solo testa bassa e salire. Se lo fai in bicicletta lo Stelvio è una stelletta al merito. Se sali in auto di certo non sudi, ma è comunque una soddisfazione. «I motori non mostrano più la fatica di portarci dove ci portano» scrive De Botton. Però ciò non di meno faticano, per cui onore al merito anche a loro.
Del resto se cantano i tornanti dello Stelvio è perché sembrano disegnati apposta per invitarti a salire. Dal versante altoatesino sono quarantotto, due in meno dei grani di una corona del rosario. Ma a farli in bicicletta devi sgranarli davvero tutti, uno per uno. Santificando Donegani che li ha pennellati così perfetti che se in bicicletta ti avvicini al muretto esterno per qualche secondo puoi rifiatare, smettere di pedalare e sfruttare la leggera contropendenza che ti dà l'abbrivo per continuare la salita e godere della tua fatica. Perché sullo Stelvio è diverso. Qui il mito è la strada stessa. La sua fattura, l'arco dei tornanti, la solidità del tracciato, la capacità di portarti in cima con lo stesso ritmo cadenzato di un direttore d'orchestra. Un, due, tre. Un, due, tre. Anche in auto, volendo vedere, la musica è quasi la stessa, il sudore meno. Rallenti, scali, ruoti il volante, acceleri. Per quarantotto volte.
E quando hai finito tutte queste giravolte e arrivi in alto, in cima al secondo passo carrozzabile più alto d'Europa a 2.758 metri, hai incredibilmente fame. Sarà perché l’aria a quest’altezza è già più rarefatta, sarà perché quando si arriva in cima a un passo si ha automaticamente fame, però prima ancora della foto di rito sullo Stelvio ti vien voglia di addentare un panino. E se la giornata è bella ecco che appena dopo il cartello c’è il baracchino di un venditore di würstel che arringa ciclisti e autisti a riempire lo stomaco. E anche se il venditore lo smercia gridando quasi fosse in spiaggia a vendere cocco va bene lo stesso.
Lo Stelvio nelle belle giornate d'estate è così, un lungomare d’alta quota, confusionario e caotico. Un posto dove si possono comprare souvenir per testimoniare a tutti che si è arrivati fino a qui. Un luogo dove far due passi e mettersi con calma a contemplare la solitudine delle vette. O dove entrare nel piccolo e un po' datato museo dedicato a Carlo Donegani, l’ingegnere che nel 1820 disegnò questa strada, che curiosamente è ospitato all'interno di uno sportello bancario (il più alto d'Europa, ci mancherebbe) che fa anche da ufficio informazioni turistiche. Così impari la storia della costruzione di questa strada voluta dagli imperatori di Vienna per mettere in comunicazione i propri territori (Milano e l’Austria) senza dover passare da un Paese terzo, come Venezia. E ti sorprendi a scoprire che ai tempi era sempre aperto, grazie alle slitte e allo sforzo degli stradini che facevano manutenzione quotidiana, mentre adesso chiude con la prima neve e riapre a fine maggio, se va bene. Ti sorprendi ma inizi a capire un po’ di più perché tanta gente arrivi fin quassù, attratta dal magnetismo dei passi.
IL PASSO DEL ROMBO
«Ho fatto il Rombo» e detto così sembra un’impresa epica. E a ben vedere lo è, perché la salita dal versante italiano è quanto di più impegnativo e scenografico si trovi da queste parti. Voluto da Mussolini per avere un'alternativa al Brennero, prima della Seconda Guerra mondiale il Rombo era poco più di una mulattiera. Dal versante austriaco venne costruito a partire dall'autunno del 1955 con l'intento di creare un collegamento Nord-Sud per permettere di «andare a sciare al mattino sui ghiacciai della Ötztal e nel pomeriggio andare a rilassarsi all’ombra delle palme di Merano». Sul versante italiano venne completata e resa carrozzabile sono negli anni Sessanta.
Da allora anno dopo anno è diventato una meta d'obbligo per chi ama questo genere di viaggi. Anche perché il paesaggio selvaggio come i tornanti, la strada dà l'impressione di essere arrivati in un territorio ultimo, di frontiera, per avventurosi e viaggiatori impenitenti. Ma che il Rombo sia una strada particolare, da fare per farla, come attrazione turistica lo testimonia il fatto che dal versante austriaco il Rombo, che collega in 49 chilometri S. Lorenzo in val Passiria a Solden, è a pagamento. Il biglietto, che si paga a un casello posto a 7 chilometri dalla vetta sul lato tirolese, costa 17 € solo andata e 24 € andata e ritorno. Ulteriore segnale che è un passo specificamente turistico e non di transito: altrimenti perché pensare a un “ritorno” così ridotto se non fosse che tutti lo fanno in giornata, spesso salendo e scendendo dallo stesso lato?
