Vespasiano Gonzaga, il signore che fondò Sabbioneta, nel suo testamento lasciò scritto che voleva essere sepolto nella sua città ideale, all'interno della chiesa dell’Incoronata. Il monumento funebre venne realizzato nel 1592 da Giovan Battista della Porta in rari marmi policromi, con al centro la statua bronzea di Vespasiano opera dell'aretino Leone Leoni, che raffigurò il duca con un’armatura classicheggiante e la mano destra alzata come nel Marco Aurelio capitolino. Della tomba vera e propria di Vespasiano, però, con il tempo si erano perse le tracce.

Il 4 luglio 1988, durante i lavori di risanamento della chiesa dell’Incoronata, venne individuata, sotto il pavimento dell’edificio, l’apertura che introduceva all’ipogeo nel quale la famiglia ducale era stata sepolta. La scoperta della tomba di Vespasiano Gonzaga permise un eccezionale ritrovamento: gran parte del corredo funerario era andato perduto a causa dell’umidità che aveva consunto tutti i materiali ma sullo scheletro del principe c'era, intatto, un piccolo gioiello d'oro di cm. 2,5 per 2,5, un ciondolo di pochi grammi di peso, raffigurante un ariete.

Era il Toson d'Oro, il prestigioso simbolo dell'ordine cavalleresco istituito da Filippo il Buono nel 1430 a Bruges e diventato nel XVI secolo la più potente organizzazione cavalleresca del mondo: Vespasiano l'aveva ricevuto dalle mani di Ottavio Farnese nel Duomo di Parma, dopo esserbe stato ufficialmente insignito dall'imperatore Filippo II nel 1585, quale giusto riconoscimento a un uomo che si era segnalato per il suo coraggio, l'ampiezza del pensiero, l'amore per la cultura e la magnanimità. In effetti, si trattava anche di un modo con cui l'imperatore ribadiva la sua familiarità con il vecchio amico e compagno di giochi con il quale aveva condiviso la giovinezza alla corte di Madrid e di Toledo, dove Vespasiano era stato dal 1548 al 1550, come paggio d'onore dell'infante Filippo. L’analisi effettuata ha appurato l’autenticità del Toson d'oro, facendone risalire alla realizzazione alla seconda metà del XVI secolo con tecnica di fusione a cera perduta, rifinitura a freddo, rivettatura con ritocchi a cesello e a bulino.

Oggi il Toson d’Oro, appartenuto a Vespasiano, si può ammirare a Sabbioneta nella Sala del Tesoro del Museo, che, da febbraio 2018, fa parte di un complesso di 9 monumenti in rete, denominato “Polo Museale Vespasiano Gonzaga”. In attesa di tornare all’Incoronata, in una apposita sala, il Toson d’oro si trova attualmente  nella casa arcipretale di Sabbioneta, che custodisce alcuni pezzi significativi che illustrano la vicenda artistica e religiosa di Sabbioneta e del suo signore, il  duca Vespasiano, primo e anche ultimo duca della città ideale che aveva realizzato completamente fra il 1556 e il 1591, anno della sua morte. Il museo e l’intero Polo Museale, è dunque un habitat utile per familiarizzare con la figura di colui che concepì Sabbioneta come un'utopia, nata dall'idea di creare un mondo contrapposto alla realtà, secondo un progetto unico, al confine fra aspirazione alla armonia e tendenza alla megalomania. Condottiero, umanista e mecenate, discendente da un ramo della famiglia che governava Mantova, Vespasiano Gonzaga era nato nel 1531 da Isabella Colonna e Luigi Gonzaga detto Rodomonte, capitano imperiale di Carlo V e poi comandante supremo delle guardie pontificie, ma era stato cresciuto dalla zia paterna, la bellissima Giulia Gonzaga. Rientrato dalla Spagna, Vespasiano concepì subito il suo progetto, il cui sviluppo e la cui integrità territoriale non sarebbero stati pensabili senza gli stretti rapporti di amicizia e parentela che aveva con il re cattolico Filippo II d'Asburgo. Per realizzare Sabbioneta, furono coinvolti alcuni fra i migliori architetti e artisti dell'epoca: fatta tabula rasa di tutti gli edifici preesistenti, poté far sorgere dal nulla una città tutta nuova, dove l'urbanistica doveva essere al servizio degli studi umanistici (Vespasiano fondò un'Accademia di lettere greche e latine), dell'arte, della riscoperta dei valori antichi, dell'impegno etico e politico, persino della collaborazione pacifica fra cristiani ed ebrei (per esempio, l'ebreo Tobia Foà gestiva una stamperia presso la sua abitazione). Un vero laboratorio di convivenza umanistica e spirituale, insomma.

Testo di Roberto Copello; foto Wikipedia e Museo d'Arte Sacra

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