Neanche il tempo di scollinare sullo Stelvio e si viene assaliti dall’odore di salamella. Che sarà perché l’aria a quest’altezza è già più rarefatta, sarà perché quando si arriva in cima a un passo si ha automaticamente fame, però riesce anche a sembrare un pranzo migliore di quello che non sia in realtà. Un signore col cappello tirolese la smercia gridando quasi fosse in spiagga a vendere cocco, ma la cima del re dei passi in estate è così: un lungomare d’alta quota, confusionario e caotico. Da un lato peccato, perché sarebbe bello fermarsi ad ascoltare il vento. Dall’altro va bene anche così, perché anche quella fila di baracchini che scaldano panini e quei venditori di picozze e adesivi ricordo “Stelvio 2758 metri” fanno parte del contorno, come i nevai appena sopra la strada e le nuvole che passano e poco più su. Salire allo Stelvio (che in tedesco si chiama Stilfser Joch) è un affare estivo, una gita di due giorni per gli amanti dei trofei, per quelli che amano dire “ci sono stato”, e appuntarsi sul petto un’altra bandierina di merito nella classifica dei luoghi toccati.

Certo, va detto con onestà: perr essere una vera impresa di quelle di cui vantarsi con gli amici, lo Stelvio andrebbe scalato in bicicletta. Perché la macchina toglie tanto, forse tutto, di quell’eroica poesia che invece c’è nell’affrontare queste ascensioni a pedali, oppure - perché no - a piedi. Spinti da null’altro che sé stessi, inseguendo la propria fatica e la voglia di saggiare i propri limiti. Perché 1848 metri di dislivello, tanti sono quelli che in 48 tornanti portano dalla deviazione di Prato allo Stelvio, in val Venosta, fino alla cima, sono una sfida con sé. Basta leggere quel che ha ha scritto anni fa Paolo Rumiz per rendersene conto.

Ma anche chi non è un eroe ha il suo briciolo di soddisfazione a imboccare la Statale 38 e salire in alto, curva dopo curva, casa cantoniera dopo casa cantoniera. Sia che la si prenda dal versante valtellinese partendo da Bormio (per certi versi meno scenografico) sia che si salga intraprendendo il rosario di tornananti del versante altoatesino, è una bella salita coronata dal paesaggio scarsamente antropizzato del parco dello Stelvio. Mentre si ascende ci si sofferma più di una volta a pensare a chi avuto l’ardire di pensare una simile strada. E suona antico, ardire, però di un vero ardimento fu capace Carlo Donegani, l’ingegnere che si occupava delle strade nella zona di Sondrio, che disegnò il tracciato e seguì passo passo il progetto.

Era il 1822 quando iniziarono i lavori. La strada fu voluta dall’imperatore d’Austria Ferdinando I, desideroso di avere una via di comunicazione rapida e sicura per unire il Tirolo con Milano, all’epoca di sua pertinenza. E Donegani in questo tipo di imprese era una garanzia: era lui che aveva già disegnato gli aggraziati tornanti che quasi piegandosi su sé stessi portano al passo dello Spluga, tra la Valchiavenna e la Svizzera. In soli tre anni la carrozzabile venne completata, venendo inaugurata alla presenza di un compiaciuto imperatore Ferdinando. Per quasi un secolo, fino allo scoppio della Prima guerra mondiale, il passo rimaneva aperto tutto l’anno, grazie agli spalatori che lo ripulivano incessantemente la via dalla neve. Finita la guerra divenne interamente italiano (dopo il 1861 aveva segnato il confine tra Italia e Austria-Ungheria) e si decise di chiuderlo in inverno.

Oggi rimane aperto pochi mesi, da metà maggio a metà ottobre, dipende dal tempo e dall’impegno delle amministrazioni locali a ripulirlo. In cima, oltre al bancomat più alto d’Europa (anche questi son vanti), ci sono diversi alberghi con ristorante, negozie e anche un Punto Touring, all’interno dell’albergo Quarto Pirovano. Oggi è di proprietà della Banca Popolare di Sondrio, ma porta ancora il nome della famiglia bormiese che negli anni Trenta inaugurò lo sci estivo da queste parti. Venti chilometri di piste, su cui si scia da maggio a fine ottobre, partendo dai 2758 metri del Passo fino ai 3450 del monte Cristallo. Ma chi sale la domenica, spesso lo fa solo per il gusto di salire.

E allora se proprio si vuole farla grassa, una volta arrivati sullo Stelvio salendo dal versante valtellinese (se c’è il tempo consigliamo prima una sosta alle terme di Bormio) si può scendere verso la val Venosta e poi risalire sullo Stelvio passando dalla Svizzera. Arrivati nella medievale cittadella di Glorenza infatti, basta girare a sinistra e imboccare la strada della val Mustair, passato il confine, dopo una decina di chilometri si arriva a Santa Maria (c’è un monastero stupendo che merita una sosta) e da qui si risale per lo Stelvio. Certo, farlo in bicicletta avrebbe lo stesso fascino di un tappone del Giro. In macchina è meno ecologico e meno antologico, ma ognuno fa quel che riesce. E poi  salire in cima ai passi mette voglia di viaggiare, di andare oltre. Di continuare la strada fino alla prossima pianura, dietro l’ennesimo, ultimo tornante.