Non solo, dal 2010 la strada è diventata ancor più un'attrazione dopo che l'architetto altoatesino Werner Tscholl ha disseminato lungo il percorso una serie di sculture architettoniche che sottolineano l'emozione dell'ascesa al passo fornendo informazioni sulla natura e la cultura dei luoghi. Cinque stazioni panoramiche ed espositive insieme, che aumentano l'esperienza turistica della salita e portano avanti un'idea di musealizzazione delle strade di alta montagna in modo da ampliare l'esperienza conoscitiva di chi le percorre. E anche un valore aggiunto per chi comunque paga un pedaggio per salire in vetta.
E in vetta al Rombo, posto sul confine, è stato edificato il Museo del passo. Sembra un cannocchiale puntato verso la valle, orientato nella direzione del vento che sale dall'Oztal. Un singolare edificio al cui interno si trova un'esposizione di stampe storiche che rievoca le fatiche dei pionieri di questa strada alpina. Sul versante austriaco c'è un rifugio, l'unico in vetta, che sembra rimasta aggrappato agli anni Settanta, a parte, forse, per la musica eccessivamente forte.
IL PASSO DI MONTE GIOVO
In alto sul passo del Giovo, a quota 2.094 c'è un solo rifugio, piccolo e non spartano. Si chiama Edelweiss ed è tanto facilmente raggiungibile che un sabato pomeriggio d'agosto in un angolo ci sono quattro signori che giocano a carte. Birra sul tavolo, compari alle spalle a guardare e commentare, danno l'impressione di essere una compagnia di giro di quelle che si ritrovano tutte le sere da una vita. E infatti il rifugio sembra un bar su una strada qualunque. Non vendono adesivi, magliette, targhe di legno da mettere in casa e guardare con un briciolo di soddisfazione. Solo prodotti dei contadini della zona: speck, grappe, formaggio. Il Giovo è a suo modo un passo normale. Unisce Merano con Vipiteno attraversando tutta la val Passiria. La strada vera e propria inizia a S. Leonardo. Se si viene da Merano lungo la Statale si incontra il museo dedicato ad Andreas Hofer, l’eroe altoatesino della resistenza contro Napoleone, che merita una sosta per capire qualcosa di più della storia di queste valli.
Oltre è una salita mai dura, che si inoltra in un gran bosco dove fermarsi a ogni tornante per guardare la valle che si apre sotto. Le vette grigie e bianche di fronte. Una volta arriva in cima si gode una vista stupenda su tutta l'alta val Isarco e le vette circostanti. E poi si vede bene il dipanarsi della strada che scende (o sale, questione di punti di vista). Quel serpeggiare dell'asfalto nero tra i gli spazi verdi. I paletti gialli e neri per segnalare l'altezza della neve che si susseguono regolari. Il vento che disordina l'erba. L'armonia del tracciato che una volta percorso ti fa venir voglia di una sosta lì alla baita Edelweiss, per giocare a carte con quei signori che c’è da scommetterci saranno lì anche un sabato d’ottobre, dopo essere andati a cercar funghi.
IL PASSO DELLE PALADE
Se non sei un ciclista il passo delle Palade magari non l’hai mai sentito. È basso, solo 1.518, e poco eroico. Aperto tutto l’anno mette in comunicazione Merano con l’alta val di Non, che per un pezzetto è ancora in Alto Adige e per il resto è in Trentino. Non sale tanto il passo delle Palade, però ci sono curve dove fermarsi e contemplare tutta la bellezza di queste valli. Circa a metà salita, ben dopo Cermes, a una curva c’è un belvedere con una panchina solitaria che si affaccia sui prati. Se il cielo è sereno è un balcone da cui la vista abbraccia tutto: dalle montagne che dominano Merano ai profili chiari delle Dolomiti in lontananza. Sotto un fitto bosco di larici, un torrentello, un prato appena tagliato: sembra un paesaggio alpino disegnato da un pittore in vena di poesia. Invece è una poesia umana e naturale disegnata da qualche agricoltore in vena di fatica.
Gli stessi immensi panorami da ammirare si trovano sull’altro versante: all’altezza di Malgasot in una zona soleggiata si gode una vista spettacolare di tutta l’alta val di Non, con i campanili a cipolla, i meleti fitti come fossero fili di una maglia, i boschi irregolari. In cima al passo vien voglia di fermarsi e percorrere tutti i sentieri che partono dalla sommità e salgono ancora più in alto.
Ma vien anche voglia di entrare nel grande bunker voluto da Mussolini per difendere i confini italiani da una possibile invasione della Germania nazista. Una grandiosa costruzione che sulla carta doveva essere di quattro piani con oltre 1.500 metri di gallerie collegate da scale e pozzi che oggi è diventato un museo, il Gampen Bunker. Il museo occupa due piani ed ospita una mostra di minerali e una mostra fotografica che racconta la storia della strada. Costruita fra il 1935 e il 1939 nonostante l’opposizione della popolazione locale e i problemi finanziari venne aperta il 10 giugno 1939, un anno prima dell’entrata in guerra dell’Italia. All’epoca era solo un gioiello di ingegneria, oggi è un’altra tappa da non perdere per chi ama i passi ed è attratto dal loro magnetismo.
INFORMAZIONI
- Per informazioni generali su Merano e dintorni, www.merano-suedtirol.it.
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