Ci sono circa venti chilometri di strada tra Guarene e La Morra, due borghi Bandiera Arancione del Touring Club Italiano, uno nel Roero, l’altro nelle Langhe. Venti chilometri di sinuose colline verdi, dove ai filari di vite si alternano le distese di noccioli e i boschi che custodiscono l’oro bianco di questa terra, il tartufo. È in questa piccola porzione di uno dei più ricchi e famosi scrigni enogastronomici d’Italia che è nata la Cantina Borgogno Rivata. Un’azienda, appunto, divisa tra Roero e Langhe. O meglio, una cantina che unisce i due territori, nata dall’incontro tra Alberto Borgogno da La Morra e Massimo Rivata da Guarene.

«Ci siamo conosciuti – racconta Alberto – tramite le nostre mogli, che sono sorelle». Cognati in affari, insomma. Anzi, cognati in vigna. Chissà, forse, l’idea di mettersi insieme è nata durante un pranzo domenicale di famiglia mentre, tra un agnolotto e un brasato, si confrontavano i rispettivi vini. «Massimo lavorava nell’azienda agricola di famiglia che, oltre al vino, aveva anche alberi da frutta e bestiame; io invece mi occupavo della nostra piccola vigna di famiglia, dedicata esclusivamente al barolo, insieme a mio padre e mio zio, ma non era un lavoro. Davo una mano a loro quando potevo. Ho fatto molti lavori prima di diventare vignaiolo». Del resto, le vigne da queste parti prima di essere imprese conosciute in tutto il mondo, sono da sempre un affare di famiglia. «Tutti qui hanno la loro campagna. Magari piccole vigne che servono solo alla famiglia o poco più». L’uva e il vino, insieme alle nocciole, sono nel patrimonio genetico di langhetti e roerini. Tra i ricordi dei bambini di queste terre ci sono i giochi tra i filari delle vigne, nascondersi dietro un nocciolo, rubare i grappoli appena vendemmiati. Alberto non fa eccezione. «Sì, ho tanti ricordi da bambino in vigna. Inseguire le lepri, fare qualche scherzo a chi vendemmiava, dovendo poi scappare per non prendere magari uno scappellotto. Il freddo ai piedi nudi dentro i catini di uva da pestare, quando ancora si pestava l’uva coi piedi». Per qualcuno la vigna resta una specie di santuario dei ricordi, per qualcun altro invece diventa un lavoro.

La svolta, per Alberto e Massimo, è arrivata nel 2010 quando i cognati hanno deciso di mettere insieme le forze. «Volevamo “sfidare” i barolisti canonici e creare qualcosa di nuovo, non intrappolato nella tradizione». Nei campi però non succede come nella finanza, dove le fusioni avvengono in maniera asettica, con un click o, al massimo, con una firma. Nei campi, tutto, anche l’idea di mettere insieme due vigne, costa fatica. «È stata dura. Abbiamo ripiantato l’uva, sistemato i terreni, cambiato stile di coltivazione». Che significava, innanzitutto, tenere la chimica il più lontano possibile dai tralci, adottando i sistemi di lotta integrata ai parassiti e ai funghi e ottenendo il marchio “Sistema Qualità Nazionale di Produzione Integrata”. In particolare, Alberto e Massimo utilizzano il cosiddetto inerbimento dell’interfila, piantano cioè erbe non invasive, come l’erba medica e trifoglio, che tengono lontani gli infestanti e accrescono la fertilità del suolo. Per combattere uno dei grandi nemici dell’uva, la tignola, la piccola farfalla che depone le sue uova nei germogli, viene utilizzato invece una sorta di anticoncezionale naturale: vengono cioè rilasciati in vigna dei ferormoni sessuali che interferiscono con quelli rilasciati dalle femmine, disorientando il maschio e impedendogli di trovare la partner, limitando così la riproduzione. Il risultato del duro lavoro in vigna è arrivato con la prima vendemmia del 2016. Premiata, fin dall’esordio. «I nostri vini sono arrivati in tutta Italia e anche all’estero, in Inghilterra per esempio».

Sui quasi 12 ettari di terreno della Cantina Borgogno Rivata però non si coltiva solo l’uva ma anche frutta, in particolare le mele e, soprattutto le pere Madernassa, una varietà molto particolare, tipica proprio di Guarene, più dura e meno dolce delle “colleghe” più blasonate. E proprio da questa pera “difficile” arriva un’altra dimostrazione della tendenza un po’ ribelle di questa cantina. Alberto e Massimo infatti hanno deciso di mettere la loro esperienza nella vinificazione anche al servizio di questa pera, creando un loro sidro, che hanno chiamato Sidrè, nome che richiama anche l’espressione piemontese Si dré (qui dietro). «La Madernassa non si mangia come le pere abate o le williams, è un frutto più fibroso e con un sapore meno dolce. Oltretutto ha una maturazione molto lunga, viene raccolta a settembre e si mangia in primavera. Così qui, normalmente, si usa per fare marmellate o da mettere sotto spirito. Noi invece abbiamo provato a trasformarla in un prodotto originale, il sidro di pere. Utilizziamo il metodo charmat per renderlo simile a un prosecco. E infatti i clienti che lo hanno assaggiato ci hanno proprio detto che sembra di bere un prosecco».

Proprio per far scoprire quanto una tradizione come quella delle Langhe e del Roero possa essere reinterpretata, Borgogno Rivata invita i suoi clienti in cantina a provare direttamente sul palato i suoi Barolo, Nebbiolo, Dolcetto, Arneis e la “chicca” Sidré. «Io e Massimo qualche anno fa abbiamo deciso di trasformare un vecchio edificio della nostra azienda nel nostro punto di assaggio. Ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo trasformato quello che prima era un semplice magazzino. Ora è diventato un luogo piacevole dove assaggiare i nostri vini». Per chi non si accontenta si può anche visitare la cantina e fare una passeggiata tra le vigne. Alberto però ci tiene a sottolineare che prima di presentarsi in cantina «è meglio fare una telefonata, per mettersi d’accordo, perché, insomma, di solito siamo nei campi».

Per conoscere i vini e il sidro di pera Madrenassa della cantina Borgogno Rivata o per accordarsi con Alberto per un tour e una degustazione si può visitare il loro sito o la loro pagina Facebook.

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Testo: Luca Tavecchio - Foto: Borgogno Rivata​