«Il Settecento che altrove rimodellò il volto di paesi e città, regalando dove una chiesa, dove un palazzo, a Cerreto realizzò un'opera completa, capace di sorprendere anche il più esigente dei visitatori». Parola di Guido Piovene, il giornalista e scrittore che l'Italia la conosceva bene, avendola girata in lungo e in largo per realizzare nel 1957 quel suo radiofonico “Viaggio in Italia” impostosi come inarrivato modello di reportage geografico e culturale.

Non poteva che rimanere colpito, Piovene, quando percorrendo il Sannio beneventano raggiunse quella sorta di “città ideale” fatta erigere a fine Seicento dal conte Marzio Carafa, la cui famiglia da due secoli reggeva le sorti del feudo locale. Il catastrofico terremoto del 5 giugno 1688 (si ritiene fra il X e l'XI grado della scala Mercalli!) aveva raso completamente al suolo la Cerreto Sannita medievale, uccidendo metà dei suoi 8mila abitanti. C'era di che fuggir via da quella distesa di macerie. Oppure di ripensare il tutto un po' più a valle, su una terrazza inclinata fra i torrenti Turio e Cappuccino, vicino alla loro confluenza nel fiume Titerno, ma con un “piano regolatore” basato su criteri “antisismici”, due o tre secoli prima che tali parole diventassero di uso comune. Non è chiaro se a idearlo sia stato l'ingegnere regio Giovanbattista Manni o l'ufficiale dell'esercito spagnolo Marino Carafa, fratello del conte Marzio. Fatto sta che, in soli otto anni, vide la luce un impianto urbanistico estremamente razionale, simmetrico e ordinato, forse ispirato al cardo e al decumano degli antichi romani (qualcuno nel XIX secolo definì la nuova Cerreto “piccola Torino”): pianta rettangolare allungata, ampie strade parallele tracciate con il righello, incroci ad angolo retto, isolati ben squadrati, edifici bassi, palazzi staccati l'uno dall'altro, larghe vie di fuga, piazze dove la popolazione poteva raccogliersi in caso di scosse. Una città aperta, senza mura, dove c'erano isolati a corte, per i palazzi dei signori; isolati a spina, per gli artigiani e gli operai; isolati a blocco, per gli edifici ecclesiastici. Ai cerretesi meno abbienti, che nel terremoto avevano perso tutti i loro beni, il conte Carafa fece concedere prestiti purché costruissero casette di due vani: le somme erano elargite per i primi tre anni a tasso zero, dopo andavano restituite al 6% annuo. Morale: appena otto anni dopo il terremoto tutti i cittadini avevano di nuovo una casa. Di più: per la ricostruzione erano arrivati da Napoli molti artigiani che avevano contribuito alla rinascita della ceramica cerretese.

Così, chi oggi visita Cerreto Sannita non ha di fronte solo un bell'esempio di città ortogonale e antisismica, che da quel tragico 1688 ha superato senza troppi danni le scosse successive, ma anche un modello di ricostruzione urbanistica e di ripresa sociale ed economica più riuscito di quanto si è visto in occasione di terremoti che hanno colpito l'Italia in epoche più recenti. Quell'antica ricostruzione oltre che alla sicurezza badò anche all'estetica, dotando la cittadina campana di un nugolo di chiese tardo barocche, di eleganti palazzi, di portali sovrastati da vistosi mascheroni, di dettagli rococò sparsi nel tessuto urbano. Tutto quanto rende oggi piacevole la visita a una cittadina che, peraltro, continua a dimostrare che qui non si sprecano né tempo né risorse: l'utilizzo intelligente dei fondi europei ha infatti consentito di migliorarne il tessuto urbano, nonché di dotarla di spazi di aggregazione e di formazione, investendo sulla storia locale, l’artigianato artistico, le iniziative sociali. Cerreto Sannita insomma è un esempio di Italia che funziona, dove evidentemente il conte Carafa e i suoi urbanisti continuano ad avere degli eredi.

