Correva l'anno 1908 quando Hans Barth, giornalista tedesco corrispondente dall'Italia del Berliner Tageblatt ma soprattutto innamorato del vino italiano, pubblicava un libro destinato subito ad avere un grande successo: Osteria – Guida spirituale alle osterie italiane da Verona a Capri (Osteria: kulturgeschichtlicher Führer durch Italiens Schenken von Verona bis Capri). Un manuale appassionato ma cui mancava qualcosa, come subito gli fece notare in una lettera l'amico Gabriele D'Annunzio, che l'anno dopo aveva scritto la prefazione alla seconda edizione della Guida. «Non conoscete il Nepente di Oliena neppure per fama? Ahi lasso!», scriveva il Vate. “Io son certo che, se ne beveste un sorso, non vorreste mai più partirvi dall'ombra delle candide rupi, e scegliereste per vostro eremo una di quelle cellette scalpellate nel macigno che i Sardi chiamano Domos de Janas, per quivi spugnosamente vivere in estasi fra caratello e quarteruolo. Io non lo conosco se non all'odore; e l'odore, indicibile, bastò a inebriarmi”. Non  solo l'odore, perché D'Annunzio poi, scendendo in particolari, raccontava dell'autentica sbornia che s'era presa in paese, assieme agli amici Edoardo Scarfoglio e Cesare Pascarella.

Vino robusto, dall'intenso color rosso rubino e dalla notevole gradazione, prodotto in loco con uve Cannonau colte da vigneti impiantati anche da 50 anni, il Nepente fu reso grande dai gesuiti che, arrivati a Olièna nel 1665, fecero del borgo un villaggio agricolo gioiello, introducendovi  l’allevamento del baco da seta ma anche tecniche vinicole d'avanguardia per l'epoca. Quel vino, che si abbina alla perfezione con il pecorino sardo, oggi è tutelato dalla Doc “Cannonau di Sardegna Nepente di Oliena”. E dalle vinacce della stessa uva Cannonau di Olièna nasce anche una grappa molto apprezzata dagli intenditori.

Prima di bere però occorre mangiare. La cucina olianese è legata alle tradizioni popolari e a sapori antichi, con la pasta di semola lavorata a mano come “sos maharrones de busa”, “tundos”, “angelottos” (ravioli di formaggio fresco), “sa minestra 'in vrughe” con le patate, dove “sa vrughe” è il latte quagliato freddo. Assente del tutto il pesce, anche se il mare è a a soli 25 km, i secondi piatti sono tutti a base di carne, fra porcetto, agnello e capretto arrosto, cucinati nel camino. Molti anche i salumi, dalle salsicce al prosciutto, dalla pancetta a “sa grandula”.

Come ogni paese della Sardegna, poi, anche Oliena ha il suo modo di preparare le sfoglie sottili e rotonde del pane carasau, detto anche carta da musica. Che viene apprezzato anche come pane “gucciàu”, passandolo al forno con olio extravergine di oliva, ovviamente quello dal retrogusto amarognolo e piccante ricavato da olive Nera di Oliena, una cultivar di olivo in realtà diffusa anche in altre zone olivicole della Sardegna, con vari sinonimi. Nella zona di Oliena si parla soprattutto di Niedda de Oliena, Olia niedda o Olianedda, Olianesa. Il pane carasau è anche la materia prima di un piatto tipico del paese, “su pane Frattau”, dove le sfoglie sono rapidamente immerse in acqua bollente, stese su un piatto e condite con sugo di pomodoro e pecorino grattugiato, sovrapponendo poi altri strati, come si fa con le lasagne.

Quanto ai dolci locali, gli ingredienti fondamentali sono il miele e le mandorle. La macchia mediterranea consente un'incredibile varietà di mieli: di corbezzolo, eucalipto, lavanda, rosmarino... Del resto a Oliena il miele si fa sin dall'antichità, come mostrò nel 1843 il ritrovamento di una statuetta del dio greco Aristeo sul cui corpo nudo erano posate alcune api. I dolci locali sono spesso legati alle feste religiose. Come “su pistiddu”, focaccia al vino cotto e miele preparata in gennaio per la festa di Sant'Antonio. Per Carnevale si consumano le trecce fritte dette “sas rugliettas” e “sos gugligliones”, ripieni di miele e mandorle. A Pasqua immncabili sono “sas hasadinas”, dolci con pecorino fresco, preparati anche in versione salata al forno. In agosto per la festa di San Lussorio si prepara il torrone di mandorle e miele, in novembre per Ognissanti “sos papascinos”, rombi di mandorle, noci e uva passa. Tutto l'anno invece si gustano le “sevadas”, pasta ripiena di pecorino fresco ricoperta di zucchero o miele; i soffici “sos amarettos", “sos pistoccos” ricoperti di una glassa di zucchero e tuorli, “sas meliheddas” a forma di frutta, “sos horiheddos” con i loro cuori di mandorle e miele, “su idongiadu” che sono canditi di mela cotogna, “sos marigosos" con uovo, limone e mandorle, infine “s’aranciada” e “sa pompìa”, modi diversi di proporre le scorze d’arancia candite.

Testo: Roberto Copello. Per le foto si ringrazia: sito web comune.oliena.nu.it per la donna che lavora la pasta, i dolci tipici e la tavola imbandita; sito oliena.net per l'uva; sito gamberorosso.it per l'immagine nell'header.

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Articolo realizzato nell’ambito del progetto RESTA! –finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione Generale del Terzo settore e della responsabilità sociale delle imprese-Avviso n.1/2018