Oggi Maniago è sede del Distretto delle coltellerie, formato da 9 comuni del mandamento,  che impiega circa 1800 addetti nel solo ciclo produttivo degli articoli da taglio e si qualifica come secondo polo industriale della provincia di Pordenone.  Macchine a controllo numerico, taglio laser, assoluta precisione nel controllo delle temperature nei trattamenti termici, impiego di acciai speciali e di materiali ad alta resa sono solo alcune delle innovazioni tecnologiche che garantiscono all’industria maniaghese un prodotto di qualità superiore. Dai coltelli da tasca multiuso alle forbici professionali, dai pugnali sportivi ai coltelli da cucina, dalle spatole per uso artigianale ai precisi strumenti chirurgici: la produzione di Maniago copre gran parte del fabbisogno nazionale, ma forte è l’esportazione verso i mercato europei e americani. Anche cavatappi, palette per turbine, ingranaggi per trasmissioni e lame per pattini da competizione sono prodotti di aziende maniaghesi leader nel settore a livello mondiale.

A proposito di qualità, la sigla QM rappresenta Il Marchio di Qualità  del distretto del coltello di Maniago; si tratta di un progetto nato nel 2003 dalla collaborazione tra i  9 Comuni del Distretto, l’Università di Udine, le associazioni di categoria e Montagna Leader che ha coordinato l’iniziativa. QM intende sottolineare l’aspetto della qualità come risorsa fondamentale per la visibilità e la spendibilità del prodotto sul mercato nazionale ed internazionale. Su questo presupposto sono stati fissati standard e requisiti qualitativi che accomunano le imprese che vogliono crescere in questo comparto e avere visibilità nel mondo intero, sfruttando il nome e il fascino che il made in Italy è in grado si esercitare.

UN PO' DI STORIA

L’anno in cui convenzionalmente si fa risalire l’inizio della storia dei fabbri maniaghesi è il 1453.

Trentatré anni dopo la conquista del Friuli da parte della Serenissima, Nicolò di Maniago, membro della nobile famiglia che amministra la vita della comunità da circa due secoli, chiede al luogotenente veneto il permesso di incanalare in una roggia l’acqua del torrente Còlvera; Nicolò intende con quest’opera condurre l’acqua attraverso la pianura sino a Basaldella, irrigare le coltivazioni a sud dell’abitato e sfruttare l’energia idrica all’interno di mulini e segherie costruiti lungo il corso del canale.

La richiesta di Nicolò scatena malumori tra i maniaghesi: il territorio è caratterizzato da una significativa presenza di corsi d’acqua e la derivazione di un canale aggraverebbe le difficoltà a spostarsi da e verso la campagna, con carri e animali. Nicolò, per scongiurare i continui boicottaggi notturni alla roggia che veniva tracciata di giorno, è dunque obbligato, per portarla a compimento,  a garantire la costruzione di alcuni ponti lungo il suo corso. Probabilmente a nessuno, allora, è chiaro quanto quella opera condizionerà la storia di Maniago.

Già pochi anni dopo la sua costruzione, in corrispondenza di adeguati salti di quota, oltre a mulini e segherie, vengono costruiti anche alcuni battiferri. I fabbri comprendono da subito i vantaggi che, in termini di produzione e di fatica, l’energia dell’acqua garantisce loro. L’acqua del Còlvera, colpendo le pale di una grande ruota idraulica, mette in azione un meccanismo che dà energia al maglio a testa d’asino, una macchina che il fabbro usa per battere con forza un pezzo di ferro, precedentemente riscaldato, fino ad ottenere la forma voluta. Si costruiscono così attrezzi per contadini e boscaioli, coltellacci, nonché spade e altre armi d’asta per le truppe della Serenissima Repubblica di Venezia.

La figura del fabbro del battiferro a Maniago prende il nome di favri da gros (fabbro da grosso): questo termine non rimanda alla grandezza degli oggetti prodotti, ma alla loro rifinitura: non è importante che la superficie di falci, vomeri, vanghe, zappe, mannaie sia grezza, grossolana: l’importante è che lo strumento svolga la propria funzione correttamente: tagliare. 

La storia dei fabbri maniaghesi comincia dunque così: non grazie alla presenza di giacimenti che garantiscono la materia prima (l’approvvigionamento rimane anzi un problema costante fino al XX secolo inoltrato), ma grazie ad una roggia e all’energia dell’acqua, elemento che caratterizza profondamente questa porzione della pedemontana pordenonese.

Abbiamo inoltre verificato che i primi prodotti dei fabbri maniaghesi non sono le lame di coltelli e forbici che oggi li rendono famosi nel mondo, ma strumenti da lavoro per contadini e boscaioli.

Un cambiamento nelle produzioni e nel lavoro avviene intorno al ‘700, vista l’esigenza di produrre oggetti da taglio di più piccole dimensioni, ma di maggior rifinitura e precisione.

 Si modifica la tecnologia e l’immagine stessa del fabbro di Maniago: compare il favri da fin (fabbro da fino): nel suo lavoro la rifinitura rappresenta una componente essenziale della produzione: non è più fondamentale cioè che il prodotto svolga semplicemente la sua funzione, ma anche l’estetica, la forma assumono grande importanza.

 Il favri da fin necessita per la propria attività di una fucina, di una mola e di un banco da lavoro. Senza l’esigenza della vicinanza della roggia e della forza del maglio, le botteghe dei favris da fin sorgono un po’ ovunque in paese. La produzione si orienta su forbici, temperini da tasca, coltelli da tavola e altri strumenti professionali.

Sviluppandosi l’attività all’interno delle abitazioni, molto più semplice risulta anche l’apprendimento del lavoro dei padri da parte dei figli, che da subito prendono confidenza con la lavorazione di lame destinate agli usi più disparati.

Agli inizi del ‘900 nascono le prime grandi fabbriche dove, grazie all’impiego di macchine azionate dall’energia elettrica, è possibile produrre oggetti da taglio in serie, con minor tempo e fatica. Il primo stabilimento maniaghese, il CO.RI.CA.MA. (Coltellerie Riunite Caslino Maniago), fu fondato nel 1907 dall’imprenditore tedesco Albert Marx, proprietario di altre industrie a Solingen e a Caslino. Lo “stabilimento”, così come venne sempre chiamato, rappresentò una vera e propria rivoluzione, non solo nella produzione degli strumenti da taglio, ma anche nella vita sociale della comunità, che affronta per la prima volta i tempi, la disciplina, l’organizzazione della fabbrica moderna. Oggi il Coricama, dopo un attento restauro, è la sede del Museo dell’arte fabbrile e delle coltellerie.

Se agli inizi dell’Ottocento si contavano a Maniago circa 130 occupati nelle 21 botteghe, già erano saliti a più di 500 per una quarantina di officine attive appena un secolo dopo. Questo dato da solo dimostra quanto importante fosse per il maniaghese l’attività di fabbri e coltellinai.

Storicamente il modello Maniago propone coltelli non tanto legati a una tipologia  e a modelli tradizionali, quanto prodotti attenti a cogliere le novità e assorbire le richieste del mercato, con una politica commerciale e un’ideologia produttiva ben precisa: già alla fine dell’800 qui si producono più di 1000 diversi tipi di coltelli e temperini.

Nel 1960 prende vita il Consorzio Coltellinai Maniago, il cui scopo principale è quello di promuovere il prodotto maniaghese in Italia e all’estero, soprattutto in occasione di manifestazioni fieristiche internazionali specializzate nel compartimento della coltelleria sportiva e professionale.