Che cosa c'è dunque da vedere in questo modello unico di “città pensata”, come spesso si ama definirla? Tanti interessanti palazzi privati settecenteschi (Ciaburro, Ungaro, del Viceconte, Magnati, Nardella, Giordani, Carizza, Villa Langer), spesso dotati di importanti portali a bugne dominati da mascheroni). E poi un numero spropositato di chiese, quasi una ventina, delle quali qui si citeranno almeno le principali. Entrando in città da sud ovest, subito dopo la chiesa di Maria di Costantinopoli (1616) che conserva un coro ligneo e resti dell'antica pavimentazione in ceramica locale, ci si imbatte nell'armonioso insieme formato dal maestoso palazzo dell'Episcopio (1696), dall'ex Seminario vescovile e dalla luminosa Cattedrale dedicata alla Ss. Trinità (1739), affrescata nel 1780 da Francesco Palumbo, con 12 altari in marmo e con due campanili sormontati da semicupole rivestite in «riggiole» di maiolica giallo-verde. Superato il Museo della ceramica (vedi articolo a parte) si sale poi alla spaziosa piazza San Martino (già Vittorio Emanuele), in fondo alla quale sorge la collegiata di San Martino, progettata dal “regio ingegnero” G. B. Manni e ultimata nel 1733: la facciata è preceduta da un'ampia e scenografica scala a rampe ricurve. Sul lato opposto della piazza si staglia invece il Palazzo del Genio (il nome è quello che aveva un teatro intitolato al Genio italico) con l'isolato del feudatario che ospitava la taverna, il teatro e le carceri, terminate nel 1711.

Un ulteriore tratto di strada porta poi alla bella chiesa barocca di San Gennaro, con la cupola dalla inusuale forma ellittica, rivestita con embrici maiolicati cerretesi: la chiesa ospita ora la sezione d'arte sacra del Museo della ceramica, con statue lignee, tele, paramenti e oggetti sacri, fra cui si segnala un prezioso calendario reliquiario cesellato che contiene reliquie di diversi santi e un pezzetto della Croce. Oltre piazza Roma, su cui s'affacciano bei palazzi del 700, sorge la chiesa di San Rocco, costruita dai sopravvissuti alla peste del 1656. Quindi, proseguendo verso la collina, oltre i ruderi dell’antica Tintoria Ducale dei panni lana (industria che nel Seicento aveva fatto ricca la vecchia Cerreto, si raggiungono i santuari delle Grazie (1587), annesso al convento dei cappuccini, il santuario di Sant'Anna e la Madonna del Soccorso.

Interessanti anche gli ambienti naturali che si possono raggiungere a nord di Cerreto, paese che si trova alle porte del Parco regionale del Matese. Un sentiero porta allo spettacolare ponte di Annibale, a schiena d'asino, che la leggenda unisce al passaggio del condottiero cartaginese durante la Seconda guerra punica (216 a. C.). Realizzato in epoca romana per valicare il torrente Titerno, è lungo 13 metri, ha una larghezza di circa 1,50 metri e ha una luce di 9,15 metri. Poiù oltre si trovano le selvagge forre del Titerno, scavate dall'acqua nel corso di milioni di anni generando eccezionali marmitte di giganti larghe anche 12 metri. Salendo poi fino a circa 500 metri di altezza, sotto la Rocca del Cigno si può trovare la grande Grotta dei Briganti, che ha all'interno un ambiente alto 20 metri, “la cattedrale”, con stalattiti e stalagmiti.

Su un'altura a est del paese si staglia invece “Morgia Sant’Angelo”, un blocco calcareo alto 35 metri detto la “leonessa” per la strana somiglianza a un grande felino: vi si trova una grotta abitata nel Neolitico e che i Longobardi trasformarono in chiesa.
 

Testo di Roberto Copello; per le foto, Wikipedia Commons, Gettyimages (Lucamato: in alto, cattedrale, chiese in gallery), Comune.  

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