Passare da Kingston e non andare a vedere il Bob Marley Museum al 56 di Hope Road è come andare a Parigi senza dare un occhio alla Tour Eiffel. Può succedere, ma perché farlo? Perché se dici Giamaica, dici Bob Marley e tutta l’iconografia che il suo nome si porta appresso: i dread e il rastafarianesimo, la libertà per gli oppressi e la marjuana. Icona della musica reggae e sacerdote laico, cantante ma anche attivista, mistico che parlava con Dio e conquistava il pianeta a suon di canzoni, figlio di un inglese bianco, Naval Marley, e una donna di colore, Cedella Malcom Booker, Bob Marley è diventato l’icona di un Paese intero. Al punto che casa sua è considerata “monumento nazionale”.
Il museo dedicato al re del reggae è una struttura in legno di due piani dall’architettura coloniale che gli fu regalata da Chris Blackwell, padrone della Island records e suo produttore. Era la sede dei Tuff Gong studios oltre a essere la residenza di Marley quando non era in tournée in giro per il mondo. Le stanze sono decorate con i dischi d’oro e di platino, copertine di album, ritagli di giornali dei mega concerti (tra cui San Siro 1980) e altri oggetti collezionati negli anni. Si visita anche la stanza da letto dove Bob riposava tra una sessione di registrazione e l’altra e la cucina, in cui pare si dilettasse a preparare spremute e cibi vegetariani alla sua band. Meta di un sentito pellegrinaggio laico, il museo ha un unico neo (oltre all’aria condizionata).

Info: bobmarleymuseum.com.