La Giornata BA / I mille colori di Cutigliano

Domenica 12 ottobre, a Cutigliano per la Giornata Bandiere Arancioni
L’immagine novecentesca della fiera di Cutigliano, evocata dall’amarcord dello scrittore bolognese Giuseppe Lipparini (qui sotto in uno stralcio), ci introduce idealmente ad alcuni temi e all’animato scenario della Giornata Bandiere Arancioni di domenica 12 ottobre.
In questa occasione, le strade del borgo medievale torneranno ad affollarsi ed a vestirsi dei mille colori della Rassegna Micologica dell’Appennino, giunta quest’anno alla XVI edizione, con la sua ricca offerta di mostre, stand di prodotti tipici ed eventi gastronomici.
Le testimonianze di scrittori e viaggiatori del passato (dal Tommaseo al Tigri, dall’Alexander al Lipparini appunto), saranno invece al centro dell’incontro di studio “Letteratura e folclore sulla Montagna pistoiese tra Ottocento e Novecento”, organizzato dal Comune di Cutigliano e dal Centro Studi Beatrice di Pian degli Ontani in collaborazione con il Club di Territorio di Pistoia, che si svolgerà nell’antico Palazzo dei Capitani a partire dalle ore 15,30.
Per informazioni e notizie sui vari appuntamenti, si veda il sito del Comune di Cutigliano e quello delle Bandiere Arancioni.
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da: G. Lipparini, La fiera di S. Bartolomeo, in I racconti di Cutigliano, Mondadori 1930
C’era un tramestìo tremendo, che copriva perfino le armonie stonate dell’organetto della giostra nel prato sotto le case. Lo stridìo più grande saliva da un angolo della piazza dove una ventina di contadini si stringevano attorno a due mercanti di maialini appena slattati. [...] Più in là, un giovanottone alto e pallido, con una giubba paonazza e un cappello a staio, strombettava a perdifiato per attirare la gente attorno a un barroccio carico di camicie e di calzoni vecchi da soldato. Gridavano tutti, rossi, sudati, affaticati: i negozianti di cocci che magnificavano al contadino vestito dalla festa i loro piatti variopinti, le bocce, i bicchieri, le saliere, le brocche, i vasi da notte che scintillavano al sole; il mercante di teglie e di brocche di rame che i villeggianti si portavano via come una rarità; i venditori di stoffe che le sciorinavano all’aria vantandone la qualità, la bontà, il prezzo; e quelli che avevano il banco coperto di mille cianfrusaglie inutili che tutti comprano nei giorni di fiera; e quelli dei pizzi, dei coltelli, delle coti, degli occhiali, dei pettini di celluloide, delle pipe e dei bocchini di marasca, dei rasoi, dei pennelli per la barba, delle saponette a due una lira; e sulla piazza alta, sotto il Marzocco e la fontana, il banchetto del pontremolese con i “Reali di Francia” per i montanari e i romanzi di Guido da Verona e di Salvator Gotta per i signori; dentro la loggetta cinquecentesca, la fiera di beneficenza con il premio sicuro, e, in mezzo, in trionfo, il servizio d’argento donato dal Podestà. [...] A tratti, risonavan più alte le voci di una contesa; poi la folla incalzava, ondeggiava e chiudeva i rissanti. Le donne strillavano, i ragazzi soffiavano a più non posso nelle trombette, un cieco apriva e serrava di seguito la fisarmonica, ma era un gemito che si spargeva nel fragore. I fazzoletti rossi, gialli, turchini delle contadine lanciavano sprazzi di colore sulla folla degli uomini vestiti di nero; e le tende gialle e verdi delle baracche gettavano sulle viuzze tortuose un’ombra calda e dipinta.