C'è il Terrazzo dei desideri, dove si può ammirare il tramonto, concedersi una cena romantica, fare una lezione di yoga. C'è il Terrazzo dei sogni, dove nel 1966 il grande regista John Huston girò alcune scene del colossal “La Bibbia” con Ava Gardner, Peter O’Toole e Franco Nero, e dove adesso nelle sere estive gli ospiti, grazie ai telescopi e ai consigli di esperti astrofili, possono scrutare stelle e pianeti. E c'è il Giardino di Tex Willer, dove fra amache, fumetti, cactus e cavalli blu e rossi che corrono su una parete si omaggia lo storico primo disegnatore del mitico ranger, Aurelio Galeppini in arte Galep, la cui matita trasse ispirazione dalle rocce e dalla pietre bianche del paesaggio circostante per immaginare i canyon e i deserti di un Far West dove non era mai stato di persona.

Ma che razza di luogo sarà mai questo? Chiamarlo hotel non gli rende giustizia, perché Su Gologone è un intero mondo, circondato dalla flora mediterranea e immerso nella cultura sarda più vera. E allo stesso tempo è anche un nome e un posto che ha cambiato la storia di Oliena, della Barbagia e persino dell'intera Sardegna, mettendo il Supramonte sull'atlante dell'enogastronomia isolana, sul mappamondo delle mete nazionali da non perdere, sulle pagine delle riviste sfogliate dal jet set internazionale. Tutto iniziò più di mezzo secolo fa, quando il Supramonte era più lontano e isolato dell'Arizona di Tex Willer, e anche più temuto della terra degli indiani Navajos. Fu allora che Peppeddu Palimodde, appena sposato, aprì il suo primo ristorante tipico in una rustica struttura vicino alla straordinaria sorgente del Su Gologone, dove un'impetuosa massa d’acqua sgorga da una gola profondissima, offrendo uno spettacolo di straordinaria bellezza.

 “Già da fidanzati aveva in mente di fare qualcosa per celebrare la terra che amava”, ha raccontato la vedova Pasqua Salis. “E pensava che aprire un ristorante fosse il modo perfetto per farlo. Quando siamo tornati dalla luna di miele, mi ha convinto che fosse una buona idea". Quello aperto negli anni 60 era il primo ristorante di Oliena e non poteva che avere quel nome, Su Gologone. Fu un trionfo di anzelottos, macarrones a bocciu, macarrones de busa, treccia di interiora di agnello e fegatini, insaccati e pane frattau, infine sebadas al miele amaro: piatti semplici e rigorosamente locali, che per la prima volta uscivano dalla cucina casalinga per essere proposti in un ristorante. Fu un successo immediato, tanto che presto occorse aprire un piccolo hotel per accogliere chi saliva dalle spiagge per assaggiare la vera cucina sarda. Se Luigi Vietti e l'Aga Khan avevano creato l'immagine della Costa Smeralda, qui fu Giovanni Antonio Sulas a ispirarsi all'architettura spontanea di Oliena per ideare uno stile fra l'etnico e il moderno, alternando il bianco all'azzurro olianese, fra archi e cortili coperti da tradizionali tegole rosse.

Così, a poco a poco, si iniziò a capire che esisteva una Sardegna diversa ma non meno interessante da quella che s'affacciava sul mare. Una Sardegna affascinante, spettacolare, accogliente, gustosa, aspra ma anche raffinata. Dove, soprattutto, non c'era da temere di incorrere in un sequestro di persona. Lo storico isolamento del Supramonte era finito, insomma. Era nata una “destinazione” nuova, come si dice in gergo turistico, dove si saliva persino da Porto Cervo, lasciando per un giorno le ville dell'Aga Khan. E tutto grazie a un ristoratore e alla sua passione per il territorio.

Insomma, era iniziata una storia di soddisfazioni e continui miglioramenti, che ha portato via via all'attuale, raffinatissimo Su Gologone Hotel, a 500 metri dalla sorgente da cui continua a provenire tutta l’acqua usata in albergo, per il ristorante, la Spa e la piscina. Una struttura che dopo la morte di Palimodde, avvenuta nel 1996, la figlia Giovanna ha innalzato a livelli stellari, mettendo a frutto anche il gusto per la bellezza maturato durante gli studi a Firenze. Così gli interni della struttura, fra il legno di ginepro e la terracotta, riservano sorprese ancora maggiori dell'esterno. Qua e là, ti imbatti in opere dei più grandi artisti sardi del XX secolo. In preziosi tessuti, quadri, ceramiche. In maschere tipiche e costumi tradizionali sardi che vanno dal 1870 al 1950. In ceramiche artistiche dal 1800 al 1950, mobili intagliati dal Settecento in poi. E poi ancora, oggetti di uso quotidiano del mondo pastorale, vecchi cestini tradizionali, bertulas e collanas, ovvero le tipiche bisacce sarde e le bardature di festa per buoi e cavalli. La cultura dell'isola si rispecchia, ovviamente, anche nella libreria, arredata con antichi cestini e utensili del territorio, e dove sono raccolti tanti libri dedicati proprio alla cultura, all’arte, alla storia, alla geografia, alla tradizione e alla cucina della Sardegna. Ci sono persino, ricavate nelle scuderie, sei vere botteghe d’arte, laboratori di design, ceramica, pittura e ricamo dove tessitrici e artigiani creano scialli, tessuti pregiati, piatti, vasi, oggetti in legno e in ferro battuto spesso realizzati in esemplari unici.

La cantina ha una porta bella e particolare, che è del 1400 e proviene da una prigione. Collega la cantina alla prosciutteria, arredata come una cucina d'inizio Novecento, con pezzi autentici. Anche la vineria per le degustazioni, dove ci si accomoda su sedie in sughero ad assaggiare oli, vini e formaggi, è realizzata e decorata con materiali del passato, dagli utensili da cantina al cotto del pavimento, fino alle travi in ginepro. E poi, naturalmente, c'è la cucina, da cui tutto è iniziato e che resta uno dei vertici della ristorazione in Sardegna. Aromi e sapori sono quelli della tradizione, rigorosamente a km zero. Si fa colazione con mieli di Oliena, marmellate, formaggi e salumi sardi. A pranzo e a cena trionfano i sapori della Sardegna interna, fra maccarones de busa, culurgiones (ravioli ripieni di una ricotta ultra genuina), il raro filindeu nuorese dove la pasta fresca è cotta in un brodo di pecora, le interiora di agnello, il porceddu allo spiedo, per finire con le immancabili sebadas al miele. Suggestiva in particolare è la Corte De Su Re, con i pavimenti in mattone e le colonne in pietra del 1600, i tavoli in legno arredati con bisacce sarde, i piatti sono in ferro smaltato e dai colori vivaci: è qui che le massaie del paese nei tipici costumi di Oliena preparano “ a vista” il pane carasau e tanti altri tipi di pani tipici.

Testo: Roberto Copello. Per le foto, si ringrazia: sugologone.it

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Articolo realizzato nell’ambito del progetto RESTA! –finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione Generale del Terzo settore e della responsabilità sociale delle imprese-Avviso n.1/2018